progresso

La nozione di progresso si richiama alla metafora dell’andare avanti (dal verbo latino progredi, da cui progressus) per indicare il movimento della storia umana nel suo complesso verso una meta che conferisce significato e coerenza agli avvenimenti storici. In questo significato il progresso era un concetto sostanzialmente sconosciuto nell’antichità. Nella Grecia classica il mutamento storico era considerato corruzione e decadenza rispetto all’“età dell’oro”. Il trascorrere stesso del tempo era dannoso per l’uomo. La concezione ciclica si accompagnava spesso a un forte pessimismo morale. Elementi di un’idea di civilizzazione progressiva si formarono nell’Atene del V secolo a.C., sulla base delle invenzioni tecniche realizzate. Non si sciolse, però, il nesso con la convinzione di un regresso etico. Le grandi filosofie dell’antichità classica esclusero la possibilità di un progresso complessivo della civiltà. Il cristianesimo fu, per ragioni diverse, ostile all’idea di progresso: ruppe con la concezione ciclica della storia, ma svalutò radicalmente il valore di un possibile progresso tecnico-scientifico e trasformò la questione del progresso morale in problema della salvezza eterna individuale mediata dalla chiesa. Anche le filosofie medievali non si aprirono a una formulazione del principio di progresso nella storia. La filosofia della storia di Gioacchino da Fiore tra il XII e il XIII secolo individuò tre età nella storia; si trattava di una forma di millenarismo che vedeva al culmine della vicenda storica il ritorno alla chiesa delle origini: una prospettiva, quindi, di regresso. Ruggero Bacone teorizzò nel XIII la necessità di dare un rinnovato impulso al sistema unificato delle scienze fondato sulla matematica, senza che si formulasse l’idea di uno sviluppo storico delle conoscenze. Nella prima età moderna si posero le premesse per la concezione moderna del progresso, cogliendo con il concetto di Rinascimento e Umanesimo il progresso rispetto al medioevo in nome del ritorno ai modelli dell’antichità e rompendo, ad esempio nell’opera di J. Bodin e di Francis Bacon, con la concezione ciclica della storia. La scienza divenne tra la fine del Seicento e la metà del Settecento – e in particolare con la filosofia di Cartesio – la base di una concezione del progresso come progressiva conquista del mondo della natura. Nel Settecento, e in particolare nella cultura dell’Illuminismo, il concetto di progresso si identificò con quello di razionalizzazione del mondo, di movimento verso la libertà e il sapere: la scienza divenne lo strumento di un movimento verso la felicità del genere umano. Da Voltaire e Turgot sino a L.-S. Mercier e M.-J. Condorcet – con l’eccezione di qualche voce discordante come quella di Rousseau – il progresso divenne una categoria centrale per situare la civiltà europea in uno sviluppo che si apriva a un futuro ritenuto migliore del presente. La coscienza del carattere complesso della vicenda storica influì sulla concezione illuminista del progresso anche in chi, come Kant, considerò riconoscere il progresso come una necessità morale e chi, come C.-F. Chasseboef conte di Volney, riconobbe nel progresso un lento processo verso un’unica società felice. L’Ottocento vide nel progresso sia una realtà tangibile della vita quotidiana, testimoniata dal trionfo della tecnica, sia un’ideologia fondante il sistema di potere europeo nel mondo. Il concetto di progresso espresse la coscienza di una missione, tendendo a identificarsi con quello di civiltà. Per il socialismo utopistico di R. Owen e C.-H. de Saint-Simon il progresso garantiva la prospettiva di una felicità futura all’umanità. Secondo i teorici del positivismo il progresso manifestava il dispiegarsi delle leggi interne all’ordine delle cose. La fede nel progresso come ordine provvidenziale fu accesamente avversata e respinta da Friedrich Nietzsche ed entrò in crisi irreversibile all’inizio del nostro secolo: la prima guerra mondiale, la crisi del 1929, l’affermarsi dei regimi autoritari e totalitari approfondirono lo scetticismo rispetto all’idea di un percorso unilineare e progressivo della storia. Per S. Freud la repressione dell’istinto operata dalla civiltà è sempre provvisoria. M. Heidegger mise in discussione il progresso fondato sulla tecnica e il senso della sua storia. Le critiche al progresso come categoria di riferimento nell’interpretazione storica si moltiplicarono dopo la seconda guerra mondiale nelle opere di Th. Adorno, M. Horkheimer e H. Marcuse fino alla teorizzazione di una molteplicità differenziata di progressi contemporanei e asincroni (E. Bloch) e alla negazione postmoderna del progresso stesso in favore di un’accettazione aproblematica e non storicizzante della tecnica. In una prospettiva al tempo stesso più ampia e specifica, le attuali filosofie della crisi ecologica e le tematiche ambientaliste ripropongono oggi con particolare urgenza la questione dei limiti strutturali del concetto di progresso quale è andato configurandosi nei processi di sviluppo del mondo occidentale. [Edoardo Tortarolo]