assiri

Antico popolo di lingua semitica stanziato nella Mesopotamia settentrionale.

  1. La fase paleo-assira: l’indipendenza, la prima dinastia e le colonie commerciali
  2. Formazione e decadenza di un primo grande regno assiro (fine XIX – metà XIV secolo a.C.)
  3. Il regno medio-assiro (XIV-IX secolo): vicende politiche e caratteri socioculturali
  4. Formazione e consolidamento dell’impero neo-assiro (metà IX – metà VIII secolo a.C.)
  5. L’apogeo dell’impero neo-assiro e il suo crollo (750-610 a.C.)
  6. I caratteri della società neo-assira
1. La fase paleo-assira: l’indipendenza, la prima dinastia e le colonie commerciali

Fin dalle origini lo stato assiro fu caratterizzato da due diverse componenti sul piano geografico e culturale: il “triangolo d’Assiria”, nella zona compresa fra lo Zab superiore e il Tigri, che aveva in Ninive il suo centro principale, e l’area meridionale situata intorno alla città di Assur. Il “triangolo d’Assiria” fu, per le condizioni ambientali favorevoli all’agricoltura, una terra di antico popolamento e urbanizzazione, con prevalenza di popoli di stirpe hurrita. La zona di Assur invece, a partire dalla prima metà del III millennio a.C. ebbe notevole rilevanza commerciale, risentì generalmente dell’influsso culturale dei sumeri e dopo la conquista operata intorno al 2300 a.C. da Sargon divenne zona di forte presenza accadica. Sede di governatori (ensi) all’epoca della terza dinastia sumerica di Ur, al crollo di questa compagine Assur e il suo territorio si resero indipendenti. Con Puzur-Assur I ebbe allora inizio una dinastia assira, che regnò dall’inizio del XX alla fine del XIX secolo a.C., sulla quale però disponiamo di scarse notizie. Sappiamo che questi sovrani si dedicarono alla costruzione di templi e all’edificazione delle mura di Assur, possiamo congetturare una campagna militare condotta con successo nella Mesopotamia centrale, ma non siamo in grado di ricostruire gli esatti confini dello stato assiro. Più precise sono invece le fonti che fanno riferimento alle relazioni commerciali intrattenute dagli assiri con i paesi limitrofi e al ruolo del sovrano e del potere politico in genere nel promuovere queste transazioni. Molteplici furono le direzioni verso le quali si orientò l’attività mercantile, ma quella per noi più documentata è senza dubbio la rete commerciale che da Assur porta alla Cappadocia (nell’attuale Turchia). Gli assiri praticarono un tipo di commercio a lunga distanza che aveva ritmo annuale (le carovane per l’Anatolia si muovevano in primavera da Assur e facevano ritorno prima dell’inverno) ed era basato principalmente sull’esportazione di tessuti e di stagno e sull’importazione di metalli preziosi (soprattutto argento). Gli assiri avevano quindi, nei confronti dei sovrani locali dell’Anatolia, un grande potere contrattuale, ma questi ultimi conservavano la loro indipendenza, per cui in questa fase non si può ancora parlare propriamente di un “impero” assiro. D’altra parte, anche all’interno i sovrani di Assur non realizzarono ancora completamente i tratti dell’assolutismo che li caratterizzò in seguito. Pur costituendo il vertice del potere politico, il sovrano era infatti considerato il “governatore di Assur per conto del dio”, e questo rapporto di vicariato rispetto alla divinità – che pure conferiva al sovrano grande prestigio di fronte al popolo – ne limitava in qualche modo il carattere assoluto. Ulteriori limiti alle sue funzioni provenivano poi dalle assemblee cittadine di uomini liberi (puhrum) e dai funzionari eponimi (limum), destinatari delle tasse sul commercio.

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2. Formazione e decadenza di un primo grande regno assiro (fine XIX – metà XIV secolo a.C.)

Gli ultimi anni in cui furono al potere i successori di Puzur-Assur I furono caratterizzati da gravi disordini interni. Ne approfittò Shamshi-Adad I (1813-1781 a.C.), un usurpatore di origine amorrea, per porre fine alla prima dinastia e sostituirsi a essa. A lui si deve la prima fase dell’espansionismo assiro, che portò all’unificazione dell’alta Mesopotamia con la conquista di un vasto territorio compreso fra il Tigri e l’Eufrate, al controllo delle importanti città di Mari e di Ekallatum e probabilmente anche all’assoggettamento degli stati di Eshnunna e di Babilonia. Durante il suo regno s’intensificarono i rapporti commerciali con l’area anatolica e venne anche sfruttata la rete mercantile che faceva capo alla città di Mari. Con i successori di Shamshi-Adad però questa vasta formazione statale rivelò presto le sue intrinseche debolezze, dovute sostanzialmente al permanere della struttura tribale delle genti amorree dalle quali proveniva Shamshi-Adad. Già sotto il regno del figlio Ishme-Dagan andarono perduti tutti i territori al di là dei confini dell’Assiria propriamente detta, mentre nel 1764 a.C. anche l’Assiria fu conquistata dai babilonesi di Hammurabi. Seguirono quattro secoli di crisi in cui all’egemonia babilonese si sostituì probabilmente l’influenza (anche se non il controllo diretto) del regno di Mitanni. Sul piano economico tuttavia sembra certo che anche in questo periodo continuarono a operare le colonie commerciali assire.

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3. Il regno medio-assiro (XIV-IX secolo): vicende politiche e caratteri socioculturali

Intorno alla metà del XIV secolo a.C. l’Assiria riuscì ad approfittare del mutato contesto politico dell’area mediorientale (dove gli hittiti avevano definitivamente sconfitto il regno di Mitanni) per liberarsi dell’egemonia mitannica. Artefice della ripresa fu Ashur-Uballit I (1365-30 a.C.), con il quale maturò definitivamente anche una nuova concezione della regalità: il sovrano non fu più considerato “vicario” del dio Assur alla guida della città ma come “grande re” in una prospettiva universalistica. Con i suoi principali interlocutori – l’Egitto, Babilonia e gli hittiti – Ashur-Uballit seppe alternare la diplomazia e l’uso della forza, inserendo definitivamente il suo regno fra le maggiori potenze della regione. Riuscì a ottenere un riconoscimento ufficiale dello stato assiro da parte degli egizi, fece entrare Babilonia nella propria sfera di influenza attraverso il matrimonio della figlia con l’erede al trono babilonese, ma soprattutto contese agli hittiti l’eredità del regno di Mitanni e in particolare il controllo dell’importante città-stato di Khanigalbat, fronte sul quale si impegnarono anche i suoi successori. Era ormai chiaro che la volontà della monarchia e della classe dirigente assira, a lungo frustrate in una posizione di secondaria importanza sul piano internazionale a dispetto della prosperità economica di cui godevano, era quella di imporsi con le armi: solo allargando sempre più i confini del proprio dominio potevano infatti esorcizzare quella sindrome di accerchiamento che era divenuta una costante della loro mentalità e del popolo nel suo insieme. Adad-Nirari (1305-1274 a.C.) e il figlio Salmanassar I (1273-44 circa a.C.) consolidarono il confine settentrionale dalle incursioni dei popoli montanari, allargarono il proprio dominio a sud a scapito di Babilonia, sottrassero ai vassalli hittiti il controllo dell’alta Mesopotamia e conquistarono Khanigalbat. Con Tukulti-Ninurta I (1243-1207 a.C.) l’impero medio-assiro raggiunse la sua maggiore estensione e il massimo splendore, conseguendo il controllo della zona dell’alto Tigri e dei monti Zagros, e soprattutto quello temporaneo di Babilonia (della quale Tukulti-Ninurta fu re “per sette anni”). Oltre che sul piano strettamente militare i sovrani assiri di questo periodo vararono importanti riforme: in campo amministrativo il territorio fu suddiviso in distretti che facevano capo a una città (la quale poteva essere di vecchia o nuova costruzione). Divennero una prassi consueta le deportazioni in massa delle popolazioni vinte e la colonizzazione da parte della popolazione assira dei territori di conquista. Si attuò una netta separazione fra il mondo rurale – dove la maggioranza della popolazione era costituita da elementi indigeni in condizione servile – e quello urbano, dove risiedevano per lo più la popolazione di origine assira e la classe dirigente. Venne dato grande impulso all’attività edilizia e alla costruzione di nuove città fu affiancata quella di templi e di monumenti, volti a trasmettere ai sudditi l’idea di potenza legata alla monarchia. La vetreria e la ceramica, le armi da parata e i gioielli della corte dimostrano d’altra parte la ricchezza e anche una certa raffinatezza di gusto dei regnanti assiri. La lingua e la cultura accadica costituirono sempre una componente importante della mentalità della classe dirigente, ma questa venne ora ad assimilare anche gli apporti mitannici (soprattutto nel settore tecnologico) e babilonesi (in particolare nel campo letterario e religioso). Come nel caso dei contemporanei sovrani egiziani e hittiti, anche i re assiri si impegnarono in una forte azione di propaganda testimoniata dalle iscrizioni monumentali, dalle prime “cronache” delle loro imprese lasciateci dagli stessi monarchi, dalle preghiere e dal loro epistolario. Nel complesso però la società assira del periodo del medio-regno – la cui popolazione era divisa fra dipendenti del palazzo, liberi contadini e ricchi assegnatari di terre regie – si presenta con tratti cupi. A corte le figure più importanti divennero quelle degli eunuchi; nei palazzi regi e in quelli dei vari governatori prese a operare una schiera di dipendenti ridotti in una condizione molto precaria; nelle campagne alla piccola proprietà contadina si sostituì progressivamente la grande proprietà in mano ai funzionari governativi, che utilizzavano come manodopera una sorta di “servitù della gleba” formata da ex contadini divenuti schiavi per debiti. La stessa religione fu imperniata su un pantheon la cui principale divinità era il dio Assur, padre degli altri dei e signore del destino umano, concepito però come divinità marziale. Alla scomparsa di Tukulti-Ninurta lo stato attraversò un periodo di crisi interna durato circa un secolo, che coincise con le infiltrazioni degli aramei e dei frigi, oltre che con il moto espansionistico elamico e babilonese. Non vi furono formalmente perdite territoriali, ma l’effettivo controllo dei sovrani si ridusse allora al solo nucleo originario costituito dalle zone di Assur e di Ninive. Il regno di Tiglat-Pileser I (1115-1077 a.C.) segnò una temporanea ripresa assira, con il rinnovato impegno militare sul fronte settentrionale per difendere l’alta Mesopotamia e le vie di accesso alle materie prime; in direzione occidentale per imporre l’egemonia commerciale assira sulla costa libanese; a sud per contrastare Babilonia (che venne temporaneamente ridotta alla condizione di stato-vassallo). Dopo di lui, però, l’Assiria conobbe una nuova fase involutiva (anche questa volta concomitante con le invasioni aramaiche), le cui ripercussioni si fecero sentire fino alla metà del IX secolo a.C. Anche l’opera della regina Shammuramat (nota con il nome greco di Semiramide), pur improntata a una certa moderazione e all’attenzione per la cultura (evidente soprattutto nei confronti di Babilonia), si inserì nel quadro dell’erosione del potere regio tipico di questa fase.

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4. Formazione e consolidamento dell’impero neo-assiro (metà IX – metà VIII secolo a.C.)

Se già Ashur-Dan (934-12 a.C.), Adad-Nirari II (911-891 a.C.) e Tukulti-Ninurta II (890-84 a.C.) si erano impegnati con qualche successo nel ristabilire il controllo assiro sull’alta Mesopotamia e sulla zona settentrionale degli Zagros, furono Assurnasirpal II (883-59 a.C.) e il figlio Salmanassar III (858-24 a.C.) a dare inizio a una nuova fase espansionistica, che però in questi anni diede ancora risultati piuttosto precari. Mancava infatti ancora una struttura amministrativa tale da permettere di sfruttare razionalmente i territori di nuova conquista. Non a caso al regno di Salmanassar V seguì, durante la prima metà dell’VIII secolo a.C., un nuovo periodo dapprima di precaria stabilità, poi di aperta crisi, che ebbe fine solo con l’ascesa al trono di Tiglat-Pileser III (744-27 a.C.). Affiancando l’azione di conquista a quella riorganizzativa questo sovrano riuscì infatti a costituire un saldo dominio i cui confini andavano dal golfo Persico a quello di Alessandretta, dal lago di Galilea a quello di Van (anche se egli non riuscì a consolidare il dominio su Babilonia). I nuovi territori e l’area dell’alta Mesopotamia vennero allora trasformati in province, rette da governatori di nomina regia e da una burocrazia assira, difesi da guarnigioni assire, mentre la pratica delle deportazioni in massa venne applicata sistematicamente per eliminare dalla scena politica la classe dirigente locale e colmare i vuoti lasciati in Assiria dal decremento demografico (a sua volta provocato dalle continue guerre). Anche l’apparato celebrativo raggiunse il culmine, come dimostrano le iscrizioni, i rilievi parietali, il rinnovato impulso dato all’attività edilizia. Toccò poi a Sargon II (721-705 a.C.) riprendere l’impegno militare e il processo di accentramento e di ristrutturazione dell’impero avviato da Tiglat-Pileser III. Attraverso una serie di fortunate campagne militari furono eliminate tutte le residue autonomie ancora presenti nella sfera di influenza assira e fu esteso ovunque il sistema provinciale. Effimera fu invece la conquista di Cipro e difficile da consolidare restava pur sempre la presenza assira in Babilonia, nonostante le due brillanti campagne militari condotte nel 720 e nel 710. Anche la sconfitta del regno di Urartu e del suo re Rusa (714 a.C.) non comportò ancora l’eliminazione di questa entità politica, mentre lungo il confine meridionale e orientale gli assiri si trovarono per la prima volta di fronte gli arabi e i medi.

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5. L’apogeo dell’impero neo-assiro e il suo crollo (750-610 a.C.)

Fra il 705 e il 630 a.C., sotto i regni di Sennacherib (704-681 a.C.), Esarhaddon (680-69 a.C.) e Assurbanipal (668-31 a.C.), l’impero raggiunse la massima estensione territoriale e si venne a trovare a diretto contatto, oltre che con popolazioni “nuove” quali i medi, i cimmeri e gli arabi, con due grandi regni: l’Egitto, e l’Elam. All’interno invece il principale problema rimase quello del consolidamento della presenza assira in Babilonia. In un primo tempo, sotto il regno di Sennacherib, l’attività militare fu concentrata soprattutto in quest’ultimo settore con spietata brutalità: al termine di una lunga campagna, nel 689 a.C. Babilonia fu infatti distrutta e rasa al suolo. Con Esarhaddon la fase puramente repressiva lasciò il posto a un processo di relativa distensione, che si concretizzò nella ricostruzione di Babilonia e nella restituzione dei beni ai cittadini babilonesi. Nelle aree periferiche dell’impero intanto si fecero più pericolose le incursioni dei cimmeri e degli sciti; a oriente i mannei e i medi consolidarono la loro presenza, mentre l’Egitto attraversava un periodo di crisi sotto la debole dinastia etiopica. Nel tentativo di approfittare del nuovo contesto internazionale gli assiri recuperarono per breve tempo il controllo di Cipro e cercarono di inserirsi nella lotta per il potere in Egitto. Con il pretesto di sottrarre la Palestina a ogni residua ingerenza egiziana, nel 670 a.C. Esarhaddon intraprese una spedizione che lo portò sino a Menfi e che gli permise di stabilire temporaneamente l’egemonia assira sugli stati del delta del Nilo (già l’anno dopo tuttavia fu costretto a scendere nuovamente in Egitto, scosso da una prima ribellione contro i nuovi dominatori, e trovò la morte durante il viaggio). Il disegno egemonico sull’antico regno dei faraoni venne ripreso dal figlio Assurbanipal (il Sardanapalo dei greci): l’Egitto fu riconquistato e la dinastia etiopica scalzata, ma nel 663 a.C. gli assiri vennero definitivamente respinti e dovettero riconoscere l’impossibilità di estendere il loro controllo oltre la Palestina. Diverso fu l’esito del confronto con l’Elam. Dopo la nuova presa di Babilonia gli eserciti assiri dilagarono nei territori elamici e provocarono il crollo del regno elamita, suggellato dal saccheggio della capitale Susa nel 646 a.C. Gli ultimi anni del regno di Assurbanipal risentirono positivamente del ridimensionamento delle altre potenze mediorientali. Paradossalmente però proprio la crisi o la scomparsa degli stati limitrofi dotati di una forte organizzazione statale (l’Elam in primo luogo) espose l’impero neo-assiro alla pressione esterna di nuove popolazioni (dagli sciti ai cimmeri, dai mannei ai medi). Dopo la morte di Assurbanipal i figli non seppero gestire la difficile eredità paterna, e lo sgretolamento di quella che era stata la più razionale macchina militare e amministrativa del Medio Oriente fu assai rapido. Tra il 626 e il 623 a.C. la Mesopotamia meridionale e l’area orientale lungo il corso del Tigri sfuggirono al controllo assiro e passarono nelle mani del capo caldeo Nabopolassar, nuovo re di Babilonia; la Siria e la Palestina ritornarono invece nella sfera d’influenza egiziana. Dal 614 a.C. i medi, che già prima si erano schierati con Nabopolassar, penetrarono nei territori assiri e saccheggiarono la città di Assur; nel 612 a.C. un nuovo attacco dei medi e dei babilonesi distrusse anche la capitale Ninive; nel 610 a.C. fu la volta di Khorran, dove si era ritirato l’ultimo sovrano assiro Ashur-Uballit II. L’impero era ormai finito: furono allora i caldei di Babilonia, nella persona di Nabucodonosor, a inserirsi nel vuoto lasciato dalla scomparsa della compagine assira.

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6. I caratteri della società neo-assira

Fra il IX e il VII secolo a.C. l’Assiria propriamente detta conobbe nel complesso un notevole sviluppo demografico, come testimonia la presenza di numerose città di grande importanza (oltre ad Assur le capitali neo-assire Khalkhu, Dur-Sharrukin e soprattutto Ninive, che raggiunse probabilmente gli 80.000 abitanti). A prescindere tuttavia dalle città (dove risiedevano i rappresentanti del potere centrale, i mercanti, gli artigiani e i militari), nelle campagne si ebbe invece un relativo calo demografico che venne compensato da massicci trasferimenti coatti dalle aree periferiche. Le esigenze di approvvigionamento per una fascia considerevole di popolazione urbana modificarono a loro volta la struttura sociale delle campagne, dove la classe dei contadini liberi e le comunità di villaggio entrarono definitivamente in crisi, mentre si diffusero su larga scala la manodopera servile (costituita da debitori insolventi e da deportati da altre province dell’impero) e la grande proprietà (in mano a funzionari regi). Del resto, se teoricamente tutta la popolazione era tenuta a sostenere le esigenze dello stato attraverso le contribuzioni – che potevano essere in natura o in prestazioni (corvées o servizio militare) – in realtà la diffusione della consuetudine delle esenzioni regie per i maggiorenti faceva ricadere il peso delle imposte proprio sulla classe più debole: di qui la tendenza alla contrazione della popolazione delle campagne, solo surrettiziamente sostituita da quella trasferitavi in modo coatto. La macchina militare raggiunse in questa fase della storia assira la sua maggior efficienza e razionalizzazione: l’esercito – che era costituito soprattutto da contadini liberi o asserviti e solo da una minoranza di soldati professionisti – era suddiviso in diversi corpi: quelli tradizionali dei carristi e della fanteria, e poi la cavalleria e i genieri (questi ultimi due videro ora accrescere la loro importanza). L’esercito era di solito guidato personalmente dal sovrano, o dal suo vice, il tartanu; i massimi dignitari di corte avevano anche i ruoli direttivi in campo bellico, assommando quindi funzioni civili e militari. I dignitari a loro volta potevano essere rappresentati dai principi o dagli eunuchi ed erano assegnatari di terre regie, legati al sovrano da un rapporto di fedeltà personale. Finalizzato allo sfruttamento delle risorse umane e materiali dei popoli assoggettati, l’impero neo-assiro raggiunse in questa fase una grande razionalizzazione anche in campo amministrativo, attraverso l’istituzione e la progressiva estensione del sistema provinciale voluto da Tiglat-Pileser III. Mentre però le province “interne”, istituite nell’Assiria propriamente detta e nell’alta Mesopotamia, furono caratterizzate da una relativa omogeneizzazione sul piano culturale fra vincitori e vinti, le province “esterne”, nell’area di più recente conquista, furono concepite unicamente come terre di sfruttamento. L’ideologia imperiale del resto non mancò di giustificare l’“imperialismo” assiro attraverso l’elaborazione di una concezione del mondo che elevava l’impero neo-assiro a modello universale di civiltà e di sviluppo, mentre svalutava sistematicamente qualsiasi forma di diversità etnico-culturale. L’architettura monumentale, la grandiosa opera urbanistica (culminata con la fondazione o con il potenziamento di ben tre successive capitali: Khalkhu, Dur-Sharrukin e Ninive), le celebrazioni delle grandi vittorie sui nemici esterni, le iscrizioni reali e i testi celebrativi in genere (fra i quali hanno particolare importanza gli annali dei vari sovrani) furono le forme attraverso le quali il messaggio di una regalità forte e accompagnata dal favore divino doveva raggiungere i vari strati della popolazione, convincendola della necessità e dell’intrinseca positività della loro condizione.

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