Bismarck-Schönhausen, Otto von

(Schönhausen, Brandeburgo, 1815, † Friedrichsruh 1898). Uomo politico e statista tedesco. Discendente da una nobile famiglia di Junker del Brandeburgo, studiò diritto a Gottinga e Berlino e dal 1836 prestò servizio nell’amministrazione statale. Nel 1839 si ritirò a Schönhausen per gestire le proprietà della famiglia. Nel giro di qualche anno, dopo essere entrato in contatto con i circoli pietisti della sua futura moglie Johanna von Puttkamer, che sposò nel 1847, si dedicò all’attività politica qualificandosi come un esponente dell’estrema destra e dell’assolutismo e come un difensore strenuo delle prerogative politiche e sociali della nobiltà terriera. Membro del Landtag unito prussiano (1847), si fece la fama dello Junker ultrareazionario – “da utilizzarsi solo ove imperino le baionette”, come avrebbe annotato più tardi il re Federico Guglielmo IV. Tra il marzo e l’aprile del 1848, quando la rivoluzione europea investì la Germania, criticò l’atteggiamento esitante del sovrano sollecitando misure apertamente repressive; un anno più tardi, nell’aprile del 1849, plaudì al rifiuto della corona imperiale opposto dal sovrano prussiano al Parlamento di Francoforte. Nel luglio del 1848 fu tra i fondatori della “Kreuzzeitung”, il principale organo di stampa dei conservatori; tra il febbraio e il luglio del 1849 fu eletto alla Camera dei deputati; fece infine parte, tra il 1850 e il 1851, del parlamento unionista di Erfurt. Sebbene fosse ancora favorevole, in questa primissima fase della sua carriera politica, all’idea di un’intesa tra la Prussia e l’Austria per ristabilire i principi del vecchio ordine europeo, il suo conservatorismo mostrò già allora alcuni tratti radicalmente diversi da quelli che avevano caratterizzato il legittimismo tradizionale. Rappresentante della Prussia alla dieta di Francoforte della ricostituita Confederazione germanica dal 1851 al 1859, poté seguire da un osservatorio privilegiato l’evoluzione dei rapporti di forza nel mondo tedesco maturando la convinzione che sarebbe stato presto necessario giungere a uno scontro aperto tra l’Austria e la Prussia per l’egemonia in Germania. Ambasciatore a Pietroburgo (1859-62) e poi a Parigi (1862), fu nominato dal nuovo re di Prussia Guglielmo I presidente dei ministri (23 settembre 1862) e ministro degli Esteri (8 ottobre 1862). La sua ascesa ai vertici supremi della politica prussiana, caldeggiata dal ministro della guerra Albrecht von Roon, fu dettata dall’acuirsi delle tensioni con l’Austria e, soprattutto, dalla volontà dei vertici politici e militari prussiani di porre fine allo scontro che si era aperto con il parlamento in merito alla riforma dell’esercito, all’approvazione del bilancio e alle prerogative della corona: il “conflitto costituzionale”. Esasperando l’alternativa tra il “governo del re” e il “dominio del parlamento” e dopo il celebre intervento alla Camera del 30 settembre del 1862 in cui affermò che “i grandi problemi della nostra epoca” si risolvono “col sangue e col ferro”, Bismarck non tenne conto dell’opposizione del parlamento e procedette attraverso decreti reali alla riorganizzazione dell’esercito. Si dedicò quindi a preparare le condizioni politiche e diplomatiche per realizzare l’unità della Germania. Dopo aver determinato, nell’estate del 1863, il fallimento di un’importante congresso della Confederazione germanica; dopo essersi garantito, nello stesso anno, l’appoggio della Russia solidarizzando con la repressione da parte dello zar Alessandro II dell’insurrezione polacca; e all’indomani della guerra contro la Danimarca (1864) combattuta insieme all’Austria per i due ducati dello Schleswig e dello Holstein, Bismarck pose le premesse del conflitto con l’Austria: stipulò la convenzione di Gastein (agosto 1865), che regolava l’amministrazione dei due ex ducati danesi; siglò gli accordi di Biarritz (ottobre 1865), diretti a garantire la neutralità della Francia; e sottoscrisse un trattato di alleanza con l’Italia (aprile 1866), interessata al Veneto. Isolata sul piano diplomatico, l’Austria fu sconfitta tra il giugno e il luglio del 1866 nella cosiddetta guerra delle Sette settimane, che si concluse con la disfatta di Sadowa (3 luglio 1866) e la pace di Praga (23 agosto 1866). Le conseguenze della vittoria prussiana furono enormi: l’impero asburgico, estromesso dall’area tedesca e trasformato in duplice monarchia austroungarica (1867), cominciò a proiettare i propri interessi verso l’area danubiano-balcanica; al tempo stesso, nacque la Confederazione del nord (comprendente gli stati tedeschi situati al nord del Meno) sotto l’egemonia prussiana. Altrettanto rilevanti furono le conseguenze sul piano della politica interna. Forte di un enorme prestigio, Bismarck riuscì a ottenere il sostegno di una parte rilevante dei liberali (i nazional-liberali); poté chiudere – con un’approvazione retrospettiva dei bilanci da parte del parlamento – il conflitto costituzionale; e poté anche permettersi di concedere, nel nuovo quadro istituzionale della Confederazione del nord (che fu esteso pochi anni più tardi a tutto il Secondo Reich), il suffragio universale per il Reichstag, controbilanciato peraltro sia dall’indipendenza del governo dal parlamento sia dal permanere in Prussia del sistema elettorale delle “tre classi”. L’ultimo ostacolo sulla strada del compimento dell’unificazione rimase allora la Francia di Napoleone III. Dopo aver alimentato negli stati della Germania meridionale il timore dell’egemonia francese, Bismarck sfruttò abilmente la crisi diplomatica apertasi nel 1868 in relazione alla questione della successione al trono di Spagna e culminata – dopo la prospettiva di una candidatura del principe Leopoldo di Hohenzollern – nel celebre episodio del telegramma di Ems (14 luglio 1870) che scatenò sia in Francia che in Prussia una violenta agitazione nazionalistica. Fu questa la premessa più immediata della guerra franco-prussiana. Dichiarata da Napoleone III il 19 luglio, essa si concluse di fatto il 1° settembre dello stesso anno con l’umiliante sconfitta dei francesi a Sedan. Con la pace di Francoforte (10 maggio 1871) Bismarck impose ai francesi una pesante indennità di guerra, la presenza di un esercito di occupazione tedesco e, soprattutto, la cessione dell’Alsazia e della Lorena settentrionale, fondamentale per intendere la storia successiva della rivalità franco-tedesca. Contemporaneamente, il 18 gennaio del 1871, nella sala degli specchi della reggia di Versailles Guglielmo I fu incoronato imperatore del Secondo Reich. Nominato cancelliere, Bismarck dedicò tutta la sua energia a rafforzare all’interno e all’esterno il neonato impero tedesco. In politica interna perseguì tre obiettivi strettamente correlati: il mantenimento di una sostanziale preponderanza dell’elemento prussiano all’interno del Reich; la conservazione dell’ordinamento politico e sociale esistente e, in particolare, degli interessi delle grandi aristocrazie terriere; la costruzione di un modello di “stato autoritario” (Obrigkeitsstaat) che avesse nei tre pilastri della Corona, dell’esercito e della burocrazia il suo reale punto di equilibrio. Responsabile del proprio operato soltanto di fronte all’imperatore e oggetto di un vero e proprio culto della personalità in quanto artefice dell’unità della Germania, Bismarck concentrò nelle proprie mani un potere enorme. Di fatto tuttavia non poté ignorare del tutto gli orientamenti delle maggioranze che si formavano all’interno del Reichstag e si sforzò di ricercare il consenso di partiti e gruppi di interesse di volta in volta diversi. Il suo scontro con i cattolici tra il 1871-72 e il 1878 – il Kulturkampf (lotta per la civiltà) – fu condotto con l’appoggio dei conservatori e dei nazional-liberali allo scopo di neutralizzare le tendenze particolaristiche degli stati cattolici del sud (in particolare la Baviera) e la forza crescente del partito del Centro cattolico. Tali obiettivi non furono tuttavia raggiunti e alla fine degli anni Settanta il Kulturkampf si era ormai risolto in un completo insuccesso. Nel frattempo si era venuta a creare una nuova costellazione politica: era aumentata l’inquietudine dei circoli conservatori di fronte all’impetuosa crescita del movimento operaio e della sua organizzazione politica e sindacale (nel 1875 era sorto il Partito socialdemocratico tedesco); la minaccia della concorrenza russa, americana e inglese sui mercati internazionali aveva inoltre prodotto un orientamento sempre più marcato verso una politica di stampo protezionistico – presto condiviso dallo stesso Bismarck, che nel 1879 introdusse le prime tariffe doganali entrando quindi in contrasto con i suoi vecchi sostenitori nazional-liberali; infine, in politica estera, l’avvicinamento del Reich all’Austria cattolica aveva reso sempre più difficile e imbarazzante la continuazione del Kulturkampf. In questo quadro Bismarck poté individuare un nuovo e più pericoloso “nemico interno” – i socialisti – e coagulare intorno a sé un nuovo spettro di forze: accanto ai conservatori, soprattutto il partito del Centro, divenuto ora indispensabile nella lotta contro il pericolo della rivoluzione sociale. Contro i socialisti Bismarck mise in atto una duplice strategia: da un lato, fece approvare dal parlamento una serie di leggi eccezionali che ridussero il Partito socialdemocratico in una condizione di semiclandestinità e che rimasero in vigore dal 1878 al 1890; dall’altro lato, con un preciso disegno di integrazione della classe operaia, introdusse tra il 1881 e il 1889 una legislazione sociale di stampo paternalistico ma allora all’avanguardia in tutta Europa. Come il Kulturkampf, anche la lotta contro i socialisti – che continuarono a aumentare la propria forza – si risolse in un fallimento al punto che, quando Bismarck ripropose l’approvazione della legge eccezionale nel 1890, questa fu respinta dal parlamento. Altrettanto sfortunata fu la sua politica di integrazione forzata delle minoranze nazionali polacche e alsaziane, che aggravò la tensione già di per sé molto acuta con la Francia. Gli anni del cancellierato di Bismarck coincisero con un’epoca di straordinario sviluppo economico e industriale della Germania. Questo sviluppo rese ancor più complessa la posizione internazionale dell’impero. Si pose allora per la prima volta il dilemma tra la scelta di una politica di compromesso nei limiti dell’equilibrio delle grandi potenze e l’opzione per un “assalto al potere mondiale”. La politica estera di Bismarck fu ispirata complessivamente all’idea di mantenere lo status quo in Europa e di realizzare un equilibrio che permettesse alla Germania di giocare un ruolo arbitrale e in qualche modo egemonico nel continente. A questo scopo, ossessionato dal timore di una guerra su due fronti – a oriente con la Russia e a occidente con la Francia – egli si sforzò di tenere isolata la Francia, di instaurare buoni rapporti con l’Austria-Ungheria e con la Russia e di contenere il più possibile la prospettiva di una rivalità con la Gran Bretagna, soprattutto sul terreno della corsa alle colonie. Discende da qui la complessa trama di alleanze che Bismarck costruì negli anni del suo cancellierato con il patto dei tre imperatori del 1873 (Germania, Austria, Russia), con la duplice alleanza austro-tedesca del 1879, con la Triplice Alleanza del 1882 (Germania, Austria, Italia) e con il trattato di controassicurazione con la Russia del 1887. A partire dal 1884, dopo una prima fase di estrema prudenza, Bismarck inaugurò anche l’ingresso della Germania sulla scena della competizione coloniale, per venire incontro alle pressioni dei circoli militari e della grande industria ma con lo sguardo fermo sugli effetti prodotti dalla politica d’oltremare sul quadro complessivo delle relazioni internazionali in Europa. Al congresso di Berlino del 1884-85 assecondò la creazione dell’Africa tedesca del sud-ovest (1884), del protettorato sul Togo e sul Camerun (1884) e dell’Africa orientale tedesca (1885). Dopo l’ascesa al trono di Guglielmo II nel giugno del 1888, Bismarck perse il sostegno della Corona. Fallita la lotta contro i socialisti, entrò in tensione con gli stessi ambienti conservatori; fu osteggiato dalle cerchie militari e dalla grande industria ormai proiettate verso la prospettiva della politica mondiale; fu mal tollerato da Guglielmo II, deciso a governare in prima persona. All’indomani delle elezioni del 1890, che registrarono un consistente calo dei voti conservatori e una forte affermazione della socialdemocrazia, il “cancelliere di ferro” rassegnò le dimissioni (20 marzo 1890), che vennero accettate di buon grado dall’imperatore. Gli subentrò Caprivi. Le leggi antisocialiste furono abolite e sembrò inaugurarsi un nuovo corso liberale, che fu però solo apparente e non intaccò la sostanza autoritaria del regime politico imperiale. Bismarck si ritirò in Pomerania. Da qui continuò a criticare la politica di Caprivi e dell’imperatore, con cui si riconciliò nel 1894. Autore di tre volumi di Pensieri e ricordi pubblicati postumi tra il 1898 e il 1921, morì a Friedrichsruh il 30 luglio del 1898. [Francesco Tuccari]