Bernstein, Eduard

(Berlino 1850, † ivi 1932). Uomo politico tedesco. Di origine ebrea, dal 1872 fu membro del Partito operaio socialdemocratico di August Bebel e Wilhelm Liebknecht e poi, dal 1875, del Partito socialdemocratico tedesco. Nel 1878, a causa delle leggi antisocialiste promulgate da Bismarck, fu costretto a recarsi in esilio a Zurigo, dove svolse un’intensa attività pubblicistica come direttore della rivista “Der Sozialdemokrat” (1881-88). Espulso dalla Svizzera, nel 1888 si recò a Londra, dove ebbe stretti rapporti con Friedrich Engels e rimase favorevolmente colpito dall’esperienza del movimento sindacale inglese e dal movimento fabiano. Insieme a Karl Kautsky elaborò quindi parte del programma che fu poi adottato nel 1891 al congresso di Erfurt e che segnò l’adesione del Partito socialdemocratico al marxismo. Divenne in seguito uno dei più autorevoli esponenti dell’ala riformista del partito. Nel 1899 pubblicò I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, che raccoglieva una serie di articoli apparsi sulla “Neue Zeit” negli anni immediatamente precedenti (a partire dal 1896) e che doveva diventare la bibbia del revisionismo teorico. Sulla base di un’ampia analisi delle tendenze più recenti del capitalismo, Bernstein riteneva che i conflitti di classe non si stessero inasprendo nella misura prevista da Marx e che la teoria della progressiva concentrazione della ricchezza e della “miseria crescente” fossero smentite dall’espansione della piccola e media proprietà e dall’emergere di nuovi ceti piccolo e medio-borghesi, sostenuti anche dalla straordinaria crescita delle amministrazioni burocratiche; grazie al sistema dei cartelli e dei trust e al sistema creditizio, inoltre, il capitalismo si stava dimostrando capace di controllare e superare quelle crisi ricorrenti che Marx aveva immaginato sempre più catastrofiche. Accantonando così la “teoria del crollo” e interpretando il socialismo non più come il destino inevitabile del capitalismo bensì come un compito etico, Bernstein riteneva che fosse necessario procedere a una profonda revisione del marxismo che ponesse al centro l’abbandono del concetto della rivoluzione e l’adozione di una strategia riformistica finalizzata a un ampliamento della sfera della libertà e della democrazia: una strategia fondata sulla collaborazione tra i socialisti e i borghesi riformisti sul terreno della democrazia parlamentare e diretta a trasformare “gradualmente” il capitalismo in un’organizzazione sociale della produzione. La socialdemocrazia, di conseguenza, avrebbe dovuto trasformarsi in un “partito riformista democratico-socialista”. Queste tesi scossero in profondità l’universo politico e teorico della Seconda Internazionale suscitando, tra le altre, le reazioni di Karl Kautsky, di Rosa Luxemburg, di Georgij Plechanov e del giovane Lenin; messe in minoranza e sconfitte al congresso di Dresda della socialdemocrazia tedesca (1903) e a quello di Amsterdam dell’Internazionale (1904), esse ispirarono tuttavia in maniera sempre più profonda la condotta concreta del Partito socialdemocratico e soprattutto dei sindacati. Ritornato in Germania nel 1901, Bernstein fu deputato al Reichstag dal 1902 al 1907 e dal 1912 al 1918; aderì dal 1917 al 1919 al Partito socialdemocratico indipendente per poi rientrare, nel 1919, nelle file del Partito socialdemocratico. Nel dopoguerra criticò aspramente Lenin e l’esperienza della Russia sovietica e fu ancora membro del Reichstag dal 1920 al 1928.