Australia

Stato attuale dell’Oceania.

  1. Il periodo coloniale
  2. Lo stato federale
1. Il periodo coloniale

Prima dell’arrivo degli europei, il territorio australiano era abitato dagli aborigeni, popolazioni melanesiane dedite alla raccolta e alla caccia, organizzate in clan e giunte dal sud-est asiatico più di trentamila anni or sono. Probabilmente già avvistata dai portoghesi, l’Australia fu raggiunta solo nella prima metà del XVII secolo dagli olandesi quando W. Janszoon, nel 1606, costeggiò il tratto nordoccidentale del continente fino al capo Keerweer, scambiando tuttavia quest’area per una parte della Nuova Guinea. Seguirono altre spedizioni, la più importante delle quali fu quella guidata da A. Tasman lungo le coste meridionali (1642-44), che portò alla scoperta dell’isola di Tasmania (battezzata allora Terra di van Diemen). L’Australia, chiamata in quel periodo “Nuova Olanda”, fu raggiunta nel 1688 dall’inglese W. Dampier che toccò la costa occidentale del continente. Fu tuttavia decisivo, per la successiva storia australiana, il viaggio intrapreso nel 1768 da J. Cook nei Mari del Sud: nel 1770 egli raggiunse infatti la zona orientale del paese e lo dichiarò possedimento della Corona inglese. L’opera di colonizzazione, che per la lontananza dall’Europa si presentava assai difficile, fu avviata nel 1788, quando gli inglesi stabilirono nella zona sudorientale del paese, denominata, dallo stesso Cook “Nuovo Galles del Sud”, il primo nucleo del loro insediamento: la colonia penale di Port Jackson, da cui si sarebbe poi sviluppata la città di Sidney. Altre colonie per deportati furono successivamente istituite in sostituzione di quelle presenti in America prima dell’indipendenza. Da allora proseguì lentamente ma con sistematicità l’opera di esplorazione delle coste e dell’interno. Nel 1798 G. Bass scoprì lo stretto che separa l’Australia dalla Tasmania (oggi denominato stretto di Bass). Dal 1813 ebbe inizio l’esplorazione dell’interno del paese: numerose spedizioni successive permisero entro la fine del secolo XIX di esplorare tutto il territorio australiano. L’opera di conquista ebbe conseguenze drammatiche per le popolazioni autoctone, che nel corso del XIX secolo videro drasticamente ridurre il proprio numero a causa delle violenze e delle malattie portate dall’uomo bianco. Agli aborigeni toccò allora un destino di emarginazione e miseria cui solo assai tardivamente, negli anni Settanta del XX secolo, le autorità cercarono, e non senza ambiguità e contraddizioni, di far fronte. Contemporaneamente alla presa di possesso del territorio, le autorità britanniche procedettero a una riorganizzazione amministrativa del continente che risultasse più funzionale alle esigenze della madrepatria. Accanto all’originaria colonia del Nuovo Galles del Sud (formalmente istituita solo nel 1824), gli inglesi fondarono altre colonie: Tasmania (1825), Australia occidentale (1829), Australia del Sud (1836); successivamente furono anche trasformati in colonie i territori di Victoria (1851) e Queensland (1859), con a capo governatori nominati da Londra. Nel 1841 la Nuova Zelanda si staccò dal Nuovo Galles del Sud e divenne una nuova colonia. Nel 1840 fu abolito formalmente il regime penitenziario nel Nuovo Galles del Sud, provvedimento che divenne operativo nel 1849; lo stesso avvenne in Tasmania nel 1853 e nell’Australia occidentale nel 1892. Dall’inizio del XIX secolo il governo britannico si adoperò per favorire l’immigrazione in terra australiana di uomini liberi, confidando nelle possibilità offerte dall’agricoltura e dall’allevamento ovino (alla fine del XVIII secolo furono introdotte nel continente le pecore merinos, poi divenute fonte essenziale dell’economia australiana). La prima fase della colonizzazione, che rimase comunque molto contenuta, fu caratterizzata dal convict system, basato su aziende agricole date a militari o coloni liberi che si servivano del lavoro dei deportati. Accanto al convict system si ebbe poi l’insediamento di coloni liberi (free settlers), dediti soprattutto alla coltivazione di piccoli appezzamenti di terreno assegnati gratuitamente, e di grandi allevatori (squatters) che si stabilirono nelle aree incolte, contrari alla politica delle concessioni gratuite di terreni seguita spesso dai governatori. Solo dalla metà del XIX secolo, con la scoperta dell’oro nel Nuovo Galles del Sud e nel Victoria, si registrò un forte afflusso di europei. Le ripercussioni di questo fenomeno si fecero sentire in campo agricolo, dove entrò in crisi il convict system e fu ridimensionato il potere degli squatters a favore di una piccola e media proprietà contadina più dinamica, e nelle aree urbane, dove l’avvio dell’industrializzazione e lo sviluppo delle attività commerciali consentirono la formazione di un proletariato forte e organizzato e di una solida classe media. L’influenza delle organizzazioni sindacali e la forte coscienza civica permisero presto conquiste fondamentali per i lavoratori e per la cittadinanza: la limitazione della giornata lavorativa a otto ore (1856), la progressiva introduzione nelle colonie del suffragio universale maschile (a partire dal 1856-57) e poi femminile (fra il 1894 e il 1908) e il varo di un’avanzata legislazione sociale (dall’istruzione obbligatoria fino a quattordici anni alle pensioni di vecchiaia). La situazione interna e il legame pur sempre profondamente sentito dalla popolazione – a stragrande maggioranza di origine anglosassone – nei confronti della madrepatria indussero il parlamento inglese ad assecondare pacificamente le aspirazioni autonomistiche manifestatesi intorno alla metà del secolo nelle colonie australiane e a concedere, nel 1850, l’Australian Colonies Act: il Nuovo Galles, la Tasmania, il Victoria e l’Australia meridionale ebbero così la possibilità di darsi proprie istituzioni rappresentative. Lo stesso avvenne poco dopo nel Queensland (1859); nell’Australia occidentale la nuova legislazione entrò in vigore più tardi (1890), per la lentezza con cui l’opera di colonizzazione procedette in quell’area. Grazie all’Australian Colonies Act in ogni colonia furono istituite una Camera bassa eletta a suffragio universale maschile e poi anche femminile e una Camera alta i cui membri furono inizialmente nominati dalla Corona. Nel 1870 le truppe inglesi lasciarono l’Australia.

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2. Lo stato federale

Da allora si delineò la tendenza verso la creazione di uno stato federale indipendente, pur nel rispetto dei tradizionali legami con la madrepatria. Un primo passo in questa direzione fu fatto nel 1885 quando, anche per contrastare le ambizioni francesi, tedesche e americane nel Pacifico, le colonie australiane crearono un Consiglio federale a carattere consultivo. La soluzione si rivelò importante ma ancora insufficiente per la scarsa possibilità che il Consiglio aveva di incidere realmente sulle sorti del paese e per le resistenze manifestatesi al suo interno nel superare i diversi particolarismi. Il processo verso un effettivo coordinamento degli sforzi e delle risorse delle colonie in vista del raggiungimento dell’indipendenza continuò anche dopo lo scioglimento del Consiglio (1899) e si concretizzò nel 1901 con l’Australian Commonwealth Act, che sancì il definitivo assetto federale del paese: le sei colonie del territorio australiano si riunirono allora in una federazione e nel 1907 ottennero dalla Gran Bretagna lo status di dominion. Nel 1906 la zona meridionale della Nuova Guinea (Papuasia) e nel 1911 il Territorio del Nord entrarono anch’essi nella federazione australiana. La capitale fu stabilita nella nuova città di Canberra, dove il governo si trasferì solo nel 1927. La vita politica del paese fu fin dall’inizio caratterizzata, sul modello britannico, da un fondamentale bipolarismo fra forze conservatrici e riformiste. Dall’inizio del XX secolo, all’opposizione fra liberali e conservatori si sostituì quella fra questi due partiti e il Partito laburista australiano (APL), fondato nel 1891 e andato al governo per la prima volta nel 1904. I primi anni di vita del nuovo stato furono contraddistinti dalla preoccupazione, comune alle forze della destra e agli stessi laburisti, di controllare i flussi migratori mantenendo l’Australia rigorosamente “bianca” e legata alla cultura anglosassone. Espressione di questa politica fu l’Immigration Restriction Act del 1902, formalmente abolito solo nel 1973, che limitava fortemente l’afflusso di immigrati asiatici. Durante la prima guerra mondiale l’Australia si schierò a fianco della Gran Bretagna e assieme alla Nuova Zelanda costituì un corpo d’armata (ANZAC) che combatté in Europa e in Medio Oriente. Nel 1920 il paese entrò a far parte della Società delle Nazioni e nel 1921 ottenne il mandato sulla ex colonia tedesca della Nuova Guinea. Nel 1931 con lo Statuto di Westminster l’Inghilterra riconobbe definitivamente l’indipendenza della federazione australiana nell’ambito del Commonwealth britannico. Nonostante le temporanee ripercussioni della crisi del 1929, il periodo fra le due guerre segnò ancora una fase di notevole sviluppo per l’economia e la società australiana, passata da una struttura economica fondamentalmente agricola a una industriale, mentre la scena politica vide alternarsi al governo le due coalizioni della sinistra laburista e della destra (all’interno della quale emersero il partito agrario, quello nazionalista e poi quello dell’Australia unita). Entrata in guerra contro la Germania fin dal 3 settembre 1939, l’Australia impegnò le sue truppe e l’aviazione in Europa e in Africa settentrionale; dal 1942 dovette fronteggiare soprattutto l’aggressività del Giappone (che invase tra l’altro la Nuova Guinea) e cooperò con gli Stati Uniti nella riconquista del Pacifico. Nell’immediato dopoguerra, ancora sotto la guida dei laburisti (al governo dal 1941) il paese entrò a far parte dell’ONU e cercò di definire le linee di una politica estera più autonoma rispetto alla Gran Bretagna. Dal 1949 al 1972 si ebbe una lunga fase di governi di coalizione di destra formati dal partito liberale e dal partito agrario, nell’ambito dei quali emersero i liberali R. Menzies e J. Gorton. Decise sostenitrici di una politica estera filoamericana e anticomunista, queste forze caldeggiarono nel 1951 la stipulazione di un’alleanza difensiva fra Australia, Nuova Zelanda e USA (l’ANZUS) e nel 1954 sottoscrissero l’adesione alla SEATO. In base agli accordi previsti dall’ANZUS e al deteriorarsi della situazione internazionale l’Australia inviò propri contingenti durante la guerra di Corea, sostenne l’intervento anglo-francese a Suez nel 1956 e optò per l’invio di truppe in Vietnam nel 1965. Sul piano interno, grazie anche a consistenti aiuti americani, il paese conobbe nel secondo dopoguerra un intenso sviluppo economico e industriale accompagnato dalla costruzione di una struttura statale di tipo assistenziale secondo il modello del welfare state (entrato in crisi alla fine degli anni Settanta). Si rese allora necessaria una politica dell’immigrazione almeno in parte diversa che, se da un lato mantenne forti preclusioni nei confronti del definitivo insediamento degli asiatici, favorì dall’altro lo stabilirsi di europei non anglosassoni soprattutto nelle aree più industrializzate e in quelle settentrionali, non ancora valorizzate sul piano agricolo. Negli anni Cinquanta e Sessanta si registrò quindi un notevole afflusso di immigrati provenienti dalle regioni più povere dell’Europa, che risultò funzionale sia alle esigenze dell’industria sia a quelle dell’agricoltura. Esauritasi la fase conservatrice, dal 1972 il governo laburista guidato da E. Gough Whitlam rilanciò una politica di ampie riforme sociali, prestò attenzione al problema delle condizioni di vita degli aborigeni (ai quali solo dal 1949 era stato riconosciuto il diritto di voto e che continuavano a essere sostanzialmente emarginati) e dimostrò grande sensibilità per i problemi dell’ambiente. In politica estera fu attenuato il rigido anticomunismo degli anni precedenti e ciò si tradusse nel riconoscimento della Cina popolare e del Vietnam del Nord. Gli alti costi delle riforme e gli effetti della recessione economica che interessò tutti i paesi industrializzati favorirono nel 1975 il ritorno al potere dei conservatori guidati dal liberale M. Fraser, che rimasero al governo fino al 1983. Significativa fu allora la ripresa di una politica estera decisamente filoamericana. La Cina fu vista come un possibile, strumentale alleato in funzione antisovietica. Austerità e controllo della spesa pubblica ispirarono invece le riforme in campo interno, dove al liberismo e alla deregolamentazione si accompagnò il parziale ridimensionamento dello stato assistenziale. Nel 1983 con la vittoria elettorale del partito di R. Hawke si aprì una nuova fase laburista che durò per tutti gli anni Ottanta. Essi furono segnati da una crescente presa di coscienza ecologista e antinucleare (provocata dalla prosecuzione dei test nucleari da parte del governo francese nel Pacifico meridionale), nonché dal riemergere dell’annoso problema degli aborigeni, impegnati a rivendicare la restituzione delle terre. Nel 1990 i laburisti furono riconfermati alla guida del paese, ma già nel dicembre 1991 sostituirono Hawke con Paul John Keating, divenuto primo ministro e capo del partito. Il governo Keating mise in atto una politica economica che comportò il parziale smantellamento dello stato sociale, la deregolamentazione e la privatizzazione di imprese pubbliche per permettere all’Australia di uscire dalla crisi economica e di fronteggiare il difficile confronto con le dinamiche economie dei paesi del sud-est asiatico. Keating fu confermato dalle elezioni del 1993; ma nel 1996 i laburisti furono sconfitti ad opera di una coalizione composta da liberali e nazionalisti, la quale, portando alla formazione di un governo capeggiato da John Howard, di indirizzo accentuatamente neoliberista, rimase al potere per i successivi undici anni. Nonostante i significativi progressi sul piano economico, che resero alla fine degli anni Novanta l’Australia uno dei paesi al mondo con il più alto tasso benessere, il massiccio aumento dell’immigrazione asiatica e la perdurante difficile integrazione della popolazione aborigena restarono questioni altamente problematiche. Per impulso principale dei laburisti una Convenzione costituzionale si espresse a favore della proclamazione della repubblica, ma nel 1999 un referendum promosso dal governo Howard si pronunciò a stretta maggioranza per il mantenimento dei legami tradizionali con la monarchia britannica. Nel 1999 l’Australia partecipò, con funzioni direttive e su mandato dell’ONU, all’azione militare di pacificazione di Timor Est. Dopo quattro vittorie elettorali successive, Howard e la coalizione liberal-nazionale furono battuti nel 2007 dai laburisti guidati da Kevin Rudd, che si impegnarono a fondo nel rilancio delle politiche sociali e ambientali. In uno storico intervento del febbraio 2008 Rudd chiese scusa a nome del governo per gli abusi a lungo perpetrati nei confronti degli aborigeni. Nonostante ciò, in seguito al calo drastico di consensi all’interno del proprio partito, Rudd fu costretto alle dimissioni e fu sostituito dalla sua vice, Julia Gillard, che divenne così la prima donna australiana a rivestire l’incarico di premier. Nelle successive elezioni anticipate del 2010, il partito laburista formò un governo di minoranza, guidato dalla stessa Gillard, grazie all’appoggio dei verdi e di alcuni indipendenti.

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