L’India dal XVI al XVII secolo

India L’impero Moghul (XVI-XVIII secolo)

La fortuna della nuova dinastia di Delhi durò soltanto fino al 1526, quando il sultano Ibrahim Lodi fu sconfitto a Panipat da Babur (1527-30) – un potente invasore musulmano di origini turco-mongole proveniente dall’Asia centrale e discendente da Gengis Khan e da Tamerlano – che, dopo aver vinto nel 1527 la resistenza dei Rajput, fondò l’impero dei Moghul nella regione compresa tra la valle dell’Indo e la pianura del Gange. Dopo che il suo più debole successore Humayun (1530-56) riuscì a stento a contenere una nuova invasione afghana, divenne imperatore Akbar il Grande (1556-1605), nipote di Babur, che estese il dominio dei Moghul sulla quasi totalità dell’India settentrionale – con l’eccezione delle estreme regioni nordorientali – e sulla parte centrosettentrionale del Deccan. Akbar agì come un sovrano “illuminato”: attraverso la creazione di quindici province controllate da un efficiente apparato di funzionari, consolidò le strutture politico-amministrative dell’impero sforzandosi di combinare i vantaggi di un dominio centralizzato con l’inevitabile struttura feudale dell’amministrazione; riorganizzò inoltre il diritto e l’assistenza pubblica; al tempo stesso praticò una politica di ampia tolleranza religiosa nei confronti delle comunità indù e diede un potente impulso alla poesia, alla scienza e alle arti. Dopo che al potere si succedettero suo figlio Giahangir (1605-1627) e Shah Giahan (1628-58) – che fissarono in Europa il mito dello splendore del “Gran Mogol” a spese, tuttavia, dell’efficienza del governo e degli apparati burocratici e con una relativa recrudescenza nei rapporti con la popolazione indù – divenne imperatore Aurangzeb (1658-1707), che giunse a porre sotto il proprio controllo, seppure in modo instabile e tutt’altro che privo di contrasti, la quasi totalità del territorio indiano, con l’eccezione delle estreme regioni meridionali, riproducendo così l’unità politica che quasi duemila anni prima aveva realizzato il re Asoka. Col passare del tempo, tuttavia, la politica religiosa di Aurangzeb (decisamente ostile all’elemento indù) e la sua politica di espansione militare (fonte di tensione con le popolazioni locali e di una continua pressione fiscale, per lo più ai danni della popolazione non musulmana) produssero nel paese una situazione di profonda crisi, alimentando una serie di rivolte – dei rajput nelle regioni centrosettentrionali, dei marathi nel Deccan, e dei sikh nel Punjab – che minarono l’originaria coesione del dominio imperiale. La situazione fu ulteriormente aggravata dalle invasioni degli afghani e dei persiani, che giunsero fino alla stessa Delhi. Alla morte di Aurangzeb l’impero – che doveva peraltro sopravvivere formalmente fino al 1858 – si disgregò in una molteplicità di domini indipendenti e si ridusse di fatto a controllare il piccolo territorio della provincia di Delhi. Attraverso la duplice esperienza del sultanato di Delhi e dell’impero Moghul la presenza musulmana si consolidò in modo definitivo nel subcontinente indiano, soprattutto nelle regioni occidentali. L’induismo rimase tuttavia la religione della maggioranza della popolazione.