età moderna

  1. Significato del termine
  2. Il problema della periodizzazione
  3. I fattori “originari” della modernità
  4. Produzione, rapporti sociali, demografia
  5. La nascita della scienza moderna nel Seicento
  6. Le lotte per l’egemonia nell’Europa del Cinque-Seicento
  7. I due volti del potere: assolutismo e parlamentarismo
  8. L’Europa, l’espansionismo e il colonialismo
  9. La geografia dello sviluppo nell’Europa e nel mondo
  10. Verso l’età contemporanea: rivoluzione industriale e rivoluzioni politiche
1. Significato del termine

Per età moderna si intende il periodo che dalla fine del XV secolo arriva alla fine del Settecento. La parola italiana “moderno” deriva dal latino tardo “modernus”, che ha la sua radice nell’avverbio “modo” (ora, in questo momento o periodo). Il termine ha un significato in un certo senso ambiguo, poiché dal punto di vista lessicale coincide con “contemporaneo”, tanto che i due aggettivi vengono spesso usati in maniera scambievole. Nella periodizzazione propriamente storica l’età moderna sta ad indicare l’età che precede quella contemporanea.

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2. Il problema della periodizzazione

La distinzione corrente tra età antica, medievale, moderna e contemporanea è essenzialmente centrata sulle vicende della storia d’Europa; ed è dunque a tali vicende che occorre fare riferimento per spiegarla. È stata la cultura europea a elaborarla, per interpretare la storia del vecchio continente e del resto del mondo entrato in relazione con esso. L’età moderna ha due confini assai significativi: all’inizio il tramonto del medioevo, le grandi scoperte geografiche, la civiltà rinascimentale, la formazione degli stati nazionali, il sorgere di nuovi apparati burocratici, la svolta rappresentata dalla stampa, la rottura dell’unità religiosa del mondo cristiano; alla fine la rivoluzione industriale in Inghilterra, la crisi delle monarchie assolute, la rivoluzione americana e quella francese e le vicende dell’impero napoleonico. Ma se la periodizzazione dell’età moderna, così come gli europei l’hanno intesa, è marcata dalle vicende del vecchio continente; e se ciò ha una sua giustificazione nel fatto che l’Europa fra i secoli XVI e XVIII conobbe fenomeni innovativi come l’emergere in economia del capitalismo e in politica dello stato, che chiamiamo appunto “moderni”, e come le rivoluzioni scientifica e industriale, che la dotarono infine di una potenza senza pari, è anche un dato di fatto che in quel periodo storico il continente, pur in continua “espansione” in conseguenza in primo luogo del colonialismo, non aveva ancora acquistato quella “centralità” di cui venne a godere nel secolo XIX, quando ottenne un incontrastato potere mondiale grazie alla sua superiorità scientifica, tecnologica, economica e militare. L’età moderna fu infatti caratterizzata dalla compresenza di una pluralità di centri di potere mondiale, coincidenti con grandi civiltà e entità statali dotate di una elevata cultura e di rilevanti risorse economiche e militari – si pensi soltanto all’impero ottomano, all’India, alla Persia, alla Cina, al Giappone. Fu solo nella seconda metà del Settecento che i rapporti di forza andarono alterandosi così da aprire la strada in senso proprio alla centralità dell’Europa, intesa sia come predominio materiale sia come attacco sempre più ampio alle altrui “identità”, nel quadro di un processo di esportazione, per consenso o per imposizione, della propria economia, scienza, tecnologia e, almeno in parte, anche dei propri valori, indirizzi culturali, modelli istituzionali.

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3. I fattori “originari” della modernità

Il tramonto del medioevo e l’avvento dell’età moderna si caratterizzano per un insieme di elementi diversi eppure interconnessi secondo una coerenza che conferisce, appunto, significato all’idea della “modernità”. Vi è da menzionare innanzitutto il nuovo senso che, nell’Umanesimo e nel Rinascimento, le élites colte acquistarono e affermarono del ruolo dell’uomo: centro dell’universo, teso a ridefinire i confini del mondo sottoponendo alle armi della critica il patrimonio culturale trasmesso dal passato. Di qui un interesse appassionato per la natura: da studiare con gli strumenti di una scienza pronta, quando necessario, a sfidare il tradizionale magistero della chiesa; di qui l’impulso ad analizzare il suo linguaggio, per coglierne le “regole” e trarne le conoscenze atte a elaborare tecniche adatte a meglio piegarla alle esigenze umane (rivoluzione scientifica). Di qui anche l’emergere della coscienza – di cui fu principale interprete a livello teorico Machiavelli – dell’autonomia dalla religione e dalla chiesa della politica, la quale ha il compito di obbedire, per essere efficace, alle regole sue proprie, al servizio di progetti di ordine terreno. Questa coscienza e cultura nuove non sarebbero state possibili senza la formazione di uno strato di intellettuali – alcuni di stato ecclesiastico, altri laici al servizio diretto dei sovrani e dell’alta nobiltà e viventi nelle loro corti oppure inseriti nelle file delle burocrazie statali in formazione – in corrispondenza tra loro, impegnati nell’elaborazione e nella diffusione delle idee caratterizzanti l’epoca emergente, così da formare e influenzare una opinione pubblica impensabile nel medioevo. Tutto ciò ricevette uno straordinario impulso dalla stampa, la cui tecnica venne messa a punto a metà Quattrocento. La stampa – una delle grandi rivoluzioni della storia umana – non fu solo un mezzo ineguagliato della diffusione delle idee dei grandi intellettuali e delle loro opere. Essa raggiunse, direttamente o indirettamente, anche gli strati popolari, mediante i calendari, gli almanacchi, i lunari, gli opuscoli, ecc. Ed ebbe un peso enorme nelle lotte politiche e religiose, diventando uno strumento efficace e insostituibile della diffusione delle fedi e delle ideologie. Il che si vide assai bene anzitutto nel corso della Riforma protestante e della Controriforma. Il libro a stampa rivoluzionò l’organizzazione della cultura, dando vita a centri editoriali, a pubblicazioni periodiche e a nuovi tipi di biblioteche. La possibilità offerta dalla stampa di diffondere su grande scala le idee indusse l’autorità sia religiosa sia politica a organizzare in maniera sistematica il controllo e la repressione delle idee giudicate pericolose; tanto che la censura diventò uno dei compiti fondamentali del potere costituito. Altro decisivo elemento della modernità fu il formarsi tra il XV e il XVI secolo di ciò che significativamente viene chiamato lo stato moderno e che trovò la sua espressione nella monarchia assoluta, sviluppatasi dapprima in Francia, Spagna, Inghilterra, nei principati di Prussia e Savoia e nelle signorie italiane. Lo sviluppo dello stato moderno portò con sé il graduale accentramento dei poteri nelle mani del monarca, titolare unico della sovranità e quindi “legibus solutus ”. Da questo vennero perciò a dipendere in maniera via via più stretta l’esercito, gli apparati burocratici, l’apparato fiscale, il sistema giudiziario. Di fronte al monarca non stavano individui dotati di diritti di cittadinanza, ma sudditi o collettività o individui detentori di privilegi tradizionali che l’assolutismo in parte inglobò nel proprio sistema e in parte distrusse. Lo stato assoluto, in quanto tale, non riconobbe più istituzioni come l’impero universale e la soggezione al magistero della chiesa secondo la concezione medievale. Un’ulteriore componente della modernità fu la drammatica rottura dell’unità religiosa dell’Europa, che si produsse nella prima metà del Cinquecento. La lotta tra l’Europa della Riforma protestante e l’Europa cattolica della Controriforma investì i valori complessivi della vita, il costume, la politica, la cultura e i rapporti economico-sociali, proiettando i suoi effetti nel corso di tutta l’età moderna. La Riforma per un verso fu improntata allo spirito rinascimentale, nel senso che esaltò l’individualismo, il “ritorno ai principi”, il libero accostamento di ciascun fedele ai testi originari del cristianesimo, per un altro verso si oppose fortemente a quello stesso spirito in nome dell’annullamento dell’uomo in Dio e per l’ostilità, di matrice ascetica, verso ogni manifestazione di edonismo e ogni pretesa di assegnare un valore autonomo alla ragione umana e agli ordinamenti terreni. Lo scontro epocale tra protestanti e cattolici gettò l’Europa nelle guerre di religione, le quali furono insieme religiose, politiche e sociali e culminarono in quella grande tragedia per il continente che fu la guerra dei Trent’anni (1618-48). Ma dalle lotte implacabili, sanguinose e crudeli, che coinvolsero i singoli stati e la comunità internazionale e si conclusero con la presa d’atto delle parti opposte che si doveva infine rinunciare al progetto di integrale “conquista” o “riconquista” e di ricostituzione dell’unità cristiana, vennero da un lato la spartizione religiosa dell’Europa e dall’altro, originariamente più per necessità che per valori consapevoli, il riconoscimento di regole di civile convivenza: un riconoscimento, che finì per aprire la strada all’idea di tolleranza e, più compiutamente, della libertà di religione e di coscienza. Il Cinquecento fu il secolo della cultura rinascimentale, della diffusione della stampa, della rottura dell’unità cristiana, ma anche delle scoperte geografiche e della formazione dei grandi imperi coloniali spagnolo e portoghese, cui nel secolo seguente seguirono quelli di Olanda, Inghilterra e Francia. Il colonialismo fu l’espressione congiunta della potenza militare, tecnologica ed economica di un’Europa tesa all’indiscriminato sfruttamento delle risorse umane e materiali dei paesi assoggettati e proiettata a gettare le basi della sua “centralità” e di un senso di “superiorità” nutrito di razzismo, intolleranza religiosa e culturale.

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4. Produzione, rapporti sociali, demografia

Se nel corso dell’età moderna la mondializzazione dell’economia – di cui l’intensificazione dei traffici intercontinentali fu la grande espressione – divenne un dato di fatto e il capitalismo moderno iniziò il proprio corso, bisogna anche sottolineare i limiti di questo processo, che solo nel Settecento conobbe una vera e propria accelerazione. Fino ad allora, infatti, l’economia europea e più in generale quella mondiale rimasero dominate da un’agricoltura arretrata e immobilista. L’energia umana restava il fattore produttivo decisivo accanto a quella fornita dalle acque e dai venti; la popolazione dell’Europa, la cui vita media restò nei tre secoli bassissima (tra i 20 e i 30 anni), agli inizi del Cinquecento era di poco superiore agli 80 milioni e avrebbe superato di poco i 110 due secoli dopo (quando la popolazione mondiale rimaneva notevolmente inferiore al miliardo). L’Europa agraria era divisa tra una zona in via di modernizzazione (Spagna, Inghilterra, Paesi Bassi, Italia centro-settentrionale, Francia del Sud), in cui i contadini erano ormai liberi e avanzava la conduzione capitalistica; una zona centrale in cui continuavano ancora a pesare enormemente i rapporti agrari segnati dal potere signorile di matrice feudale; e una zona orientale caratterizzata dalla servitù della gleba e dalla grande proprietà nobiliare. Il disagio contadino, fortissimo, provocò ricorrenti e diffuse rivolte. L’industria restò, in maniera di gran lunga prevalente, di carattere artigianale e regolata da ordinamenti corporativi che sarebbero stati poi travolti dalla rivoluzione industriale e dalla Rivoluzione francese. Nel Sei-Settecento andò sviluppandosi, specie in Francia e Inghilterra, la grande industria manifatturiera. Il commercio internazionale e in primo luogo intercontinentale, in relazione al ruolo via via maggiore delle banche, acquistò a sua volta un peso crescente. Nell’Europa moderna i sistemi sociali si articolavano in quattro grandi strati – clero, nobili, borghesi, masse popolari – nel quadro di un consolidato ordine di privilegi e funzioni per ciascuno dei primi tre “stati”, al loro interno fortemente differenziati: un sistema, questo, che venne scosso e infine sconvolto dagli effetti sociali e politici delle rivoluzioni inglesi e francese e dalla rivoluzione industriale, che ebbe il suo avvio in Inghilterra nella seconda metà del Settecento e trasse il suo impulso decisivo dall’innovazione tecnologica (e in primo luogo dall’invenzione della macchina a vapore, destinata a sconvolgere industria e trasporti), dai capitali e dalle risorse messe a disposizione dal capitalismo agrario e dal commercio internazionale.

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5. La nascita della scienza moderna nel Seicento

La cultura rinascimentale aveva esaltato la centralità dell’uomo e affermato con forza il valore della ragione e dell’esperienza quali fonti della conoscenza. Ma fu nel Seicento che la scienza che chiamiamo “moderna” trovò il proprio statuto e fissò principi destinati a durare fino all’Ottocento (rivoluzione scientifica). Vennero elaborati allora i “metodi” della ricerca volta a scoprire le “leggi” della natura e si affermò compiutamente l’idea che le verità della scienza, espresse nelle formule della logica e della matematica, devono trovare la loro conferma negli “esperimenti”. La scienza moderna dovette pressoché costantemente urtarsi nel suo cammino contro l’insegnamento dogmatico delle chiese e subirne sovente – si pensi solo a Galilei – la persecuzione e il bando. I protagonisti della ricerca scientifica erano in molti casi non già docenti universitari, ma geniali dilettanti che proprio per questo si sentivano liberi da vincoli, tradizioni e pregiudizi. Fra gli scienziati la comunicazione era comunque intensa e trovò infine, specie nella seconda metà del Seicento, le proprie sedi istituzionali nella formazione di accademie e società, come l’Accademia del Cimento in Toscana, la Società Reale per il progresso delle scienze naturali a Londra, l’Accademia delle scienze francese, l’Accademia di Berlino. La nuova mentalità scientifica improntò di sé anche la ricerca volta alla comprensione del mondo storico. Il contatto con i paesi extraeuropei contribuì in maniera determinante alla coscienza della diversità e della relatività dei valori e del peso che nella formazione della diversità hanno le condizioni storiche e sociali. Il tradizionalismo dogmatico venne in particolare attaccato dai “libertini”, pensatori orientati a rivendicare la libera critica delle tradizioni culturali e religiose. Il senso della molteplicità dei valori si tradusse anche nella difesa del pluralismo e nella rivendicazione del diritto di ciascuno alla libertà di coscienza e pensiero.

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6. Le lotte per l’egemonia nell’Europa del Cinque-Seicento

L’età moderna vide da un lato l’Europa in lotta contro la minaccia di espansione turca (definitivamente bloccata nei pressi di Vienna nel 1683) e dall’altro la formazione e lo sviluppo dei grandi stati nazionali in conflitto per l’egemonia nel continente e proiettati verso il mondo extraeuropeo. L’espansionismo dell’impero ottomano era proseguito incessantemente nel XVI secolo estendendosi a tenaglia nel Mediterraneo e nell’Europa sud-orientale, fino a raggiungere il massimo della potenza intorno alla metà del Cinquecento. Il compito di sostenere principalmente l’urto con gli ottomani cadde principalmente sulla “cristianissima” Spagna, sotto la cui guida le forze cristiane riportarono nelle acque di Lepanto nel 1571 una storica vittoria. Nel corso della prima metà del Cinquecento si fece più che mai chiaro come i soggetti della politica internazionale in Europa andassero modificandosi rapidamente e drasticamente. Si delinearono nello stesso periodo il crollo del sogno di Carlo V di mantenere il primato della “monarchia universale” incarnata dal Sacro Romano Impero, l’incapacità degli stati regionali di mantenere la loro effettiva autonomia e l’emergere quali centri di potere dominanti degli stati nazionali (Spagna, Inghilterra, Francia) e dell’impero asburgico, cui si aggiunse l’Olanda con la sua straordinaria potenza commerciale. I rapporti tra le maggiori potenze europee, impegnate nelle lotte per l’egemonia, furono contraddistinti da periodi di pace-tregua cui seguì la ricorrente rottura degli equilibri. Nel XVI secolo grandi protagoniste dei conflitti per la conquista dell’egemonia furono la Spagna e la Francia; le quali, con alterne vicende, sottoposero l’Italia al loro dominio diretto o alla loro influenza. La penisola cadde infine nel 1559 sotto la soggezione della Spagna, rimanendovi per quasi un secolo, fino al 1648. Nella seconda metà del Cinquecento la Spagna fu la potenza maggiore del continente. Ma il suo sistema politico e sociale si dimostrò infine fallimentare, così da portare il paese nel secolo successivo a una sempre più accentuata decadenza. In Spagna l’economia si distingueva non già per la forza produttiva, ma per lo sfruttamento delle colonie e in particolare dei metalli preziosi americani, per la rendita, per il diffuso spirito parassitario, in un quadro di paralizzanti gerarchie sociali; il centralismo monarchico vi era rigidissimo e alimentava uno statico burocratismo; lo stato, tutt’uno con la chiesa cattolica e la sua soffocante Inquisizione, represse violentemente ebrei e musulmani con gravi danni socioeconomici; la costruzione di un apparato militare gigantesco per l’epoca finì per provocare una completa bancarotta finanziaria. Dopo la grande vittoria di Lepanto nel 1571, la Spagna conobbe due disfatte gravissime: la fallita invasione dell’Inghilterra nel 1588 e la rivolta dei ricchi Paesi Bassi che culminò nella formazione delle Province Unite nel 1579. La decadenza spagnola ebbe come contraltare l’ascesa dell’Inghilterra e quella dell’Olanda: due paesi di grande dinamismo, animati dallo spirito capitalistico, tesi all’espansionismo commerciale e coloniale, forti di un vivo pluralismo religioso e culturale. Il significato della guerra dei Trent’anni – uno dei conflitti più sanguinosi della storia europea – è riassumibile nel fatto che si concluse, in seguito alla pace di Vestfalia del 1648, con lo scacco subito dal disegno degli Asburgo di Austria e di Spagna di stabilire la propria egemonia sul continente mediante il controllo sull’intero mondo tedesco e l’annientamento politico delle potenze protestanti. Dalla pace uscì una carta geopolitica dell’Europa del tutto modificata, con il definitivo riconoscimento dell’indipendenza delle Province Unite, il rafforzamento della Francia, che all’indomani delle guerre di religione si era potuta opporre con successo al disegno asburgico e divenne la prima potenza dell’Europa continentale, la frammentazione politica della Germania e l’insuccesso del piano di riconquista cattolica di quel paese, la formazione di un impero svedese. Nel corso del decennio successivo, la lotta tra la Francia, alleata con l’Inghilterra, e la Spagna si concluse con la definitiva sconfitta di quest’ultima e lo stabilirsi dell’egemonia continentale della prima. Un’altra acuta direttrice di scontro accanto a quella tra Francia e Spagna era stata nello stesso periodo quella che aveva opposto i due paesi che erano alla testa del progresso economico e politico d’Europa, l’Inghilterra e l’Olanda. A quest’ultima nel 1651 l’Inghilterra di Cromwell aveva imposto, con l’Atto di navigazione, il rispetto privilegiato dei propri interessi commerciali. La seconda metà del secolo e il primo decennio del successivo furono dominati dai tentativi della Francia di Luigi XIV, prima in alleanza e poi in contrasto con l’Inghilterra, di stroncare la potenza economica olandese e di affermare la propria egemonia. Gli olandesi non solo resistettero all’aggressione, preservando con la pace di Nimega del 1678 la propria integrità, ma nel corso delle grandi guerre che coinvolsero l’Europa tra fine Seicento e inizi del Settecento capovolsero la situazione, grazie a una grande alleanza con l’Inghilterra e l’impero. I trattati di Utrecht e Rastadt (1713-14) segnarono così il fallimento delle ambizioni egemoniche francesi e l’affermazione del principio dell’equilibrio, mentre l’Italia cadeva sotto il controllo austriaco.

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7. I due volti del potere: assolutismo e parlamentarismo

Il Seicento fu il secolo nel corso del quale si consolidarono due opposti modelli di potere e di stato: quello assolutistico centrato sul monarca e quello antiassolutistico parlamentare. Il primo trovò la sua più compiuta espressione in Spagna e in Francia – in quest’ultima l’assolutismo si consolidò definitivamente nella seconda metà del Seicento dopo una lunga lotta in cui si confrontarono da un lato la corona e dall’altro le diverse forze che a essa si opponevano (la grande nobiltà, il parlamento di Parigi, i protestanti ostili al centralismo monarchico-cattolico); il secondo si sviluppò in Inghilterra – dove lo scontro tra assolutisti e antiassolutisti nel corso delle due rivoluzioni del Seicento ebbe un esito opposto rispetto a quello francese – e nelle Province Unite calviniste dominate dall’Olanda, che, vista riconosciuta la propria indipendenza dalla Spagna nel 1648, costruirono una repubblica parlamentare borghese divenuta centro del commercio internazionale. In Inghilterra e in Olanda a dare un saldo fondamento al parlamentarismo fu l’ascesa economica e culturale dei ceti medi. Mentre l’assolutismo tendeva al centralismo politico e amministrativo, a imporre un saldo controllo dello stato sulla società civile, al monismo religioso e ideologico; l’antiassolutismo parlamentare, espressione della società civile, valorizzava la distribuzione del potere tra esecutivo e legislativo, sviluppava il pluralismo religioso (veicolo di quello culturale) e l’individualismo di matrice protestante, esaltava l’idea secondo cui un governo legittimo non poteva in nessun caso sfidare i diritti naturali che garantivano ogni uomo dagli arbitri del potere e secondo cui la società doveva avere la sua rappresentanza politica in un parlamento dotato del potere di tutela di quegli stessi diritti. Troviamo qui le origini dei principi e degli istituti del moderno liberalismo. A Oriente il modello assolutistico mise radici nella Russia di Pietro il Grande a cavallo tra Sei e Settecento, assumendo i tratti del dispotismo. Nelle mani di Pietro, esso diventò lo strumento di uno spietato centralismo statalistico, avente come scopo la modernizzazione della Russia, intesa essenzialmente come adeguamento dell’esercito e della flotta agli standard dell’Europa più progredita, come assoggettamento di tutte le classi e della chiesa ortodossa al sovrano e allo stato, come affermazione del paese quale grande potenza europea a scapito in primo luogo di Svezia, Polonia e Turchia. Fu allora che la Russia entrò a far parte della civiltà e del sistema degli equilibri europei, ponendo fine al suo tradizionale isolamento dall’Occidente. Nel corso del Settecento in Francia – il paese più sviluppato fra quelli maggiori del continente – l’assolutismo, incapace di imporsi a una parte importante della nobiltà, dei ceti intermedi e delle élites intellettuali, andò progressivamente indebolendosi, così da aprire infine le porte alla rivoluzione. Per contro in paesi meno sviluppati come la Prussia, l’Austria, la Russia, la Spagna e il Portogallo, l’Italia, l’assolutismo divenne un mezzo potente di riformismo dall’alto, che, per l’utilizzazione fatta dai sovrani della cultura illuministica, fu definito dispotismo illuminato. Insomma, Inghilterra e Olanda videro il trionfo del modello parlamentare; la Francia fra la morte di Luigi XIV nel 1715 e il l789, inizio della rivoluzione, fu la sede di un assolutismo in crisi; gli altri paesi sopranominati costituirono nel Settecento una vasta area in cui lo stato assolutistico conobbe il suo apice.

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8. L’Europa, l’espansionismo e il colonialismo

L’età moderna portò gli europei a un duplice processo espansivo: da un lato la scoperta e l’assoggettamento delle Americhe e di altre parti del mondo precedentemente sconosciute, dall’altro una penetrazione commerciale e coloniale sempre maggiore in tutto il mondo extraeuropeo. Questo processo fu reso possibile dalla incontrastata potenza europea in tema di tecniche di navigazione, armamenti, forza degli stati, superiorità organizzativa, mezzi economici. L’espansionismo europeo e la formazione dei grandi imperi di Spagna, Portogallo, Inghilterra, Olanda e Francia diedero luogo all’avanzata comune delle potenze europee e della civiltà europea nei paesi assoggettati da una parte e dall’altra allo scontro tra queste stesse potenze ogni volta che esse entrarono in un irresolubile conflitto di interessi. Nel XVI secolo si affermò il primato coloniale incontrastato della Spagna e del Portogallo; nel XVII fu la volta della formazione degli imperi di Olanda, Inghilterra e Francia; il secolo XVIII vide un lungo e mortale scontro tra questi due ultimi paesi che portò gli inglesi a divenire la potenza dominante nel Nord America, a porre sotto la propria influenza l’India e a gettare le basi del più grande impero coloniale della storia.

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9. La geografia dello sviluppo nell’Europa e nel mondo

La cultura umanistica prima, la rivoluzione scientifica del Seicento poi, infine e soprattutto la rivoluzione tecnologico-industriale che prese l’avvio dall’Inghilterra settecentesca diedero agli europei in maniera crescente la consapevolezza di poter padroneggiare le forze della natura e per questa via mutare, mediante un costante processo di innovazione e di sviluppo, le basi della propria vita. Questa coscienza e lo sviluppo culturale e materiale non si diffusero però in maniera uniforme. Si avviarono infatti forti processi di differenziazione, che distanziarono in maniera sempre più profonda l’Europa dagli altri continenti (fatta eccezione, in parte, per il Nord America, dove gli europei immigrati importarono stabilmente e diffusamente la civiltà di origine) e, all’interno del vecchio continente, alcuni paesi come l’Inghilterra, l’Olanda, la Francia, parte della Germania e dell’Italia, da altre zone rimaste più o meno arretrate; e ancora, più in generale, le città dalle campagne. In tal modo prese la sua fisionomia – per aspetti essenziali delineatasi nel vecchio continente fin dal tardo medioevo – quella geografia dello sviluppo, dello scarso e del mancato sviluppo che ha costituito una caratteristica di enorme importanza, da allora fino ai nostri giorni, sia dell’Europa sia del mondo. Come si è già osservato, nel corso dell’età moderna, gli stati europei continuarono ad avere di fronte a sé grandi aggregati culturali, politici e sociali come in primo luogo gli imperi ottomano, cinese, persiano (ma non solo). Se non che mentre l’Europa era contraddistinta da una continua capacità di innovazione che ne accresceva la potenza soprattutto militare ed economica, quegli imperi rimasero dominati da uno spirito di conservazione e persino di immobilità, che alla fine doveva portarli alla decadenza e, nello scontro con gli europei, alla rovina.

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10. Verso l’età contemporanea: rivoluzione industriale e rivoluzioni politiche

La cultura dell’Illuminismo, al di là dei suoi molteplici aspetti, correnti ed esponenti, in consapevole polemica con il tradizionalismo diede allo sviluppo una sua propria ideologia attraverso tre idee forza: l’idea della possibilità e persino della necessità del progresso sotto la guida dei lumi della ragione; l’idea della riforma politica quale strumento di un governo positivo dei rapporti sociali; il valore dei legami universalistici e del cosmopolitismo. L’idea del cambiamento sociale fu fatta organicamente propria dai governi assolutistici che diedero luogo al dispotismo illuminato, dai sistemi parlamentari e, infine, dai governi rivoluzionari. Il Settecento vide svilupparsi e confrontarsi il riformismo assolutistico e quello liberale. Le due grandi rivoluzioni che ebbero luogo nel tardo Settecento, la Rivoluzione francese e quella americana, trassero le loro radici dai nodi irrisolti dell’uno e dell’altro modello. In Francia, il più sviluppato tra i grandi stati continentali, furono la debolezza e le contraddizioni del riformismo assolutistico ad aprire le porte alla Rivoluzione; mentre in Inghilterra, il paese più avanzato d’Europa sulla strada del parlamentarismo liberale e dell’innovazione tecnico-scientifica ed economica, fu la volontà di chiusura alle evolute colonie americane, che chiedevano di essere integrate pienamente nel sistema politico della madrepatria, a provocare la guerra di liberazione nazionale che sfociò poi nella creazione degli Stati Uniti. La rivoluzione industriale partita dall’Inghilterra da un lato e dall’altro le due grandi rivoluzioni politiche di America e di Francia segnarono il momento di trapasso dall’età moderna all’età contemporanea. Esse diedero una brusca accelerazione ai fenomeni della modernizzazione, ponendo le basi del mondo in cui ci troviamo a vivere. In relazione ai loro sviluppi si ebbe: il consolidarsi del connubio scienza-tecnologia-industria; il formarsi del sistema di fabbrica; il sorgere delle due classi figlie della modernizzazione economico-sociale per eccellenza, la borghesia industriale e la classe operaia; il dispiegarsi di un nuovo tipo di conflitti sociali e politici; la genesi delle concezioni propriamente contemporanee del riformismo liberale, della rivoluzione e della controrivoluzione, della democrazia e del socialismo, del moderno cesarismo, dell’internazionalismo rivoluzionario e di quello reazionario; l’affacciarsi sulla scena politica delle masse, l’uso dell’ideologia come fattore di direzione politica e la comparsa di forme di organizzazione che hanno costituito gli embrioni dei partiti politici; l’inizio di grandi guerre continentali di tipo nuovo che – avendo come principali protagoniste per un verso la Francia prima rivoluzionaria e poi napoleonica, per l’altro la Gran Bretagna progredita, la Russia arretrata e l’Austria asburgica (risultate, queste ultime, le grandi vittoriose), hanno aperto la strada ai conflitti del XIX e XX secolo, fondati sulla mobilitazione delle masse a opera di gruppi dirigenti ideologizzati e a uno sfruttamento delle risorse umane e materiali senza precedenti. [Massimo L. Salvadori]

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