civiltà

Dotato di incerto statuto teorico – stante il carattere al contempo descrittivo e valutativo – questo importante concetto ha al presente nelle scienze storico-sociali una collocazione marginale e precaria, attestata sia dalla varietà e contraddittorietà delle definizioni, esplicite o implicite, di cui è stato oggetto, sia dal fatto di essere ampiamente trascurato a vantaggio del concetto antropologico di cultura, più chiaramente definito e più descrittivo. Derivato dal termine latino civilitas, il concetto ha registrato in due millenni cambiamenti semantici rilevantissimi. In uso in epoca romana per indicare lo status e i diritti del cittadino, esso mantiene il significato politico originario di cittadinantia fino al XV secolo, dilatato a comprendere il modo di vivere in città, giudicato superiore rispetto alla vita contadina. Dal XV secolo fino a parte del XVIII esso continua a mantenere questo secondo significato, ma connotato in modo spiccatamente morale: civilité e civility viene a indicare il comportamento virtuoso, rispettoso delle convenienze sociali, espressione del modo raffinato di vivere in città e, soprattutto, a corte. Negli stessi secoli si afferma in modo via via più esplicito, nei lavori storiografici, filosofici e letterari, l’idea di civilisation come di un processo e di uno stato di superamento dello stato selvaggio, proprio della condizione primitiva e della successiva situazione di barbarie. In virtù di questo processo i popoli civili – europei e cristiani – si distinguono radicalmente dai popoli non civilizzati. Con l’Illuminismo il processo di incivilimento viene concepito come un movimento universale di emancipazione dell’uomo e di perfezionamento dell’umanità. Per l’influenza esercitata dal pensiero di Rousseau e di Kant, si giungerà di fatto ad associare la civiltà alla morale contrapponendola alla cultura intesa come convenzione sociale. Collegato allo sviluppo della scienza, al raffinamento intellettuale e all’affermazione delle libertà, il concetto di civilizzazione viene così ad essere associato all’idea di progresso. Da questo momento uno dei principali significati che, sia pure con connotazioni e giustificazioni diverse, il concetto di civiltà manterrà fino a oggi è quello di un processo evolutivo avente carattere cumulativo. In tal modo vengono integrate le due dimensioni che, con accentuazioni diverse, sono sottese all’idea di civilisation: il confronto tra “noi e gli altri” e quello tra “il prima e il dopo”. A questa concezione di matrice francese e, in parte, inglese, si affiancano e si contrappongono, dalla fine del XVIII secolo all’inizio del XX, varie concezioni di matrice tedesca e, dall’ultimo terzo del XX, la concezione antropologica. Le une poggiano sulla distinzione tra Kultur, quale espressione spirituale profonda della natura di un popolo, e Zivilisation, quale manifestazione superficiale storicamente contingente del suo razionalismo e tecnicismo. In tal modo l’idea di civiltà si trova a essere subordinata, anche valutativamente, a quella di cultura. A stabilire lo stesso tipo di subordinazione approdano quegli antropologi, e alcuni sociologi, che operano – quando non li usano come sinonimi – con i due concetti: la civiltà è il mondo degli strumenti, mentre la cultura è il mondo dei significati e dei fini dell’attività e della convivenza umana. Nella prima fase della sua produzione teorica anche il sociologo francese Durkheim condivide questa concezione. Mano mano che si afferma il concetto di cultura quale concetto centrale dell’antropologia, quello di civiltà per un verso perde rilievo e per l’altro accentua il suo significato processuale, come nell’opera di Norbert Elias sul processo di civilizzazione. Sotto questo secondo profilo, accanto ad alcune concezioni storico-filosofiche, quale quella di Spengler, che vedono nella “civiltà” la fase terminale e decadente di una “cultura”, prendono forma altre concezioni di tipo evoluzionistico, che vedono nella civilizzazione un processo planetario di miglioramento cumulativo e irreversibile – ancorché non unilineare e localmente segnato da arresti e regressioni – nella produzione materiale e culturale. Questo tipo di concezione della civiltà – distinta dalle civiltà al plurale, sempre più riconcettualizzate in termini di culture – sembra essere al presente l’unica che, pur discussa, vanta un certo credito scientifico, e ciò nonostante il suo carattere intrinsecamente valutativo. In essa “civiltà” designa una selezione storica di elementi presenti nelle culture – quali la scienza, la tecnologia, i mezzi di comunicazione, le libertà democratiche, le tecniche organizzative, la sanità, ecc. – che si dimostrano, in un certo momento, più adeguati ad assicurare il miglioramento delle condizioni di sopravvivenza e di sviluppo delle società umane e che, per questo stesso fatto, tendono a essere adottati dalle culture delle società diverse da quella di provenienza, così da confermare, nella loro successione storica, il carattere irreversibile del processo di incivilimento. [Paolo Ceri]