Ungheria

Stato attuale dell’Europa centro-orientale.

  1. L’antichità
  2. Dalle invasioni barbariche alla conquista turca
  3. La lotta contro i turchi e la dominazione asburgica
  4. L’indipendenza ungherese
  5. La repubblica popolare di impronta sovietica
  6. La nascita della repubblica democratica
  7. Il centrodestra al potere
1. L’antichità

Il territorio, abitato sin dal paleolitico, dal V secolo a.C. fu dominato da tribù celtiche, che lo controllarono sino alla conquista romana (35 a.C.), quando la regione fu suddivisa in Pannonia inferior e Pannonia superior (10 d.C.). Con lo sviluppo di molte città e la crescita economica si ebbero, nel II secolo d.C., i primi tentativi di conquista da parte dei sarmati. Gli unni invasero in seguito la regione e nel 406 costrinsero le legioni romane a ritirarsi dalla Pannonia.

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2. Dalle invasioni barbariche alla conquista turca

Alla morte di Attila (453) i gepidi conquistarono il territorio a est del Tibisco e vi fondarono uno stato sopravvissuto sino all’arrivo degli ostrogoti che qui si insediarono temporaneamente. Dopo che i longobardi distrussero il regno dei gepidi (567), gli avari costituirono sul territorio ungherese un regno che durò sino al 796, quando fu conquistato da Carlo Magno: ebbe inizio allora l’evangelizzazione della regione. Gruppi consistenti di popolazioni ugrofinniche, provenienti dal versante orientale degli Urali, spinte da altre popolazioni provenienti dalle steppe siberiane e altaiche, si diressero verso occidente (verso la Finlandia e l’Estonia) e verso la Siberia settentrionale, mentre un’altra parte, gli ungari raggiunsero il territorio dell’attuale Ungheria stabilendosi nell’896 nella parte settentrionale, fra il Danubio e il Tibisco. A dare inizio allo sviluppo della civiltà magiara fu il principe Árpád. Questi, spingendosi verso sud, nell’899 raggiunse l’Italia sconfiggendo Berengario I sul fiume Trebbia, per poi stabilirsi nelle zone settentrionali del Danubio, nell’attuale Cecoslovacchia. Alla morte di Árpád, il successore Zoltán (907-947) invase nuovamente l’Italia settentrionale giungendo a saccheggiare Pavia nel 924, per poi dirigersi verso le zone interne del Sacro Romano Impero ed essere infine sconfitto nella battaglia di Merseburg (933) dall’imperatore Enrico I l’Uccellatore. Taksony (947-72), sconfitto a Lechfeld da Ottone I nel 955, spinse quindi gli ungari a consolidare il proprio controllo sul paese. Dopo la conversione degli ungari al cattolicesimo sotto Géza (972-97), Stefano I il Santo (997-1038) poté procedere alla costruzione di una più solida struttura statale, grazie anche all’incoronazione di papa Silvestro II (1001). La diffusione del monachesimo e la lotta contro le tendenze centrifughe delle singole tribù diedero l’avvio alla costruzione di una struttura amministrativa mutuata dal mondo franco. Ladislao I (1077-1095) ingrandì il regno sino alla Croazia, raggiungendo così l’Adriatico e ponendosi in diretto antagonismo con Venezia. Il processo di feudalizzazione e il conseguente accrescimento del potere nobiliare determinarono un progressivo indebolimento del potere regio, come risulta dalla Bolla d’Oro concessa nel 1222 da Andrea II il Gerosolimitano (1205-1235), in cui si riconosceva alla nobiltà il diritto di insorgere contro il sovrano in caso di violazione dei patti. Durante il regno di Béla IV (1235-70) si ebbe nel 1241 l’invasione dei mongoli. La fine della dinastia degli Árpád, dopo la morte di Andrea III il Veneziano (1290-1301), segnò l’inizio di una lunga lotta dinastica, conclusasi solo con l’ascesa al trono di Carlo I Roberto d’Angiò (1308-42). Il figlio Luigi I il Grande (1342-82), rafforzato il proprio potere nei confronti della nobiltà, portò il regno alla sua massima espansione territoriale, grazie alla conquista della Boemia, della Serbia, della Moldavia e della Valacchia, “cintura difensiva” contro la minaccia turca. Luigi I fallì invece nel tentativo – condotto due volte nel 1347 e nel 1350 – di conquistare il regno di Napoli e di fiaccare la potenza di Venezia. Alla morte di Luigi I, privo di eredi maschi, si aprì una nuova fase di lotte dinastiche. Sua figlia Maria, divenuta regina, fu catturata dal re di Napoli, Carlo di Durazzo (re d’Ungheria fra il 1385 e il 1386), ma riuscì con l’appoggio di Venezia a liberarsi: regnò allora con il marito Sigismondo di Lussemburgo, re d’Ungheria (1387-1437) e poi anche di Boemia, che nel 1396 fu sconfitto a Nicopoli dai turchi. Dopo l’elezione nel 1411 di Sigismondo a imperatore del Sacro Romano Impero la minaccia turca si fece sempre più incombente anche per la conquista dei territori lungo il Danubio: il successore, Ladislao III Jagellone, re di Polonia (1440-44), fu infatti ucciso dai turchi nella battaglia di Varna (1444). Il trono d’Ungheria, rimasto vacante fra il 1444 e il 1453 mentre governava il voivoda János Hunyadi – anch’egli sconfitto dai turchi a Kosovo Polje (1448) – fu assunto da Ladislao V Postumo (1453-57), morto ancora minorenne. Fu allora chiamato al trono Mattia Corvino (1458-90), figlio di János Hunyadi, che seppe assicurare all’Ungheria un lungo periodo di stabilità e di sviluppo culturale grazie anche al raggiungimento dell’armistizio con i turchi nel 1483. Alla morte di Mattia Corvino la nobiltà chiamò al trono Ladislao VII Jagellone (1490-1516), re di Boemia, durante il cui regno scoppiò nel 1514 una vasta rivolta contadina appoggiata dalla stessa nobiltà. Gli successe il figlio Luigi II Jagellone (1516-26), ucciso nella battaglia di Mohács contro Solimano II il Magnifico alla testa dell’esercito turco.

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3. La lotta contro i turchi e la dominazione asburgica

Dopo la morte di Luigi II si aprì una nuova fase di lotta per la successione al trono fra il voivoda di Transilvania, Giovanni I Szápolyai, appoggiato da Venezia, e l’imperatore Ferdinando I d’Asburgo: la pace di Nagyvárad del 1538 stabilì infine la separazione del regno dalla Transilvania, che da allora conservò la propria autonomia sino al 1713. Dopo la conquista turca di Buda (1541), la capitale fu trasferita a Pozsony (l’attuale Bratislava). Il territorio ungherese, divenuto teatro degli scontri fra gli Ottomani e l’esercito di Ferdinando d’Asburgo (1526-64), rimase in gran parte soggiogato ai turchi anche sotto Massimiliano II (1563-76) e Rodolfo II (1576-1608). Solo con Leopoldo I (1658-1705), grazie alla battaglia di Kahlenberg del 1683, ebbe inizio la riconquista dei territori tenuti dai turchi, conclusasi con la liberazione, da parte degli eserciti della Lega Santa, di Buda nel 1686 e di Belgrado l’anno successivo. La pace di Carlowitz (1699) segnò la completa liberazione dell’Ungheria dal dominio ottomano. Scoppiarono allora violente rivolte contro la dominazione asburgica a opera di Ferenc II Rákóczy e la Transilvania giunse a dichiarare la propria indipendenza alleandosi con Luigi XIV. Le rivolte furono duramente sedate dall’esercito asburgico, ma per tutto il Settecento continuarono le rivendicazioni del popolo magiaro, anche durante il periodo dell’assolutismo illuminato di Maria Teresa (1740-80) e di Giuseppe II (1780-90). Allo scontro fra ungheresi e croati, seguirono le rivolte contadine del 1784 e la richiesta di autonomia amministrativa da parte della Dieta ungherese nel 1790. Sotto Francesco I (1792-1835) la minaccia napoleonica sembrò sopire i dissidi fra impero asburgico e popolazione magiara, ma nel corso dell’Ottocento si andò formando una forte coscienza nazionale, soprattutto per opera di Lajos Kossuth. L’inizio dell’insurrezione di Budapest il 15 marzo 1848 costrinse l’imperatore Ferdinando I (1835-48) a concedere un esercito nazionale (Honvéd) e un governo autonomo, che fu affidato a Kossuth. Dopo l’ascesa al trono di Francesco Giuseppe, l’esercito ungherese fu infine costretto alla resa dai russi il 13 agosto 1849. Kossuth andò allora in esilio e l’Ungheria fu posta sotto lo stretto controllo austriaco. L’indebolimento del potere asburgico, ridimensionato dalla sconfitta nella guerra con la Prussia del 1866 e minato dal problema delle nazionalità, costrinse altresì Francesco Giuseppe alla creazione della duplice monarchia austro-ungarica (1867). L’Ungheria divenne così un’entità statale distinta dal resto dell’impero, un regno la cui corona fu però attribuita all’imperatore.

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4. L’indipendenza ungherese

Con il crollo dell’impero asburgico dopo la fine della prima guerra mondiale l’Ungheria, privata della Transilvania – che si era frattanto unita alla Romania – il 6 novembre 1918 proclamò la propria indipendenza e il 17 dello stesso mese si trasformò in repubblica. Il governo fu affidato a Mihály Károlyi, capo del Partito dell’indipendenza. La coalizione socialdemocratico-borghese non riuscì tuttavia a far fronte alla grave crisi del dopoguerra e il 21 marzo 1919, grazie all’accordo fra i socialdemocratici e i comunisti guidati da Béla Kun, fu proclamato lo stato dei soviet. Si ebbe allora una fase di “terrore rosso” volta all’instaurazione della dittatura del proletariato. Lo scontro armato con cechi e romeni che, appoggiati da francesi e italiani, riuscirono a prendere Budapest, pose fine dopo 131 giorni al governo di Béla Kun. Seguì un periodo di terrore bianco guidato dall’ammiraglio Miklós Horthy che poté, dopo le elezioni del 1920, procedere alla restaurazione della monarchia e farsi proclamare reggente. Iniziò così un processo di involuzione autoritaria appoggiato dalla chiesa e dai grandi proprietari terrieri. Con la firma del trattato di pace del Trianon (4 giugno 1920), il paese, considerato fra i responsabili del primo conflitto mondiale, dovette sottostare a pesanti sanzioni economiche e territoriali. La nuova costituzione, varata nel 1922, riaffermò la forma di governo monarchica con la reggenza di Horthy. Il governo di István Bethlen, appoggiato dal partito unico dell’Unione cristiano-nazionale agrario-borghese, segnò il progressivo avvicinamento al fascismo italiano e avviò un’intransigente politica di revisione del trattato di pace. Dopo l’ascesa del nazismo la forza delle Croci frecciate portò, nel 1932, alla dittatura del generale Gyula Yákfai Gömbös durata fino al 1936. Gli succedettero Koloman Darányi (1936-38) e Béla Imrédy nel 1938, che governò sino ai primi mesi del 1939. Sotto il governo di Pál Teleki si assistette a un progressivo avvicinamento alla Germania hitleriana, con l’adesione al patto anticomintern (13 gennaio 1939), la rottura dei rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica e, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, l’adesione al patto fra Germania, Italia e Giappone. Dopo il suicidio di Teleki (1941) che rifiutò la sottomissione ai nazisti, per volontà di Horthy salì al governo László Bárdossy, favorevole all’intervento in Iugoslavia a fianco dei nazisti per riconquistare i territori persi dopo la prima guerra mondiale. Nel 1944 Hitler invase l’Ungheria e, dopo l’arresto di Horthy (ottobre 1944), fu imposto il governo fantoccio filonazista delle Croci frecciate. Il conflitto si concluse con l’espugnazione da parte sovietica della cittadella di Buda tenuta dai tedeschi e con l’armistizio firmato il 20 gennaio 1945. Alle prime elezioni libere (4 novembre 1945) il Partito dei piccoli proprietari ottenne la maggioranza. Seguì la proclamazione della repubblica con la nomina a presidente di Tildy, del Partito dei piccoli proprietari. Fu allora varata una riforma agraria volta a eliminare il potere latifondistico. Per la presenza militare sovietica e dei comunisti al ministero degli Interni, si attuò la nazionalizzazione dell’industria pesante. Alle successive elezioni i comunisti ottennero la maggioranza relativa giungendo a controllare il governo.

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5. La repubblica popolare di impronta sovietica

Nel giugno del 1948, dopo l’unione di comunisti e socialdemocratici nel Partito operaio unificato (POU), si posero le premesse della trasformazione del paese in uno stato a partito unico, che fu sancita dalle elezioni a lista unica del maggio 1949 e dall’entrata nell’orbita sovietica. Nell’agosto del 1949 fu infine proclamata la repubblica popolare. La leadership di Mátyás Rákosi nel POU segnò la stretta adesione allo stalinismo con l’applicazione in Ungheria del modello economico sovietico sia in campo agricolo sia nell’industria. La pianificazione economica privilegiò lo sviluppo dell’industria pesante. La morte di Stalin nel 1953 ebbe l’effetto di condurre alla guida del governo un moderato, Imre Nagy che, fra il 1953 e il 1955, prima di essere destituito da Rákosi, tentò di “liberalizzare” il regime. Gli effetti della destalinizzazione avviata da Kruscëv determinarono le dimissioni di Rákosi e, dopo le manifestazioni guidate dal circolo di intellettuali intitolato a Sándor Petöfi, la reintegrazione di Nagy al governo (27 ottobre 1956). Le truppe sovietiche, entrate nella capitale, furono allora costrette dalla popolazione insorta a ritirarsi da Budapest. La reintroduzione da parte di Nagy del pluripartitismo, la nomina di János Kádár, anch’egli ex dirigente comunista allora riabilitato, a segretario del POU e infine le dichiarazioni di Nagy sull’uscita del paese dal Patto di Varsavia (1° novembre 1956) spinsero i sovietici alla repressione con il diretto appoggio di Kádár convinto che un’eventuale riforma del sistema dovesse avvenire nell’ambito della fedeltà all’URSS. Seguirono la fucilazione di Nagy nel 1958 e lo smantellamento di tutte le associazioni politiche spontanee sorte durante la rivoluzione. Kádár, rimasto al potere sino al 1965 come premier e segretario del partito – nel 1962 ribattezzato Partito operaio socialista ungherese (POSU) – poi solo in quest’ultimo ruolo sino al 1988, dopo la fase repressiva si sforzò di favorire la produzione di beni di consumo con una parziale apertura verso il mercato: il livello di vita migliorò, tanto da far nascere il mito del “socialismo del gulash”. Dopo le dimissioni di Kádár, con l’avvento dell’era gorbacëviana e la grave crisi dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale, si ebbe il sorgere di forme di pluralismo politico (autorizzato per legge dal gennaio 1989). Ricomparve allora il Partito dei piccoli proprietari e nacquero il Forum democratico ungherese, l’Alleanza dei liberi democratici e altri gruppi ancora. Nel marzo 1989, con la dissoluzione del potere comunista, il paese divenne una repubblica democratica. Dal giugno dello stesso anno le truppe sovietiche iniziarono a ritirarsi dal territorio e nel novembre dal POSU nacque il Partito socialista ungherese.

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6. La nascita della repubblica democratica

Le prime elezioni libere del marzo-aprile 1990 segnarono la vittoria dei partiti di centrodestra: a capo di un governo di coalizione fra i gruppi politici allora sorti fu posto Joszef Antall del Forum democratico, mentre Árpád Göncz, eletto nel 1990 presidente della repubblica, fu riconfermato nella carica nel 1995. La privatizzazione degli enti statali segnò il complesso processo di transizione verso l’economia di mercato: le difficoltà incontrate dal paese provocarono la grave sconfitta del Forum democratico alle elezioni del 1994, da cui trasse invece vantaggio il Partito socialista, che costituì allora un governo con a capo Guyla Horn, sorretto da una forte maggioranza. Nonostante il forte disagio nei confronti delle conseguenze indotte dall’introduzione dell’economia di mercato, il governo socialista non arrestò il processo di transizione, ma anzi favorì l’ingresso nel paese di consistenti capitali esteri. Le elezioni del 1998 videro la vittoria dell’Alleanza dei Giovani Unghersi (FIDESZ), il cui leader Viktor Orbán costituì un governo di coalizione di centrodestra. Nel 1999 l’Ungheria entrò nella NATO. Alle elezioni politiche del 2002 il Partito socialista sconfisse il centrodestra. Divenne allora primo ministro Péter Medgyessy, sotto il governo del quale l’Ungheria entrò a far parte dell’Unione Europea (2004). Costretto a dimettersi due anni dopo, fu sostituito dal compagno di partito Ferenc Gyurcsány, che guidò la coalizione di centrosinistra alla vittoria elettorale del 2006. A fronte della grave situazione economica, il governo Gyurcsány fu costretto a varare una serie di misure eccezionali per contenere la spesa pubblica e, nel 2008, a richiedere un ingente prestito dall’Unione Europea e dal Fondo monetario internazionale. Nel marzo del 2009, a causa della crescente impopolarità, Gyurcsány si dimise, lasciando l’incarico all’ex ministro dell’economia Gordon Bajnai.

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7. Il centrodestra al potere

Nelle elezioni del 2010 il FIDESZ conquistò la maggioranza assoluta e Orbán riassunse la carica di primo ministro. Tra 2010 e 2011 il governo avviò una serie di riforme che culminarono nel 2012 nell’adozione di una nuova costituzione fortemente orientata in senso tradizionalista. La nuova costituzione e l’introduzione di una legge restrittiva nei confronti della libertà di stampa suscitarono forti reazioni da parte dell’Unione europea.

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