Industria e disoccupazione nella Germania degli anni Trenta

Germania La repubblica di Weimar (1919-33)

Con la catastrofe militare, il sistema di potere costruito da Bismarck e perpetuato dall’imperatore Guglielmo II entrò definitivamente in crisi. Dopo il fallimento di un debole tentativo di riforma nel senso della monarchia parlamentare, promosso dal cancelliere Max von Baden nell’ottobre del 1918, si diffusero su tutto il territorio del Reich i consigli degli operai e dei soldati, strutturati secondo il modello dei soviet della Rivoluzione russa del 1917. L’8 novembre fu proclamata la repubblica a Monaco; il giorno successivo il socialdemocratico Scheidemann proclamò la repubblica a Berlino; la notte fra il 9 e il 10 novembre il Kaiser fuggì in Olanda; l’11 novembre, a Rethondes, fu firmato l’armistizio con le potenze vincitrici. Fu quindi creato un governo provvisorio dominato dai socialdemocratici moderati e presieduto da Friedrich Ebert, che prese contatti con lo stato maggiore dell’esercito per lottare contro il pericolo di una rivoluzione comunista. Fra il 30 dicembre del 1918 e il 1° gennaio del 1919, infatti, il gruppo dei cosiddetti “spartachisti” aveva fondato, sotto la guida di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg il Partito comunista tedesco, che si proponeva di fondare in Germania una repubblica dei consigli sul modello sovietico. Questo tentativo, tuttavia, fu represso nel sangue durante la “settimana rossa” (4-13 gennaio 1919). Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg furono assassinati il 15 gennaio. Da allora l’ultimo focolaio della rivoluzione socialista si concentrò in Baviera, dove dopo l’assassinio di Kurt Eisner (21 febbraio 1919) fu proclamata una repubblica dei consigli. Anche questo esperimento, tuttavia, fu soffocato nel sangue al principio del maggio 1919. Nel frattempo, dopo l’elezione dell’Assemblea costituente (19 gennaio 1919), che nominò Ebert presidente del Reich, fu promulgata la nuova costituzione, detta “di Weimar” (agosto 1919), che trasformava la Germania in una repubblica federale ispirata ai principi della democrazia parlamentare borghese: il potere legislativo fu affidato a un Reichstag di fronte al quale il cancelliere era responsabile; il presidente della repubblica, eletto ogni sette anni direttamente dal popolo, fu dotato di ampie prerogative, tra cui quella di sospendere le libertà civili e di governare attraverso decreti in caso di emergenza (art. 48). Uno dei problemi più gravi che afflisse la nuova repubblica fin dall’atto della sua fondazione fu quello delle conseguenze derivanti dal diktat imposto alla Germania nella conferenza di pace di Versailles (28 giugno 1919). La Germania, dichiarata unica responsabile della guerra, fu costretta a restituire alla Francia l’Alsazia-Lorena e a rinunciare a tutti i suoi possedimenti coloniali; al tempo stesso, le province della Prussia orientali furono separate dal resto del territorio tedesco da un “corridoio polacco” che terminava con Danzica, proclamata “città libera”. Dovette inoltre ridurre il proprio esercito a 100.000 unità e smobilitare la flotta militare. Infine fu costretta al pagamento di riparazioni di guerra, che nel 1921 furono fissate a 132 miliardi di marchi-oro. A garanzia del rispetto di queste clausole fu stabilita l’occupazione per 15 anni della riva sinistra del Reno e la smilitarizzazione della fascia destra. Il diktat di Versailles ebbe conseguenze disastrose sulla stabilità economica e politica della nuova repubblica tedesca e alimentò – accanto all’inflazione, alla disoccupazione e alla miseria – un nazionalismo autoritario di destra, che ebbe uno dei suoi principali esponenti nel generale Ludendorff e una delle sue organizzazioni più combattive nel Partito operaio tedesco fondato a Monaco il 5 gennaio del 1919 e poi divenuto, nell’agosto del 1920, Partito nazionalsocialista operaio tedesco (NSDAP), a cui aderì Adolf Hitler. Questa opposizione di destra – che costruì gran parte della sua fortuna sul mito di una presunta disfatta “interna” della Germania in guerra – organizzò, nel marzo del 1920, un colpo di stato sotto la guida di Wolfgang Kapp, che cercò di abbattere il governo socialdemocratico di Berlino. Il putsch, tuttavia, non ebbe il sostegno della borghesia, dell’esercito e suscitò la compatta reazione dei socialisti e dei sindacati, che organizzarono un grande sciopero generale. Al fallimento del colpo di stato, in ogni caso, seguì un periodo di forti tensioni, segnato dalla comparsa del terrorismo politico, che fece due vittime illustri: nel 1921 il ministro delle Finanze Erzberger, nel 1922 il ministro degli Esteri Rathenau. Nel 1923, nello stesso anno in cui l’inflazione e la disoccupazione avevano ormai raggiunto livelli di guardia, la situazione della repubblica fu ulteriormente aggravata dall’intransigenza della Francia che, in seguito ai ritardi nel pagamento delle riparazioni, occupò le regioni carbonifere della Ruhr (gennaio 1923) suscitando la “resistenza passiva” dei tedeschi. Il 9 settembre dello stesso anno le destre, guidate da Adolf Hitler e dal generale Ludendorff, tentarono nuovamente di rovesciare la situazione con un colpo di mano. Anche questa volta, tuttavia, il putsch fallì. Gustav Stresemann, chiamato alla guida del governo, riuscì a imprimere una svolta nel senso della stabilità avviando un’importante riforma monetaria (fu creato il Rentenmark) e ottenendo con il piano Dawes (settembre 1924) il sostegno economico degli Stati Uniti. La Germania poté così risollevarsi. Con Hindenburg presidente (1925), Stresemann avviò anche una nuova stagione di rapporti internazionali. Con il trattato di Locarno (16 ottobre 1925), con l’ingresso nella Società delle Nazioni (1926) e con il piano Young (1928) le relazioni con la Francia si fecero più distese: il problema delle riparazioni di guerra fu ripensato radicalmente e la Francia decise di evacuare la Ruhr (1929). Questi sviluppi furono interrotti dagli effetti devastanti provocati dalla crisi del 1929 in Europa, la quale riacuì le tensioni sociali che avevano segnato la storia del primissimo dopoguerra (la disoccupazione giunse a coinvolgere circa 6 milioni di persone) ridando fiato alle opposizioni estreme, soprattutto ai movimenti nazionalisti e autoritari di destra. Se ne avvantaggiarono soprattutto Hitler e il Partito nazionalsocialista che, con un organizzatissimo apparato paramilitare, le SA, con l’appoggio del grande capitale e dell’aristocrazia finanziaria tedesca, e con il consenso dei ceti medi rovinati dalla crisi, salirono poco per volta alla ribalta della scena politica, ottenendo alle elezioni del settembre del 1930 107 deputati. In questa situazione, il vecchio Hindenburg, che era stato rieletto alla presidenza nel 1932, affidò il governo a Franz von Papen (giugno 1932) e quindi al generale Kurt von Schleicher (dicembre 1932). Intanto, alle elezioni del luglio del 1932 il partito nazionalsocialista, con 230 deputati, si impose come il Partito di maggioranza nel Reichstag. Il 30 gennaio del 1933, dunque, Hindenburg nominò Hitler cancelliere.