benessere, società del

In uso soprattutto nel corso degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, l’espressione “società del benessere” indica una condizione sociale nella quale sono diffusi standard di vita materiale elevati, cui si associano aspettative crescenti da parte dei cittadini e l’attribuzione di responsabilità allo stato e ai governanti per la loro soddisfazione.

La società del benessere, che pur resta per molti versi internamente inegualitaria e soggetta a squilibri, prende forma nell’Occidente capitalistico nelle fasi di industrializzazione avanzata, di sviluppo del settore terziario e di espansione delle classi medie. La riduzione storica dell’orario di lavoro, l’avvicinamento a situazioni di piena occupazione, l’aumento del PIL e la crescita e diffusione dei consumi – fenomeni di indubbio rilievo storico e sociale – hanno indotto molti osservatori a ritenere, con non poca ingenuità, che il benessere crescente fosse una prospettiva stabile e una condizione che, più di altre, caratterizza nel profondo la società. Oggi questa prospettiva appare problematica e controversa. L’aumento e la diffusione del benessere resta però un obiettivo fondamentale, rispetto al cui raggiungimento viene misurata la legittimità dei governi. E ciò sottolinea quanto quello del benessere sia un tema culturale e un diritto che si afferma con lo sviluppo della modernità, dato che in epoca premoderna la legittimità era fondata e misurata rispetto a valori ultraterreni, all’integrazione della comunità e alla sicurezza fisica. In ragione della connessione tra aumento degli standard di vita, aspettative crescenti e legittimazione politica, la società del benessere ha come corrispettivo sul piano politico-istituzionale lo stato sociale o stato del benessere (welfare state), che ha contribuito a stabilizzare una situazione di benessere e di relativa equità sociale in molti paesi europei per alcuni decenni dopo la seconda guerra mondiale. Dagli anni Ottanta i sistemi di welfare sono entrati in una crisi generalizzata, che si manifesta nell’indebitamento dello stato e nei conseguenti tagli alla spesa pubblica. Pertanto, la riduzione della sicurezza sociale, unita al calo del PIL e all’aumento cronico della disoccupazione hanno comportato, nel passaggio tra gli anni Ottanta e Novanta, la perdita di efficacia dell’espressione, e della rappresentazione concettuale, di società del benessere. E ciò anche in ragione del fatto che nel frattempo, in forza della terziarizzazione e di cambiamenti nella cultura, all’immagine e all’aspettativa del benessere, inteso come livello di vita, si è venuto sostituendo quello di qualità della vita, al punto che si ritiene possibile perseguire una qualità della vita elevata in presenza di livelli di benessere moderati.

Nei primi anni Duemila, i processi di terziarizzazione dei servizi, di precarizzazione del lavoro e di diminuzione della spesa sociale (soprattutto nel campo della sanità e dell’educazione) hanno suscitato un intenso dibattito sulle prospettive future del welfare state, che ha messo in luce come la compressione del ruolo dello Stato nella ridistribuzione della ricchezza abbia spesso generato, soprattutto nel contesto della crisi globale avviatasi nel 2008, gravi problemi di giustizia sociale e al contempo favorito la progressiva proletarizzazione di ampie porzioni di società fino a pochi anni prima considerate benestanti.

[Paolo Ceri]