Bolívar, Simón

(Caracas, Venezuela, 1783, † Santa Marta, Colombia, 1830). Rivoluzionario, patriota e uomo politico sudamericano. Appartenente a una ricca famiglia creola, ebbe tra i suoi tutori Simón Rodríguez, un discepolo di Rousseau, che lo introdusse al pensiero illuministico da cui rimase profondamente influenzato. Mandato sedicenne in Spagna per completare la sua formazione, sposò nel 1802 la figlia di un nobile spagnolo e rientrò a Caracas. La morte della giovane moglie un anno dopo il matrimonio segnò una svolta nella sua vita. Ripartito per l’Europa, viaggiò a lungo in Francia e in Italia maturando la convinzione che fosse giunta l’ora del riscatto per i popoli ispano-americani. Nel 1810 scoppiò la rivolta in Venezuela. Il governatore spagnolo venne privato dei suoi poteri e fu insediata una giunta insurrezionale. Bolívar, tra i capi del movimento, fu inviato a Londra per perorare la causa delle colonie. La missione non ebbe successo, ma lì ebbe modo conoscere e apprezzare le istituzioni politiche britanniche alle quali si ispirò in seguito. Nel 1811 una assemblea nazionale riunita a Caracas, dopo aver approvato una costituzione, proclamò l’indipendenza del Venezuela. La reazione degli spagnoli non si fece attendere. Bolívar, arruolatosi nell’esercito repubblicano guidato da Francisco Miranda, venne incaricato di difendere Puerto Cabello, ma, tradito da uno dei suoi ufficiali, fu costretto alla resa. La perdita dell’importante roccaforte indusse Miranda a firmare un armistizio (1812) che riconsegnò il Venezuela alla Spagna. Convinto che Miranda avesse capitolato, Bolívar lasciò che quest’ultimo venisse consegnato al nemico e fuggì in Colombia dove organizzò un corpo di spedizione alla guida del quale, dopo aver vinto alcune battaglie, rientrò in Caracas (1813) guadagnando il titolo di “Liberatore” e il conferimento di poteri dittatoriali. Nel giro di poco tempo però la situazione interna precipitò in una guerra civile tra i fautori dell’indipendenza e i suoi oppositori filospagnoli, che nel 1814 occuparono la capitale ponendo fine alla seconda repubblica. Bolívar, sfuggito alla cattura, riparò in Giamaica dove scrisse La Carta de Jamaica, il suo più importante documento politico, nel quale auspicava per le colonie spagnole l’avvento di un regime repubblicano modellato su quello inglese. Nel 1816, giovandosi dell’aiuto del presidente di Haiti, Alexandre Petión, tentò senza successo un’invasione del Venezuela. La svolta decisiva si ebbe nel 1817 allorché Bolívar, dopo aver stabilito il suo quartier generale ad Angostura (oggi Ciudad Bolívar), nell’Orinoco, si diede a reclutare un esercito professionale e ottenne l’appoggio di José Antonio Páez, leader dei llaneros (rivoluzionari delle pianure) e quindi di Francisco Santander, che era riuscito a resistere agli spagnoli. A questo punto, infatti, maturò in lui l’idea di cogliere il nemico di sorpresa, attaccandolo nella Nuova Granada. La campagna, divenuta leggendaria per le incredibili difficoltà incontrate nella lunga marcia attraverso il Venezuela e le Ande, ebbe inizio nel giugno del 1819 e si concluse nell’agosto con la sconfitta dell’esercito realista nella battaglia di Boyacá. Nel dicembre, un Congresso riunito ad Angostura proclamava Bolívar primo presidente della Grande Colombia, cioè degli attuali Colombia, Venezuela, Ecuador e Panamá. Il Venezuela venne liberato nel 1821, con la vittoria dello stesso Bolívar a Carabobo; l’Ecuador nel 1822, dopo una lunga campagna nel corso della quale si distinse un suo luogotenente, Antonio José de Sucre, vincitore della decisiva battaglia di Pichincha. Fu a Quito che Bolívar incontrò la rivoluzionaria e patriota Manuela Sáenz, che divenne la sua compagna. Soltanto il Perú restava ancora sotto la dominazione spagnola. Per completare il processo di liberazione, Bolívar si incontrò segretamente a Guayaquil (22 luglio 1822) con l’eroe dell’indipendenza argentina, José de San Martín, che aveva conquistato Lima nel 1821, senza però affrontare l’esercito spagnolo ritiratosi sugli altipiani. Il contenuto del colloquio è tuttora controverso. Certo è che di ritorno da Guayaquil San Martín si dimise dalla carica di Protettore conferitagli dal Congresso peruviano e andò in esilio volontario, mentre Bolívar, capo incontrastato delle forze rivoluzionarie e abilmente coadiuvato da Sucre, sconfisse le truppe nemiche prima a Junín poi a Ayacucho ottenendone la resa (1824). Caduta nel 1825 anche l’ultima area di resistenza dell’esercito realista costituita dall’alto Perú (alla quale venne dato il nome di Bolivia in onore del “Liberatore”), Bolívar inseguì il progetto di una grande confederazione degli stati americani. Fin dal 1824 egli aveva ottenuto la firma di trattati di alleanza tra la Colombia, il Perú, il Messico, il Centro America e le Province Unite del Río de la Plata (Argentina). Nel 1826 convocò un Congresso panamericano per gettare le basi della confederazione, ma i risultati furono insoddisfacenti e alla fine le tendenze nazionalistiche prevalsero. Bolívar, riconfermato nel 1827 presidente della Grande Colombia, tentò con ogni mezzo di salvare l’unità della propria creatura, minata da discordie interne e da una crescente diffidenza verso i suoi metodi di governo. Proclamatosi dittatore nel 1828, sfuggì a un attentato grazie alla presenza di spirito di Manuela Sáenz, ma non poté impedire che la situazione precipitasse. Nel 1829 vi fu la secessione del Venezuela. Convintosi che la sua presenza costituisse ormai un ostacolo al processo di pacificazione delle nazioni alla cui liberazione aveva dedicato la vita, lasciò la presidenza nel 1830. Morì stanco e ammalato nello stesso anno nella tenuta di un ammiratore spagnolo.