Complesso delle fortificazioni delle “lunghe mura” di Atene

Grecia antica La Pentecontetía

Con la fondazione della lega delio-attica comincia il periodo di circa cinquant’anni, detto Pentecontetía, che termina con lo scoppio della guerra del Peloponneso. Fin dalle prime operazioni militari della nuova alleanza, si rivelò la tendenza ateniese a trasformare la propria egemonia in potere imperiale. È quanto dimostrò palesemente l’assoggettamento di Nasso, “la prima città alleata a essere ridotta in condizione di servitù; poi la stessa sorte toccò anche alle altre, in circostanze e maniere diverse, caso per caso” (Tucidide). Sull’attuazione di questo programma imperialistico non vi furono ad Atene vere e proprie contrapposizioni di gruppi politici. Divergenze sorsero solo quando, in opposizione alla linea politica perseguita da Aristide e Cimone, che erano interessati a un’intesa con Sparta e al perdurare del conflitto con la Persia, Temistocle si mostrò attento al contributo portato dai ceti popolari alla crescita della potenza navale e al maturare del conflitto con Sparta, incline allo scontro per il recupero dell’egemonia marittima. Quando Temistocle (già ostracizzato) fu raggiunto da una condanna in contumacia per alto tradimento e scomparve definitivamente dall’orizzonte politico ateniese (circa 467 a.C.), Cimone guidò le operazioni che portarono alla decisiva vittoria sui persiani presso la foce dell’Eurimedonte in Panfilia (circa 466 a.C.) e svolse più tardi un notevole ruolo nella spedizione contro l’isola di Taso, ribellatasi ad Atene (465-63 a.C.). Ma il fallimento del progetto d’installare in Tracia 10.000 coloni ateniesi e alleati finì per coinvolgere nei sospetti anche Cimone, che fu accusato di corruzione davanti all’Areopago. Poco dopo i ceti popolari, guidati da Efialte e dal giovane Pericle, esautorarono l’Areopago, roccaforte dei conservatori, e ostracizzarono Cimone (462-61 a.C.). Seguì la denuncia unilaterale da parte di Atene dell’alleanza con Sparta contro i persiani: un atto che rese libera Atene di stipulare giuramenti di alleanza anche con popoli che avevano medizzato, come gli argivi e i tessali. A queste nuove intese si aggiunse l’alleanza con Megara, che aveva esplicite finalità anticorinzie, e perciò antipeloponnesiache. Poco dopo Efialte pagò con la vita le riforme che avevano dato ad Atene un regime di piena democrazia (461 a.C.). Gli succedette alla guida dei ceti popolari Pericle, discendente per linea materna di Clistene. Per trent’anni egli operò per rafforzare la componente popolare all’interno della città e portò a maturazione il progetto di creare una sorta di stato assistenziale attraverso la remunerazione dei magistrati, dei buleuti e soprattutto degli eliasti, ossia dei 6000 giudici componenti le giurie popolari. Questo rese possibile la partecipazione dei cittadini meno abbienti alle cariche pubbliche, che venivano sorteggiate fra tutti i cittadini, a eccezione di quelle strettamente militari e finanziarie. Importante fu la riforma che Pericle attuò nel 457 a.C., aprendo l’accesso all’arcontato alla penultima classe censitaria, quella degli zeugiti. Il potere decisionale restò all’assemblea popolare, ma il potere esecutivo passò stabilmente al collegio degli strateghi, eletti tra le classi più elevate. Di tale organo fece poi parte stabilmente lo stesso Pericle, che, per riservare al popolo di Atene i benefici dell’impero marittimo, si adoperò per la promulgazione di una legge che escludeva dalla cittadinanza chi non fosse nato da genitori entrambi cittadini (451 a.C.). Ma se decisivo fu il suo contributo nella politica interna, non altrettanto si può dire del suo apporto nella politica estera, specie per la prima fase, quella più dinamica e aggressiva dell’imperialismo ateniese. È difficile precisare infatti quanto Pericle fosse ispiratore e direttamente responsabile dell’arrogante politica estera avviata dal demos dopo la rottura dell’alleanza con Sparta: la spedizione in Egitto, conclusasi con un disastro navale (460-54 a.C.); il contemporaneo conflitto con Corinto, provocato dall’alleanza ateniese con Megara (459 a.C.); la guerra con Sparta, esplosa a causa dei dissidi tra la Doride e la Focide (458-57 a.C.), e quella con Egina, chiusasi con la sottomissione dell’isola (459-56 a.C.); le campagne in Beozia, culminate nella sconfitta di Tanagra e nella vittoria di Enofita (457 a.C.); la spedizione navale di Tolmide intorno al Peloponneso (455 a.C.), seguita da quella condotta dallo stesso Pericle verso l’Acarnania (454-53 a.C.). Di fatto, solo nel 451 a.C., dopo la defezione di diversi alleati ionici, con il ritorno di Cimone dall’ostracismo e la stipulazione di una tregua quinquennale con Sparta, la politica estera di Atene sembrò ispirarsi nuovamente a criteri più moderati, avviandosi lungo i parametri tradizionali della guerra su un solo fronte, quella con la Persia. Al 450-49 a.C. si data una spedizione di Cimone contro Cipro occupata dai persiani, durante la quale il grande generale trovò la morte. Assai dubbia, già nell’antichità, è la stipulazione, che sarebbe avvenuta subito dopo (449 a.C.), di una pace con la Persia (la cosiddetta pace di Callia), che avrebbe previsto la rinuncia persiana al mare Egeo e l’interdizione alla costa occidentale dell’Asia Minore. Verso l’inizio degli anni Quaranta si constata una flessione della spinta imperialistica di Atene, anche se questa continuò a esercitare una funzione guida negli affari generali della Grecia. Quando in Beozia gli esuli aristocratici furono in grado di occupare alcune località, costringendo alla sconfitta presso Coronea lo stratego ateniese Tolmide (447-46 a.C.), si ebbe come effetto la liberazione della Beozia dal decennale predominio ateniese. Seguì subito dopo la rivolta dell’Eubea, cui fece fronte Pericle intervenendo con la flotta, benché fosse poi costretto a tornare precipitosamente indietro, avendo saputo della defezione di Megara sostenuta da una coalizione peloponnesiaca. Contemporaneamente, scaduta la tregua quinquennale (446 a.C.), si ebbe l’attacco degli spartani, arrestato a Eleusi dal pronto intervento di Pericle, che punì poi le città euboiche ribelli. L’anno successivo (446-45 a.C.) Atene stipulò con Sparta la cosiddetta pace dei trent’anni, che pose termine a quella che viene chiamata la prima guerra del Peloponneso (459-46 a.C.). Il trattato di pace comprendeva il ritorno di Megara nella lega peloponnesiaca, la conferma degli opposti schieramenti, la rinuncia di Sparta e Atene a ingerenze nelle rispettive aree di dominio, il riconoscimento della libertà delle città fino a quel momento autonome di aderire all’una o all’altra alleanza. Iniziò per Atene un periodo di relativa tranquillità, durante il quale si consolidò la politica sociale di Pericle, s’incrementò l’attività nel campo dell’edilizia pubblica (con i grandiosi lavori del Partenone, finanziati in gran parte con i tributi degli alleati), si sviluppò la democrazia nautica fondata sulla classe censitaria dei teti, s’intensificarono i traffici che fecero del Pireo il centro commerciale più importante del Mediterraneo, aumentò notevolmente il numero degli stranieri residenti (meteci), s’accrebbe il numero degli schiavi comprati sul mercato. Sul fronte interno si rafforzò l’opposizione con a capo Tucidide di Melesia, che venne ostracizzato probabilmente nello stesso anno in cui venne fondata la colonia panellenica di Sibari/Thurii (444-43 a.C.), mentre si stabilì un dominio più duro nell’ambito della lega marittima, riorganizzata in cinque distretti in funzione di una più rigorosa esazione del tributo. Nel 441 a.C. si ribellò l’isola di Samo retta da un governo oligarchico, una delle tre grandi alleate navali, con Chio e Lesbo. Pericle, intervenuto con la flotta, s’impadronì dell’isola e v’instaurò un regime democratico. Ma l’anno successivo una rivolta riportò al potere gli oligarchici. Dopo nove mesi di assedio, Samo si arrese, perdendo con l’autonomia il dominio su Amorgo e la flotta da guerra; fu costretta anche ad abbattere le mura e a pagare una forte indennità di guerra (439 a.C.). Con l’assoggettamento di Samo, quasi tutti gli alleati di Atene, tranne le città autonome di Chio e Lesbo, furono ridotti alla condizione di sudditi. Nel giro di qualche anno gli avversari di Pericle riuscirono a riorganizzarsi sino a intentare una serie di processi contro il suo entourage: prima contro lo scultore del Partenone, Fidia (438-37 a.C.), poi, approfittando del ritorno in patria di Tucidide di Melesia, contro Aspasia, la compagna di Pericle, e il filosofo Anassagora (333-32 a.C.). Nella seconda metà degli anni Trenta era ormai in crisi la tregua trentennale con Sparta a causa della forte ingerenza di Atene nella sfera degli interessi corinzi. Nel settembre 433 a.C. non bastò ad Atene stipulare un trattato strettamente difensivo con Corcira, colonia ribelle di Corinto, per evitare un suo intervento armato a protezione dei corciresi. Poco dopo Atene interferì nuovamente nell’area d’influenza corinzia: intimò alla città di Potidea, colonia di Corinto facente parte della lega delio-attica, di non accogliere più il supermagistrato che la metropoli le inviava ogni anno, e di abbattere le mura. Il rifiuto di Potidea, e la sua disdetta degli obblighi di città alleata di Atene, scatenò la guerra tra Atene e Potidea, sostenuta dal re macedone Perdicca II. Subito dopo fu adottata da Atene una misura senza precedenti, che doveva rivelarsi decisiva per lo scoppio del conflitto: fu fatto divieto ai megaresi di frequentare l’agorà attica e i porti dell’impero ateniese, il che significava danneggiare irrevocabilmente l’economia di una città facente parte della lega peloponnesiaca. Queste furono quelle che Tucidide chiama le aitíai, ossia le cause immediate, della grande guerra del Peloponneso, la cui causa vera (próphasis) fu però individuata dallo storico nella crescita di un organismo in piena espansione, qual era l’impero ateniese. Nell’estate del 432 a.C. l’assemblea spartana prima, e l’assemblea federale poi, dichiararono che Atene aveva violato la pace e decisero la guerra, che scoppiò all’inizio della primavera del 431 a.C. a causa di un fallito assalto, organizzato dai tebani e da alcuni esuli oligarchici, contro Platea, alleata di Atene.