Turchia

Stato attuale dell’Asia Minore e, in piccola parte, dell’Europa sudorientale.

  1. La rivoluzione kemalista e la nascita della Turchia moderna
  2. Dalla seconda guerra mondale a oggi
1. La rivoluzione kemalista e la nascita della Turchia moderna

Lo stato nazionale turco è sorto dalla dissoluzione dell’impero ottomano in seguito alla sconfitta da questo subita nella prima guerra mondiale, combattuta a fianco degli imperi centrali. Il trattato di Sèvres del 1920, accettato dal sultano Maometto VI (1918-22), ridusse i territori dell’ex impero alla zona degli Stretti e alla parte settentrionale della penisola anatolica, con circa 8 milioni di abitanti. Ma i nazionalisti guidati da Mustafà Kemal – i quali già in precedenza avevano reagito alle durissime condizioni imposte dai vincitori e all’occupazione greca di parte dei territori, e avevano stretto nel 1919 un “patto di rinascita nazionale” in opposizione alla capitolazione del sultano – ripresero la lotta contro gli alleati e la Grecia. La disfatta dei greci nel 1922 creò le condizioni per la revisione delle precedenti condizioni imposte dagli alleati e la stipulazione del trattato di Losanna (1923), che riconobbe lo stato nazionale dei turchi e decretò il ritorno alla Turchia della Tracia orientale e dell’intera Anatolia. Kemal stabilì la capitale ad Ankara, fece deporre nel 1922 il sultano e nell’ottobre 1923 proclamare la repubblica, di cui fu eletto presidente lui stesso. Nel 1924 fu varata una costituzione che introduceva il parlamentarismo con suffragio universale maschile. Ma di fatto venne introdotta la dittatura di Kemal – nominato “Ataturk” (padre dei turchi) – leader incontrastato del Partito repubblicano del popolo costituito nel 1923. Lo stato assunse un carattere accesamente nazionalista, che emarginò la minoranza greca e costrinse le minoranze etniche, a partire da armeni e curdi, a una assimilazione forzata. Atatürk sottopose la società turca a un intenso e rapido processo di modernizzazione, che unì un nazionalismo laicista all’occidentalizzazione economica e istituzionale. I costumi della tradizione islamica vennero combattuti, con la soppressione degli ordini religiosi, la fine della poligamia, la proibizione del fez, l’obbligatorietà del matrimonio civile. L’islam cessò di essere religione di stato. Furono introdotti codici di ispirazione occidentale. Venne altresì introdotto l’alfabeto latino. Nel 1934 fu concesso il voto alle donne. Nelle campagne furono cancellati i resti del feudalesimo. L’industrializzazione ricevette un notevole impulso con il concorso determinante dello stato (nel 1934 fu anche varato un piano quinquennale). L’amministrazione fu centralizzata e riorganizzata. In campo internazionale, la Turchia – che aveva stretti rapporti con l’URSS, nonostante la pesante repressione all’interno dei comunisti – mirò al proprio consolidamento, ottenendo un successo nel 1936 con il riconoscimento della contestata regione di Alessandretta. Nel 1932 entrò a far parte della Società delle Nazioni.

Top

2. Dalla seconda guerra mondale a oggi

La Turchia passò attraverso la seconda guerra mondiale – dichiarò guerra alla Germania nel febbraio 1945 – sotto la guida di Ismet Inönü, succeduto a Kemal nel 1938 e suo luogotenente. Nel dopoguerra la Turchia divenne uno stretto alleato degli Stati Uniti, ricevendone in cambio vasti aiuti militari ed economici. Nel 1952 aderì alla NATO e nel 1955 al patto di Baghdad. Le elezioni del 1950 furono vinte dal Partito democratico, sorto nel 1946 da una corrente del Partito repubblicano, e portarono al potere come presidente Celal Bayar e come primo ministro Adnan Menderes. Sotto il governo dei democratici, il paese si sviluppò impetuosamente ma anche contraddittoriamente, così da portare nel 1960 a agitazioni che indussero i militari, i quali si richiamavano al kemalismo, a un colpo di stato. Menderes venne giustiziato. Nel 1961 fu varata una nuova costituzione caratterizzata da un forte esecutivo, la quale inaugurò la “seconda repubblica”. Il generale Kemal Gürsel fu eletto presidente. Tornò al potere il partito repubblicano e primo ministro diventò Ismet Inönü, a capo di un governo di coalizione. Le elezioni del 1965 portarono al potere il leader del conservatore Partito della giustizia, Suleyman Demirel, che rinnovò la sua vittoria nel 1969. Ma il paese era entrato in una fase di accentuata instabilità, con aspre contrapposizioni tra forze di destra e di sinistra, filoamericani e antiamericani, tradizionalisti islamici e anti-tradizionalisti. Premeva altresì con forza il separatismo curdo. La violenza prese sempre più piede all’interno del paese, mentre diversi governi si succedevano senza ottenere risultati. Nel 1974 primo ministro divenne Bülent Ecevit, di tendenze socialdemocratiche, a cui toccò affrontare uno scontro aperto con la Grecia per Cipro, dove vennero inviate truppe, col risultato di dividere l’isola in due parti. La tensione con la Grecia fu aggravata ulteriormente da un conflitto di interessi per il controllo di zone petrolifere e a stento venne evitata la guerra. L’aggravarsi congiunto della situazione economica e della violenza politica di matrice terroristica determinarono nel 1980 un nuovo colpo di stato da parte dei militari, guidati dal generale Kenan Evren. Approvata una nuova costituzione nel 1982, introdotto il monocameralismo, prese drastiche misure per restaurare un clima di ordine e convivenza civile in una situazione fattasi insostenibile, nel 1983 il Partito della patria, ispirato dai militari e guidato da Turgut Ozal, vinse le elezioni con una fortissima maggioranza. Ozal formò così il governo. Nel 1987 la legge marziale venne abolita, salvo che nelle province curde, oggetto di una durissima repressione. La fine degli anni Ottanta portò a un netto miglioramento all’interno, con il ristabilimento della normalità costituzionale, e alla distensione delle relazioni con la Grecia. Nel corso della guerra del Golfo, che agli inizi del 1991 vide le Nazioni Unite, e in particolare gli USA, reagire militarmente all’invasione del Kuwait da parte del dittatore iracheno Saddam Hussein, la Turchia diede un appoggio di primaria importanza. La guerra riattivò il problema curdo, a cui il governo turco rispose con la consueta durezza. Le elezioni del 1991 portarono al potere Mesut Ylamaz del Partito della madrepatria (ANAP), di centrodestra. Nel 1992-93 al conflitto con i curdi, culminato in quel periodo in scontri armati, si aggiunsero le azioni in alcuni casi terroristiche dei fondamentalisti islamici. Alla morte di Ozal nel 1993, gli succedette come presidente Suleyman Demirel. E subito dopo fu eletta primo ministro una donna, Tansu Çiller, del Partito della giusta via, sotto il cui governo fu condotta nel 1995 una vasta azione militare contro i curdi dell’Iraq. Dopo che il governo Çiller fu travolto da un’ondata di scandali, le elezioni del 1995 videro la vittoria relativa del partito islamico Refah (benessere), il cui leader, Necmettim Erkanan, solo nel 1996 poté formare un governo a causa dell’ostilità dei partiti laici. Se non che nel 1997 i militari imposero la caduta del governo, al quale seguì un debole governo di coalizione con a capo Mesut Yilmaz, che si fece interprete di una energica reazione anti-islamica. Nel 1998 la tensione con i greci a Cipro tornò a farsi alta. Un duro colpo per la Turchia fu la non accettazione da parte dell’Unione Europea della sua domanda di ammissione, anche perché nel paese continuava a essere in vigore la pena di morte. Un accordo con la Siria, che si impegnò a sospendere gli aiuti ai curdi, fu raggiunto nel 1999. La caduta del governo sotto accuse di corruzione portò alla formazione di un governo presieduto da Bülent Ecevit, del Partito democratico di sinistra. Il 1999 fu segnato dal caso legato alla cattura del leader curdo Abdullah Öçalan, capo del Partito dei lavoratori del Kurdistan di indirizzo marxista, che diede nuovo vigore dell’agitazione curda, alimentando atti terroristici e una ripresa della repressione. Il leader curdo, nonostante avesse fatto appello alla cessazione della lotta dei curdi per l’indipendenza, fu condannato a morte, ma la sentenza non fu eseguita. Il caso Öçalan influenzò le elezioni del giugno, favorendo la vittoria del Partito democratico di sinistra e del Partito nazionalista d’azione, entrambi contrari a una soluzione negoziata del problema curdo.
La grave crisi finanziaria esplosa nel febbraio 2001 (svalutazione e inflazione) determinò un deterioramento della situazione politica per i contrasti sulle riforme imposte dal FMI (ma necessarie anche in vista dell’ingresso nella UE). Alle elezioni dell’ottobre 2002 la vittoria del Partito islamico (AKP, Partito della giustizia e dello sviluppo) guidato da Abdullah Gül e Recep Erdogan aprì una serie di incognite circa la politica interna del paese e i suoi rapporti con l’UE. Nel 2004 fu abolita la pena di morte. Nel 2007, dopo lo scioglimento anticipato del parlamento e la vittoria del Partito islamico alle successive elezioni, Abdullah Gül fu nominato presidente della Turchia e Recep Erdogan fu riconfermato alla guida del governo. Nel frattempo, a fronte della ripresa delle operazioni di guerriglia dei curdi, verso la fine del 2007 l’esercito turco compì numerose azioni di repressione che si spinsero aldilà del confine con l’Iraq. Nel febbraio del 2008 il parlamento approvò un emendamento costituzionale che soppresse il divieto di indossare il velo nelle università. Il provvedimento, successivamente ritirato, suscitò comunque forti reazioni da parte dell’opinione pubblica laica e riaprì il dibattito sulla minaccia rappresentata dal Partito islamico nei confronti dell’ordinamento secolare del paese. Nel 2010 fu approvato un secondo pacchetto di emendamenti costituzionali tesi a ridurre l’influenza dell’esercito nella vita politica e a rafforzare i poteri del presidente e del parlamento. Nel 2011, all’indomani del successo ottenuto alle elezioni parlamentari, l’AKP si assicurò nuovamente una larga maggioranza all’Assemblea nazionale e Erdogan fu riconfermato a capo del governo. Nonostante le riforme costituzionali del 2010, la questione dell’adesione della Turchia all’EU rimase altamente

Top