Vittorio Emanuele II

(Torino 1820, † Roma 1878). Re di Sardegna dal 1849 al 1861 e re d’Italia dal 1861 al 1878. Figlio di Carlo Alberto, quando suo padre salì al trono (1831) ebbe il titolo di duca di Savoia. Nel 1842 sposò Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena. Partecipò alla prima guerra d’indipendenza combattendo a Santa Lucia, Goito e Custoza. Dopo la decisione di Carlo Alberto di abdicare in suo favore nella speranza di ottenere dagli austriaci più miti condizioni di pace (23 marzo 1849), dovette immediatamente affrontare le trattative che condussero all’armistizio di Vignale (26 marzo 1849). Il 6 agosto firmò quindi il trattato di Milano con l’Austria superando l’opposizione parlamentare con lo scioglimento della Camera. Successivamente invitò gli elettori a eleggere una Camera di orientamento più moderato e vicina agli obiettivi della corona (proclama di Moncalieri, 20 novembre 1849). Nonostante la sua educazione religiosa accettò la promulgazione, nel 1850, delle leggi Siccardi, che attraverso l’abolizione dei tribunali ecclesiastici e la limitazione dei beni temporali della chiesa rappresentavano un notevole progresso nella modernizzazione e laicizzazione dello stato. Nel 1852 affidò, riluttante, la presidenza del Consiglio a Cavour: da allora il binomio tra il sovrano e Cavour, peraltro non privo di contrasti e tensioni, fu essenziale alla formazione dell’unità d’Italia. Comune fu la volontà che il Piemonte partecipasse alla guerra di Crimea (1855), a fianco di Francia, Inghilterra e Turchia contro la Russia. Il 10 gennaio 1859, dopo che con i patti di Plombières (luglio 1858) venivano promesse alla Francia Nizza e la Savoia in cambio dell’aiuto militare francese nella creazione di un regno sabaudo dell’alta Italia, Vittorio Emanuele II tenne il celebre discorso della corona nel quale affermava di non essere insensibile al “grido di dolore” che giungeva da tutta Italia al Piemonte: egli prendeva così pubblicamente posizione sulla questione italiana. Postosi a capo dell’esercito sardo, alleato di quello francese di Napoleone III, fu favorevole all’inizio alla seconda guerra d’indipendenza: dopo la vittoria francese a Magenta, poté così entrare a Milano (8 giugno 1859). Il 24 giugno condusse alla vittoria le truppe piemontesi nella battaglia di San Martino. Per aver accettato l’armistizio di Villafranca (6 luglio 1859), voluto da Napoleone III, entrò in contrasto con Cavour che, preoccupato di una possibile ripresa repubblicana, si dimise da presidente del Consiglio. Proseguendo la sua personale linea politica che vedeva nel processo risorgimentale un rafforzamento del regno sabaudo, ebbe contatti segreti con Garibaldi durante l’organizzazione della spedizione dei Mille per la conquista del regno delle Due Sicilie, realizzata in suo nome (proclama di Salemi del 14 maggio 1860). Acclamato dal parlamento subalpino re d’Italia (17 marzo 1861), non assunse il titolo di primo re d’Italia per sottolineare la continuità con il regno sabaudo. Nel giugno 1865, in seguito alla Convenzione di settembre (1864) con la Francia, si trasferì da Torino a Firenze, dove rimase sino al 1870. Dopo la difficile conclusione della terza guerra d’indipendenza, in cui l’Italia aveva subìto la duplice sconfitta di Lissa e Custoza, la sua entrata in Venezia (7 novembre 1866) sancì l’annessione del Veneto all’Italia. Dopo la sconfitta francese a Sedan da parte prussiana (settembre 1870), non essendo riuscito a imporre l’intervento a fianco di Napoleone III, dovette accettare la dichiarazione di neutralità voluta dal ministro Giovanni Lanza, per poi accogliere con favore la presa di Roma (20 settembre 1870). Nel 1873 il sovrano visitò Guglielmo I a Berlino e Francesco Giuseppe a Vienna, gettando così le basi della Triplice Alleanza. Nel 1876 affidò il governo del paese alla Sinistra storica con a capo Agostino Depretis.