Bangladesh

Stato attuale dell’Asia meridionale. Situato nell’ampia pianura alluvionale formata dal delta del Gange e del Brahmaputra, confina con l’India e con la Birmania e si affaccia sull’Oceano Indiano. Il territorio dell’attuale Bangladesh comprende la parte orientale della regione storica del Bengala, che trae il suo nome dalla tribù indoaria – i banga – da cui fu originariamente colonizzato. Fu sottoposto, fino alla metà del XIX secolo, all’autorità delle grandi dinastie che hanno dominato la storia dell’India: i Maurya e i Gupta (che vi esercitarono in realtà un potere poco più che formale), i Pala (che vi crearono un regno indipendente e vi introdussero il buddhismo), i Ghoridi e i governatori del sultanato di Delhi (che vi introdussero l’islam) e i Moghul (che vi subentrarono dopo un periodo di anarchia e di profonda frammentazione). A partire dal 1757 il Bengala divenne una delle basi principali della penetrazione inglese nel subcontinente indiano e quindi una parte integrante dell’India britannica. Popolato da musulmani e indù, nel 1905 fu diviso dagli inglesi – interessati a spezzare le forze indipendentistiche sviluppatesi nella regione – nelle due province del Bengala occidentale (a maggioranza indù) e del Bengala orientale (a maggioranza musulmana). Questa divisione fu riconfermata nel 1947 con la proclamazione dell’indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna e con la conseguente scissione politica del subcontinente indiano in due formazioni statali separate, quando il Bengala occidentale e il Bengala orientale – l’attuale Bangladesh – furono integrati rispettivamente nell’Unione Indiana e nel Pakistan. Divisa da quest’ultimo da oltre mille miglia di territorio indiano e da profonde differenze linguistiche, la provincia del Bengala orientale (dal 1955 Pakistan orientale) fu governata per oltre due decenni con criteri centralistici e semicoloniali e dovette subire, insieme a continui e gravosi prelievi fiscali, un sistematico sfruttamento economico da parte di un governo assolutamente incapace di immaginare qualsiasi soluzione di compromesso nella direzione di una maggiore autonomia della regione. In questa situazione, resa ancor più complessa dalle difficili condizioni materiali, sociali e ambientali del paese, si sviluppò un consistente movimento nazionalista, che nel corso degli anni Sessanta trovò il proprio punto di riferimento nella Lega Awami e nel suo leader Mujibar Rahman orientato, perlomeno al principio, nel senso di una soluzione di tipo confederale e autonomistico. Di fronte alla rigida chiusura della classe dirigente pakistana, che alla fine degli anni Sessanta fece arrestare Mujibar Rahman e represse con la violenza ogni tentativo di opposizione, e alle gravi inefficienze del governo, che si manifestarono con particolare evidenza in occasione del violento uragano che sconvolse il paese nel novembre del 1970 provocando, oltre a gravissimi danni economici, circa 200.000 vittime, l’agitazione nazionalista subì una brusca accelerazione e cominciò a porsi l’obiettivo più radicale della secessione e della piena indipendenza dal Pakistan. Nel dicembre 1970, quando la Lega Awami ottenne il suo primo grande successo alle elezioni politiche, il presidente pakistano Yahya Khan agì con estrema determinazione: impedì la riunione del parlamento e scatenò in tutto il paese una violenta ondata di repressioni e di arresti, che portò anche alla deportazione di Mujibar Rahman. La Lega Awami rispose dando vita a un governo in esilio a Calcutta e proclamando, il 26 marzo del 1971, la repubblica indipendente del Bangladesh (Bengala libero). Alla proclamazione dell’indipendenza seguì una sanguinosa guerra civile che produsse un massiccio movimento migratorio verso l’India e si concluse nel dicembre del 1971 grazie al decisivo intervento militare dell’Unione Indiana, che tra il 3 e il 16 dicembre del 1971 invase il Bengala orientale costringendo le truppe pakistane a una resa incondizionata e al riconoscimento di fatto dell’indipendenza proclamata nel marzo. Nel 1972 il Bangladesh entrò a far parte del Commonwealth; nello stesso tempo iniziò a stringere rapporti di cooperazione con l’India e l’Unione Sovietica; le relazioni con il Pakistan si andarono progressivamente normalizzando fino a essere stabilite ufficialmente sul piano diplomatico nell’aprile del 1974; nel medesimo anno il Bangladesh divenne membro dell’ONU. In politica interna Mujibar Rahman, dopo essere stato liberato dal presidente pakistano Ali Zulfikar Bhutto, diede vita nel gennaio del 1972 al primo governo della repubblica indipendente, che si incaricò di varare la riforma agraria e di procedere sulla strada di un’ampia politica di nazionalizzazione dell’economia. La costituzione del dicembre del 1972 definì il nuovo assetto politico e istituzionale del paese in senso repubblicano e parlamentare, istituendo un presidente eletto a suffragio universale ogni cinque anni e dotato del potere di scegliere il primo ministro, detentore a sua volta del potere esecutivo e responsabile di fronte a un parlamento unicamerale rinnovato anch’esso ogni cinque anni. Di fronte alla profonda crisi economica e sociale in cui il paese continuava a versare, ulteriormente aggravata dai pesanti costi della guerra civile, tra il 1974 e i primi mesi del 1975 Mujibar Rahman impresse un indirizzo autoritario alla propria politica: proclamò lo stato di emergenza, assunse poteri straordinari e modificò la costituzione in senso presidenziale facendosi eleggere presidente; al tempo stesso iniziò a reprimere le opposizioni dell’estrema sinistra e dei fondamentalisti islamici. Fu tuttavia deposto e ucciso nell’agosto del 1975 in seguito a un colpo di stato organizzato dai quadri intermedi e superiori dell’esercito e guidato da Khondakar Mustaque Ali, che sciolse i partiti e impose al paese, ribattezzato Repubblica islamica del Bangladesh, la legge marziale. La situazione politica rimase in ogni caso profondamente instabile e tesa: al golpe del 1975 seguirono due ulteriori colpi di stato a opera dei generali, che nel novembre del 1975 insediarono alla presidenza della repubblica il civile Abu Sadat Mohammad Sayem. Il potere reale rimase tuttavia nelle mani degli alti comandi dell’esercito e soprattutto del generale Ziaur Rahman, che fu eletto presidente della repubblica nel giugno del 1978 con quasi l’80% dei suffragi e che come leader del Partito nazionalista del Bangladesh ottenne un importante successo anche alle elezioni del parlamento che si tennero nel febbraio del 1979. Ziaur Rahman riuscì per alcuni anni a dare maggiore stabilità al paese: favorevole a un programma di “democrazia guidata”, sospese la legge marziale, diede nuovamente ai partiti la possibilità di organizzarsi e di esprimersi, formò un nuovo governo a prevalenza di civili e avviò un progetto di privatizzazione dell’economia. Fu tuttavia assassinato nel maggio del 1981, nel corso di un nuovo tentativo di colpo di stato destinato peraltro a un rapido fallimento. Tra il novembre del 1981 e il marzo del 1982 gli subentrò alla presidenza Abdus Sattar, che fu deposto nel marzo del 1982 in seguito a un ulteriore colpo di stato che riconsegnò il potere ai militari. Il generale Hussein Mohammed Ershad – l’ispiratore e il capo del golpe – sospese la costituzione del 1972, reintrodusse la legge marziale, rimasta poi in vigore fino al novembre del 1986, e impedì il regolare svolgimento delle consultazioni elettorali. Riconfermato capo dello stato nelle elezioni presidenziali dell’ottobre del 1986, Ershad nel dicembre del 1987 sciolse il parlamento che era stato eletto nel maggio del 1986 e alle elezioni politiche che si tennero nel marzo del 1988 – nel quadro di pesanti intimidazioni governative, di un’intensa agitazione delle forze di opposizione e di gravi brogli elettorali – riuscì a ottenere una maggioranza favorevole al proprio governo. Sempre nel 1988 l’islam fu proclamato religione di stato. La politica della nuova élite dirigente suscitò in tutto il paese un consistente movimento di protesta – sostenuto dalle forze di opposizione, dai sindacati e dal movimento studentesco – che, dopo gravi incidenti di piazza nel giugno del 1990, riuscì a deporre il generale Ershad (dicembre del 1990) e a indire nuove elezioni, che si svolsero poi nel febbraio del 1991 e diedero la maggioranza al Partito nazionalista del Bangladesh. Shahabuddin Ahmed fu nominato presidente ad interim; nel marzo dello stesso anno fu nominata primo ministro Begum Khaled Zia, la vedova di Ziaur Rahman, e nelle elezioni presidenziali dell’ottobre fu eletto capo dello stato Abdur Rahman Biswas, entrambi del Partito nazionalista. Dopo quasi quindici anni di regime presidenziale fu quindi reintrodotto il sistema parlamentare. Nel 1996 la Lega Awami, che nel 1994 abbandonò il Parlamento ponendosi a capo di intense manifestazioni di protesta e scioperi, vinse le elezioni. Si giunse così alla formazione di un governo con a capo Sheikha Hassinah Wajed, che diede inizio a un processo riformistico di vasto respiro, contro cui la destra mobilitò senza successo le sue forze. Alle elezioni del 2001 si affermò una coalizione nazionalista, conservatrice e vicina alle posizioni del fondamentalisti islamici guidata dal BJP di Khaleda Zia che assunse la carica di primo ministro. A seguito delle continue tensioni tra il BJP e la Lega Awami, nel 2006 Khaleda Zia cedette il potere a un governo provvisorio, che dichiarò lo stato d’emergenza e lanciò un’aggressiva campagna contro la corruzione politica dilagante nel paese. In seguito alla vittoria elettorale della Lega Awami, nel gennaio del 2009, Hassinah riassunse la carica di primo ministro. Alla fine del 2010 incaricò uno speciale tribunale militare di indagare sui crimini commessi durante la guerra civile scoppiata all’indomani dell’indipendenza. Nel nuovo millennio il Bangladesh rimase uno dei paesi più poveri dell’Asia e del mondo: con un’altissima densità abitativa seppure scarsamente urbanizzato; soggetto periodicamente a terribili inondazioni e cataclismi; fondato su un’agricoltura di sussistenza priva di adeguati mezzi tecnici e di adeguate infrastrutture; e infine dipendente in misura massiccia dagli aiuti della comunità internazionale ai paesi sottosviluppati.