Venezuela

Stato attuale dell’America meridionale.

  1. Il periodo coloniale
  2. La repubblica indipendente
1. Il periodo coloniale

Il Venezuela fu scoperto da Cristoforo Colombo nel 1498. La sua esplorazione iniziò nel 1499 a opera di Alonso de Hojeda e Amerigo Vespucci. I primi insediamenti stabili di europei risalgono agli anni tra il 1520 e il 1527. Lo sfruttamento economico del paese, che deluse le aspettative di trovarvi metalli preziosi, fu affidato nel 1528 da Carlo V ai banchieri tedeschi Welser, i quali, tramite mercenari, consolidarono la conquista, utilizzando gli indigeni nel lavoro agricolo e nell’allevamento, che diventò la risorsa dominante del paese. Nel 1546 l’imperatore Carlo stabilì, con la nomina di un governatore, l’amministrazione diretta da parte della Spagna, la quale anche in Venezuela introdusse l’istituto dell’encomienda. Nel 1567 fu fondata la capitale Caracas. Nel corso del XVII secolo, grazie anche all’impiego massiccio di schiavi neri, si sviluppò in maniera crescente la produzione di tabacco, cacao, indaco, zucchero e il commercio, in parte notevole di contrabbando in specie con le Indie occidentali britanniche, assunse dimensioni ragguardevoli. Intanto andavano formandosi i primi nuclei di una classe dirigente indigena, costituita dai possidenti creoli. Nel secolo XVIII si ebbero tre processi di grande importanza: il rafforzamento del potere centrale con la creazione della capitaneria generale del Venezuela (più tardi intendenza) nel quadro del viceregno della Nuova Granada; il formarsi di un ceto colto che trasse beneficio dall’istituzione nel 1725 dell’Università di Caracas e che si aprì alle idee illuministiche; il consolidarsi di una rigida struttura di classe, che vedeva in basso schiavi neri e indios, di poco inferiori ai meticci e ai mulatti (pardos), e in alto l’aristocrazia formata da spagnoli e creoli. L’età napoleonica, con il conseguente indebolimento del dominio spagnolo, diede l’avvio alle lotte per l’indipendenza. Dopo una prima insurrezione antispagnola nel 1795, i creoli assunsero la leadership della rivoluzione nazionale, di cui divenne massimo esponente Francisco de Miranda. Nel 1810 venne riconosciuta l’autonomia, cui fece seguito nel 1811 la proclamazione dell’indipendenza. La prima repubblica si trovò fortemente indebolita da contrasti sociali che portarono i pardos a fianco degli spagnoli, i quali riuscirono a contrattaccare vittoriosamente. La definitiva vittoria della rivoluzione fu opera di Simón Bolívar, che, ottenuto l’appoggio dei pardos, sconfisse gli spagnoli nel 1821 nella battaglia di Carabobo. Il Venezuela entrò a far parte della federazione della Grande Colombia, formata anche da Ecuador, Nuova Granada e Perú; se non che il generale separatista José Antonio Páez proclamò l’indipendenza del Venezuela una prima volta nel 1826 e, in modo definitivo, nel 1830.

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2. La repubblica indipendente

Per tutto il corso dell’Ottocento il paese rimase sotto il controllo di una oligarchia, che trovò la propria espressione nel partito conservatore e in quello liberale. Il sistema politico, chiuso alle istanze popolari, restò sotto la tutela di questi due partiti e del ceto militare, che si contesero il potere. Al regime autoritario di Páez, che rimase al governo fino al 1846 poggiando prevalentemente sull’ala agraria dell’oligarchia e sotto il quale l’economia conobbe un certo slancio grazie alle esportazioni del caffè, fece seguito, tra il 1846 e il 1858, la dittatura di due generali, i fratelli José Tadeo e José Gregorio Monagas, i quali ottennero il congiunto sostegno dei militari e dell’oligarchia commerciale. Nel 1854 venne formalmente abolita la schiavitù. Gli irrisolti conflitti interni all’oligarchia fecero piombare il paese in un’era di guerre civili. La prima di esse infuriò tra il 1858 e il 1863, ed ebbe la sua causa principale nell’aspirazione dei liberali a trasformare il Venezuela in una repubblica federale secondo l’esempio nordamericano; aspirazione coronata da successo nel 1864 con la proclamazione degli Stati Uniti del Venezuela. La seconda, combattuta tra il 1868 e il 1870, fu provocata dallo stato di anarchia determinatosi nelle repubbliche federate in un periodo di acuta crisi economica e portò al potere il liberale Antonio Guzmán Blanco, che, virtualmente dittatore, rimase al potere, quasi ininterrottamente tra il 1870 e il 1888. Blanco intraprese una significativa opera di modernizzazione, aprendo il paese al capitale straniero, allargando la rete dei trasporti, laicizzando il regime matrimoniale e l’istruzione elementare, resa obbligatoria (il che lo mise in conflitto con la chiesa cattolica). Nel 1899 salì al potere il generale Cipriano Castro, che, rimasto in carica sino al 1908, instaurò il predominio dei militari di origine andina, soffocò nel sangue un tentativo rivoluzionario (1901-1903) e si trovò ad affrontare un blocco navale anglo-tedesco-italiano dovuto al mancato pagamento di crediti. A lui seguì il suo luogotenente Juan Vincente Gómez, che governò sino al 1935, poggiando sul ceto militare. Nel corso degli anni Venti il paese poté godere del boom del petrolio, sfruttato peraltro dalle compagnie straniere. Se non che il petrolio valse a dare una immensa ricchezza a pochi, in un contesto di acuta contrapposizione con la miseria popolare. Nel 1935 il potere passò al generale Eleázar López Contreras, che sciolse tutti i partiti di sinistra; e nel 1941 a un altro generale, Isaías Medina Angarita, il quale portò il paese in guerra contro l’Asse e consentì una relativa libertà alle opposizioni, fra cui il partito di Azione democratica, che aveva trovato un leader di rilievo in Rómulo A. Betancourt, un democratico riformista. Dopo una rivolta appoggiata da settori militari, Betancourt salì al potere nel 1945. Iniziò un periodo di riforme, con il varo nel 1947 di una nuova costituzione che aprì la strada alla legislazione sociale e alla democratizzazione politica, con la concessione del suffragio universale. Gli interessi petroliferi e l’ostilità ai piani di riforma agraria determinarono nel 1948 un colpo di stato militare che introdusse un regime reazionario, segnato fino al 1952 da instabilità e aspri conflitti interni ai quali pose fine la dittatura del colonnello Marcos Pérez Jiménez. Questi mise in atto una politica duramente repressiva, beneficiando dei ricchi proventi del petrolio e appoggiandosi strettamente agli USA. Nel 1958, in un periodo di caduta del prezzo del petrolio e in un clima di acuti contrasti sociali, la sua dittatura ebbe fine, portando alla restaurazione della democrazia. Tornò al potere Betancourt, che nel 1960 iniziò una moderata riforma agraria, aumentò i salari, avviò un piano di opere pubbliche. La linea del presidente incontrò forti resistenze da un lato nei conservatori, dall’altro nella sinistra di Azione democratica, che abbandonò il partito, e in quella più radicale, extraparlamentare, formata dal Movimento della sinistra rivoluzionaria (MIR) e dalle Forze armate di liberazione nazionale (FALN), animata e appoggiata dalla Cuba castrista. Questa sinistra tentò la via della rivoluzione violenta, ma senza successo. Nel 1964 si ebbe la cosiddetta “restaurazione democratica”, con l’ascesa al potere di un seguace di Betancourt, Raúl Leoni, il quale contribuì a mantenere la democrazia entro i binari della competizione tra Azione democratica e il partito cattolico (COPEI) di ispirazione conservatrice. Un esponente di quest’ultimo, Rafael Caldera, divenuto presidente nel 1969, mise in atto un piano di nazionalizzazioni nel settore petrolifero e legalizzò il Partito comunista, stabilendo inoltre relazioni diplomatiche con l’URSS. Questa politica di difesa degli interessi nazionali in campo petrolifero nei confronti di quelli statunitensi, proseguì col suo successore Carlos Andrés Pérez, esponente di Azione democratica (1974-78). Una certa tensione con gli Stati Uniti contraddistinse anche la presidenza di Herrera Campins, appartenente al partito cattolico (1978-84). Questi infatti accentuò l’autonomia del paese in politica estera, denunciando l’ingerenza statunitense nell’America Centrale e appoggiando l’Argentina nella guerra delle Falkland. Il 1984 vide il ritorno al potere di Azione democratica, con i presidenti Jaime Lusinchi (1984-89) e Carlos Andrés Pérez (1989-93). Essi dovettero fronteggiare una situazione economica resa via via più difficile dalla discesa del prezzo del petrolio e, inoltre, una situazione politico-sociale contrassegnata dall’esplodere degli squilibri legati a una caotica urbanizzazione, dall’emarginazione e da una disoccupazione diffusa. Il piano di austerità varato da Andrés Pérez subito dopo la sua ascesa al potere diede inizio a un periodo di acuti scontri sociali e forte instabilità politica. Accusato di corruzione dalla Corte Suprema, Pérez fu costretto alle dimissioni nel 1993. Gli succedette come facente funzione il presidente del Senato Octavio Lepage e, ad interim, il senatore Ramón José Velázquez Mujica (1992-94). Nel 1994 fu eletto presidente a capo di una coalizione di centrosinistra Rafael Caldera, il quale affrontò una pesante crisi economica e finanziaria, aggravata dal crollo del Banco Latino, con misure di austerità e la temporanea sospensione di alcune garanzie costituzionali per combattere il crimine organizzato. Nonostante violente agitazioni antigovernative, Caldera persistette nella sua linea, conseguendo nel 1997 sostanziali successi, anche grazie agli aiuti internazionali, ma nel 1998 la crisi finanziaria mondiale riportò il paese in una situazione molto grave. Le elezioni del 1998 portarono alla vittoria di Hugo Chávez Frías, a capo del Movimento per la quinta repubblica di indirizzo populista, con un programma di privatizzazione delle società petrolifere statali, di lotta contro la corruzione, di un maggiore sostegno agli strati più poveri e di rafforzamento dei poteri del presidente. Le elezioni del 1999 per l’Assemblea costituente segnarono una vittoria schiacciante per Chávez che, riconfermato alle presidenziali del 2000, avviò un programma di riforme e una politica estera indipendente (appoggio alla guerriglia antigovernativa in Colombia, rilancio del ruolo dell’OPEC, rottura dell’embargo petrolifero contro Cuba). L’aggravarsi della crisi economica (svalutazione del bolívar) e sociale suscitò forti proteste popolari alle quali seguì, nell’aprile del 2002, un tentativo di colpo di stato, a due giorni di distanza dal quale Chavez tornò tuttavia al potere. In politica estera Chavez continuò a promuovere un’accanita campagna antiamericana e a rafforzare i rapporti con Cuba nel quadro dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell’America latina e dei Caraibi. Nel 2007, dopo la sua terza rielezione presidenziale consecutiva, Chavez lanciò un piano di nazionalizzazione delle industrie strategiche del paese – tra cui quella energetica e petrolifera – che fu portato a termine l’anno successivo. Nel 2010, accusato di dare sostegno alle FARC, il Venezuela ruppe le relazioni diplomatiche con la Colombia. La crisi rientrò tuttavia dopo poco grazie all’incontro tra il presidente colombiano Juan Manuel Santos e lo stesso Chavez. Dopo un primo fallito tentativo risalente al 2007, nel febbraio del 2009, Chavez riuscì a far approvare un pacchetto di emendamenti costituzionali, grazie al quale fu ulteriormente rafforzato il suo potere.
Nelle elezioni legislative del 2010, il Partito socialista unito venezuelano (PSUV) si riconfermò al potere, senza tuttavia riuscire a conquistare la maggioranza assoluta e due anni dopo, nell’ottobre 2012, Chavez vinse nuovamente le elezioni presidenziali. Alla morte di questi, nel marzo 2013, la presidenza dello Stato passò pro tempore nelle mani di Nicolas Maduro, che nelle elezioni del mese successivo si impose sul candidato dell’opposizione.

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