Bhutan

Stato attuale dell’Asia centromeridionale. Il Bhutan si costituì nell’area himalayana a seguito dell’immigrazione di popolazioni di ceppo tibetano che si sovrapposero a gruppi etnici autoctoni. Nei primi secoli della nostra era entrò nella sfera di influenza della cultura buddhista, anche se permasero pratiche sciamaniche tradizionali. Solo a partire dal XVII secolo, con l’occupazione da parte di clan guerrieri tibetani e l’ascesa al trono di Shepton La-pha, che nella tradizione teocratica lamaista esercitava sia l’autorità spirituale sia il potere politico, il Bhutan diventò una entità politica riconoscibile. In una società arcaica e chiusa, con forti tratti feudali di origine tibetana, i contadini erano legati all’aristocrazia terriera da vincoli servili. La schiavitù durò fino alla metà del XX secolo. Nel corso del XVIII secolo il potere politico si distinse da quello religioso e al capo spirituale si affiancò un ministro che sovrintendeva agli affari temporali. Le tensioni interne e i conflitti tra i capi dell’aristocrazia locale per acquisire la carica non ereditaria di capo civile, che travagliarono il Bhutan nel corso del XVIII secolo, favorirono l’inserimento dello stato himalayano nella nascente sfera d’influenza britannica. I primi scontri armati con le forze della Compagnia delle Indie orientali si ebbero alla fine del Settecento. Nel 1865 una breve guerra, causata dall’arresto di alcuni sudditi britannici, portò al definitivo successo inglese. Nel 1907, alla morte dell’ultimo lama, si pose termine al dualismo dei poteri quando un signore locale, Druk Gyalpo, diventò sovrano ereditario. Nel 1910, al tempo dell’occupazione cinese di Lhasa e di parte del Tibet, lo stato himalayano, che era protettorato britannico, cedette a Londra la sovranità sugli affari esteri. Nel 1949, dopo la seconda guerra mondiale e nel contesto del processo di decolonizzazione del subcontinente indiano, il Bhutan firmò con Nuova Delhi un trattato secondo il quale l’India avrebbe ereditato i privilegi goduti in precedenza dalla Gran Bretagna. Nel 1969 il Bhutan diventò una monarchia di tipo costituzionale in cui il sovrano deve ottenere l’investitura da parte di un’assemblea nazionale ogni tre anni. Il sistema politico, scarsamente democratico e condizionato da forti vincoli consuetudinari di natura feudale e autocratica, diede vita a partire dagli anni Ottanta a tendenze nazionalistiche volte a salvaguardare l’identità della principale etnia del paese. Una politica definita “driglam namza” fu lanciata nel 1989 per difendere i costumi e lo stile di vita nazionale, limitando il numero di stranieri a cui era permesso l’accesso al paese e proibendo la ricezione delle trasmissioni televisive indiane. Questa politica ebbe l’effetto di rendere più aspre le relazioni con le minoranze etniche e soprattutto con la comunità di origine nepalese insediata nel sud del Bhutan, che a partire dal 1990-91 diede vita a iniziative di protesta (oltre che ad atti di terrorismo) e all’emigrazione verso l’India e il Nepal. Negli anni successivi, il governo del Bhutan e del Nepal avviarono periodiche trattative, senza tuttavia venire a capo del flusso continuo di profughi. Col proposito di avviare una progressiva democratizzazione dello Stato, nel 1998 il monarca, Jigme Singye Wangchuk, rinunciò all’assolutezza del proprio potere, prima favorendo il rafforzamento delle prerogative del Primo Ministro, poi conferendo all’Assemblea nazionale il diritto di esprimere una sorta di voto di fiducia nei confronti del governo. Nei primi anni Duemila il processo di democratizzazione del paese proseguì abbinandosi a quello di modernizzazione economica. Nel 2007 si svolsero le prime elezioni dirette del Consiglio nazionale, la camera alta del nuovo parlamento bicamerale e, nel 2008, quelle della camera bassa.