Il Giappone nel XVII secolo

Giappone L’epoca Tokugawa (o Periodo Edo)

Dopo la morte di Hideyoshi (1598), il potere fu assunto da Tokugawa Ieyasu, che sconfisse dapprima, nella battaglia di Sekigahara (1600), una coalizione di daimyo ostili e debellò poi, tra il 1614 e il 1615, l’ultima resistenza dei sostenitori del figlio di Hideyoshi, Hideyori, designato dal padre alla successione. Già nel 1603 egli si era fatto conferire dall’imperatore la carica di shogun, in quanto lontano discendente dei Minamoto. Il sistema di dominio territoriale del regime dei Tokugawa raggiunse il suo assetto definitivo nella prima metà del XVII secolo. Ieyasu fissò la capitale a Edo, che nel corso di poco più di un secolo divenne un grande centro amministrativo, con una popolazione che raggiungeva il milione di abitanti. L’amministrazione diretta del governo shogunale si estendeva all’incirca su un quarto del territorio nazionale e comprendeva le città principali: Edo, Osaka, Kyoto e Nagasaki. Nei confronti degli stati feudali (han) venne attuato un sistema di dominio basato su un sapiente equilibrio tra le varie categorie dei daimyo: le Tre Casate (Go-sanke) discendenti da Ieyasu, i cui feudi erano disposti a difesa della via che da Edo conduceva a Kyoto e Osaka; i Fudai, vassalli tradizionali dei Tokugawa, tra i quali venivano scelti i ministri, con i loro feudi medio-piccoli concentrati intorno alle sedi centrali del potere shogunale; e gli Shinpan, imparentati con i Tokugawa, inseriti in funzione di controllo tra i grandi feudi dei daimyo Tozama, che si erano sottomessi a Ieyasu solo dopo la battaglia di Sekigahara. Nei confronti dei daimyo, formalmente sovrani, il governo shogunale disponeva di una serie di prerogative: dai limiti imposti agli armamenti e alle fortificazioni, al controllo sulla successione, con la facoltà di autorizzare matrimoni e adozioni, al diritto di esigere soccorso armato in caso di necessità e uomini e risorse per grandi opere pubbliche. Il controllo sui daimyo era assicurato, inoltre, dal sistema delle “residenze alterne”, che li obbligava a risiedere, un anno ogni due, presso la capitale. La corte imperiale e i nobili di Kyoto furono ripristinati nel loro status tradizionale; a essi, però, fu vietata qualsiasi attività politica. Alle dirette dipendenze dei Tokugawa erano gli Hatamoto, discendenti dai soldati di Ieyasu, che, insieme alla categoria subalterna dei Go-kenin, fornivano il personale dell’amministrazione shogunale. Ai suoi vertici, essa si articolava nel Consiglio degli anziani, che si occupava degli affari politici generali e del controllo dei daimyo, e in quello degli anziani juniores, che assisteva i primi nelle loro funzioni. I vari settori dell’amministrazione furono affidati ad alti funzionari che esercitavano sia il potere amministrativo che quello giudiziario. Le finanze del governo shogunale, come pure quelle dei singoli han, vennero basate sull’imposta fondiaria; v’erano inoltre una serie di imposte di più lieve entità che riguardavano le attività della popolazione urbana, e lo shogunato poteva richiedere contributi ai ricchi mercanti e ai daimyo. Lo shogunato inoltre controllava direttamente le miniere principali e aveva il monopolio della coniazione di monete d’oro, d’argento e di rame. Il sistema di dominio nei confronti della popolazione era basato su ceti ereditari chiusi, con al vertice i samurai, diventati ormai un ceto burocratico urbano, seguito dai contadini, dagli artigiani e dai mercanti, all’ultimo posto nella scala sociale in quanto non produttori, benché mediamente più agiati della classe feudale. Le due ultime categorie venivano indicate con il termine di chonin, (“abitanti delle città”). V’era infine una casta emarginata (eta, hinin), relegata a svolgere attività considerate impure a causa del divieto buddhista di uccidere esseri viventi, come la macellazione degli animali, la lavorazione delle pelli o la professione del boia. Lo stile di vita di ciascuna categoria era regolato da una serie di minuziose prescrizioni e i rapporti sociali e gli stessi rapporti di produzione si imperniavano sul sistema della famiglia estesa e sul rapporto di parentela fittizia. Le comunità rurali (mura) e urbane (machi) venivano tenute sotto controllo mediante il ricorso al principio della responsabilità collettiva. Nei villaggi tale controllo assumeva la forma dei “gruppi di cinque famiglie”, responsabili dell’osservanza delle norme e del pagamento delle imposte. Al capillare sistema di controllo interno si accompagnava un severo regime di limitazioni e di divieti relativi ai rapporti economici e culturali con il mondo esterno. Come Hideyoshi, Ieyasu cercò di stimolare le attività dei mercanti giapponesi nei paesi dell’Asia sudorientale e favorì, nel 1613, l’invio di una missione in Spagna e a Roma, instaurando rapporti anche con l’Inghilterra e l’Olanda. Ben presto, tuttavia, egli riprese le persecuzioni contro i cristiani. Nel 1624 furono espulsi gli spagnoli e, nel 1638, dopo la repressione della grande rivolta cristiana di Shimabara, anche i i portoghesi. Ai giapponesi fu proibito, sotto pena di morte, di recarsi all’estero e di ritornare in Giappone una volta espatriati; i cristiani furono sottoposti a crudeli torture e nelle zone sudoccidentali del paese, dove la religione cristiana era maggiormente penetrata, si fece ricorso al controllo sulla popolazione attraverso la registrazione presso i templi della setta buddhista di appartenenza: un sistema che, esteso a tutto il paese, fece del buddhismo un vero e proprio “instrumentum regni”. Vennero invece mantenuti, ma solo nel porto di Nagasaki, i rapporti commerciali con i cinesi e con la Compagnia olandese delle Indie, un limitato ma importante canale di comunicazione con l’Occidente. Il lungo periodo di stabilità garantito dal regime shogunale rese possibile un rapido sviluppo economico; si ebbe un forte aumento della produzione agricola, mentre l’accentramento e le esigenze poste dal sistema delle residenze alterne producevano un grande sviluppo urbano e l’instaurarsi di intensi flussi commerciali tra le province, Osaka, il principale centro commerciale, e la capitale Edo. A partire dalla fine del XVII secolo, tuttavia, l’inflazione mise in crisi le finanze dei daimyo e dello stesso governo shogunale. Per far fronte a questa situazione, l’ottavo shogun, Yoshimune, nella prima metà del secolo XVIII, coinvolse nella gestione della politica economica le corporazioni mercantili, riconoscendone ufficialmente il monopolio. Nella seconda metà del secolo, un ministro di estrazione plebea, Tanuma Okitsugu, si spinse oltre, imponendo monopoli statali, raccogliendo dai mercanti denaro da prestare ai daimyo e impegnandosi nello sviluppo delle risorse dell’attuale isola di Hokkaido; accusato di corruzione, egli fu però costretto a ritirarsi, mentre la situazione si aggravava per il verificarsi di gravi disastri naturali e carestie a cui si accompagnarono rivolte contadine e tumulti urbani. Dopo una nuova serie di riforme introdotte a fine secolo, negli anni Trenta dell’Ottocento, una grande carestia provocò la ripresa delle rivolte contadine. Molto viva era anche la protesta dei piccoli produttori rurali contro le corporazioni urbane, il cui monopolio, all’origine del lievitare dei prezzi, dava luogo a tumulti urbani. Particolarmente minacciosa per lo shogunato fu nel 1837 la rivolta di Oshio Heihachiro a Osaka: un’azione organizzata, guidata da un samurai e diretta all’abbattimento del corrotto regime feudale in nome del governo giusto dell’imperatore. Di fronte alla gravità della situazione, il ministro Mizuno Tadakuni introdusse nuove riforme, ma lo scioglimento delle corporazioni mercantili e qualche timida misura accentratrice suscitarono l’opposizione degli ambienti tradizionali del governo shogunale, che lo costrinsero alle dimissioni. Maggiore successo ebbero le riforme introdotte da importanti han Tozama del Giappone occidentale, come Choshu e Satsuma, che istituirono il monopolio sui prodotti locali, con il coinvolgimento del ceto mercantile. Il periodo Edo vide lo sviluppo di una vivace cultura popolare e di correnti intellettuali preparatrici del processo di modernizzazione. Insieme a un pensiero confuciano eterodosso contrapposto al neoconfucianesimo ufficiale, nacque una Scuola di studi nazionali (Kokugaku), che si contrapponeva alla cultura cinese ponendo le basi del nazionalismo giapponese. Le nuove conoscenze provenienti dall’Occidente ispiravano ai più coscienti tra i samurai proposte di riforma del regime feudale.