Tunisia

Stato attuale dell’Africa settentrionale.

  1. Dalle origini alla colonizzazione
  2. La colonizzazione francese
  3. La Tunisia indipendente
  4. La rivoluzione dei gelsomini e la primavera araba
1. Dalle origini alla colonizzazione

Abitata in principio dai nomadi berberi, a partire dal XII secolo a.C. la Tunisia fu percorsa dai fenici che vi fondarono diverse colonie, la più importante delle quali fu Cartagine, sorta nel IX secolo a.C. Su questa base si consolidò, con il passare del tempo, una differenziazione di carattere etnico fra la zona settentrionale e orientale del paese, contraddistinta da una civiltà sedentaria di origine orientale dedita in primo luogo alle attività commerciali, e la zona meridionale, segnata dalla presenza nomade berbera. Dopo la creazione del regno dei numidi, che fu conquistato da Roma all’indomani della terza guerra punica (146 a.C.), la zona tunisina entrò a far parte della ricca provincia d’Africa, romanizzandosi nella mentalità e nei costumi della sua élite e accogliendo il cristianesimo (che espresse con Tertulliano e Sant’Agostino i suoi frutti più originali). Seguirono secoli di decadenza legati alle invasioni barbariche, che portarono al costituirsi del regno dei vandali (429-533) e poi alla breve dominazione bizantina (533-698) che, rimasta poco più che formale, fu costantemente minacciata dall’ostile presenza dei berberi. In questo quadro, la conquista omayyade – fieramente contrastata dagli stessi berberi – si concluse alla fine del VII secolo con la caduta di Cartagine (696). Già nel 670, peraltro, era stata fondata la città santa di Kairouan, divenuta sede del governatore generale dell’Ifriqiyyah araba. Ne derivò la diffusione della religione islamica, alla quale le genti berbere aderirono pur conservando una certa autonomia, come testimonia la diffusione del khagirismo. Varie dinastie arabe e berbere detennero poi il potere nella regione, rendendosi di fatto indipendenti dall’autorità degli Omayyadi e degli Abbasidi. Nel IX secolo il potere fu esercitato dagli Aghlabidi, nel X e nella prima metà dell’XI secolo dai Fatimidi e dai loro alleati, gli Ziridi. Contro questi ultimi, tuttavia, gli stessi Fatimidi non impedirono la devastante invasione dei nomadi banû hilâl e dei banû sulaîm, che produsse una situazione di estrema precarietà politica e la completa arabizzazione della popolazione. Fra il 1143 e il 1148 la crisi politica di questa regione provocò la temporanea conquista di alcuni porti tunisini da parte dei normanni. Nel 1159 gli Almohadi, guidati da Abd el-Mumin, conquistarono il paese e realizzarono l’unificazione del Maghreb. I loro successori, gli Hafsidi, regnarono dal 1236 al 1574 portando la Tunisia al suo massimo splendore economico e al rango di maggiore potenza del Maghreb. La conquista di Tunisi nel 1534 a opera del corsaro turco Kizr, uno dei fratelli Barbarossa, innescò un processo che, nonostante l’intervento dell’imperatore Carlo V (che occupò Tunisi nel 1535) doveva portare alla caduta della dinastia hafsita e all’ingresso della Tunisia nell’ambito del dominio turco. Nel 1574 con la seconda conquista della capitale da parte dei corsari turchi il paese divenne una provincia dell’impero ottomano, costituendosi nella Reggenza di Tunisi durata fino al 1881. I tre secoli di dominazione turca segnarono la decadenza economica della Tunisia, la cui attività fondamentale divenne, come per la Reggenza di Algeri e la Reggenza di Tripoli, la pirateria. Sul piano politico e amministrativo il paese conobbe una relativa indipendenza dal potere centrale. Dalla metà del XVII secolo infatti non fu più il pascià ma il dey – letteralmente “zio”, termine con cui si indicava il più autorevole dei quaranta comandanti dei giannizzeri – a esercitare le funzioni di governo. La carica divenne poi di fatto ereditaria, consentendo la formazione di vere e proprie dinastie locali: dapprima quella dei Muraditi (1640-1705), durante la quale divenne sempre più importante la figura dell’esattore-capo delle imposte, il bey, poi quella degli Hussein (1705-1957). L’intervento della Francia e dell’Inghilterra contro i corsari tunisini, iniziato nella prima metà del XIX secolo, costrinse la Tunisia ad avviare un processo di riorganizzazione politica: nel 1861 fu varata una costituzione che introduceva la monarchia parlamentare. La situazione economica rimase però estremamente difficile, al punto che nel 1869, per la minaccia di insolvenza dei debiti contratti con i paesi europei, lo stato dovette accettare il controllo finanziario inglese, francese e italiano.

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2. La colonizzazione francese

Il congresso di Berlino (1878) sancì l’appartenenza della Tunisia alla sfera d’influenza francese. Estromessi gli italiani, nel 1883 la Francia, a seguito di un intervento armato, stabilì il protettorato sul paese. Dal 1907 le forze nazionalistiche – sull’onda del miglioramento della situazione economica e della complessiva evoluzione della società – si organizzarono nel Partito dei giovani tunisini. Nel 1920 fu creato il Destur e nel 1934 il Neo Destur, al quale Habib Burghiba impresse un orientamento progressista laico e liberale. La caduta nel 1937 di Léon Blum, che si era rivelato un interlocutore disponibile per la Tunisia, segnò tuttavia la fine delle speranze di emancipazione. Durante la seconda guerra mondiale, dopo essere stata occupata nei suoi centri nevralgici dalle truppe tedesche dell’Afrikakorps, la Tunisia fu riconquistata dagli Alleati fra il febbraio e il maggio del 1943. Fu il preludio alla riconferma da parte francese del regime di protettorato, reintrodotto nel marzo 1944. Dopo l’iniziale repressione delle aspirazioni indipendentistiche (che portò nel 1952 agli arresti dello stesso Burghiba e determinò l’insorgere di dure forme di lotta terroristica), la Francia fu però costretta ad avviare trattative con il Neo Destur e con il suo segretario Salah Ben Yussef. Le convenzioni del giugno 1955 accordarono ai tunisini la direzione della politica interna e il 20 marzo 1956, grazie soprattutto all’abilità politica di Burghiba, il paese ottenne l’indipendenza.

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3. La Tunisia indipendente

In seguito alla vittoria del Neo Destur alle elezioni dell’Assemblea costituente nell’aprile del 1956, Burghiba assunse la guida del governo. Nel luglio 1957 l’assemblea varò il mutamento dell’assetto istituzionale con l’instaurazione della repubblica, a capo della quale fu eletto lo stesso Burghiba. Da allora la vita politica tunisina fu di fatto monopolizzata da quest’ultimo (rieletto nel 1964, nel 1974 e nel 1975 confermato presidente a vita) e dal suo partito (dal 1964 denominato Partito socialista desturiano), che garantirono stabilità al paese, ma con profonde contraddizioni. In campo interno a misure liberali quali il riconoscimento delle libertà fondamentali del cittadino (sancite dalla costituzione del giugno 1959), si oppose la realtà di un regime a partito unico e l’intolleranza verso qualsiasi forma di dissenso (emblematica la condanna di Habib Achur, segretario dell’UGTT, il sindacato tunisino), nonché il consolidarsi di una prassi clientelare e di forme di nepotismo. L’economia fu invece gestita, nell’ambito di un’impostazione di carattere socialista, in modo da coordinare l’iniziativa privata e l’impresa pubblica: i settori fondamentali dell’energia, dei trasporti e delle miniere, così come gran parte dell’industria, furono nazionalizzati; il commercio e l’agricoltura, dopo il fallimento di un tentativo di collettivizzazione, furono lasciati all’iniziativa privata. Dagli anni Settanta l’impronta socialista venne progressivamente meno per lasciare il posto a un indirizzo liberista sul modello occidentale. In politica estera Burghiba stabilì buoni rapporti con i paesi occidentali (ottenendo notevoli finanziamenti dagli USA) e, dalla metà degli anni Sessanta, anche con la Francia, dopo un decennio di tensione causato dalla nazionalizzazione delle terre appartenenti ai coloni e dall’aiuto fornito da Tunisi al FLN algerino. Con i paesi arabi (sin dal 1958 la Tunisia entrò a far parte della Lega araba) i rapporti furono difficili negli anni Sessanta, a causa di un atteggiamento ritenuto troppo accondiscendente verso Israele, ma si fecero poi più distesi. La rottura delle relazioni diplomatiche con l’Egitto (fra il 1966 e il 1967) e con la Siria (dal 1968 al 1971) segnò il momento di maggior tensione. Negli anni Settanta, tuttavia, vennero rinsaldati i rapporti con l’Algeria indipendente, con l’Arabia Saudita e con gli stati dell’Africa francofona, mentre l’unione con la Libia, progettata nel 1974, si dimostrò ben presto irrealizzabile e portò a una crescente tensione fra i due paesi. Alla fine degli anni Settanta divennero evidenti i sintomi di un profondo malessere sociale, in parte alimentato e strumentalizzato dal fondamentalismo islamico, che dopo la rivoluzione in Iran (1979) si diffuse nel mondo arabo toccando anche quello che era sempre stato il paese più laico al suo interno. Scioperi e insurrezioni – la più grave delle quali fu la rivolta del pane, degenerata in una vera e propria guerra civile nel 1984 – si moltiplicarono provocando dure repressioni da parte di un regime che si dimostrava ormai incapace di attuare quell’opera di risanamento economico che sola poteva togliere terreno al diffondersi del fondamentalismo e dell’estremismo. In questo clima nel novembre 1987 il primo ministro Zin el Abdin Ben Alì destituì in modo incruento Burghiba e gli succedette nella carica, ponendo fine alle repressioni e permettendo alle opposizioni di esprimersi. Il nuovo primo ministro Hedi Baccouche fu incaricato della riforma costituzionale, che abolì la nomina a vita del presidente e introdusse il multipartitismo. Le elezioni del 1989 riconfermarono Ben Alì alla guida del paese. Il Raggruppamento costituzionale democratico, erede del partito desturiano, conquistò tutti i seggi grazie alle alte percentuali di astensionismo e alla disorganizzazione delle opposizioni. Il nuovo primo ministro Hamed Karoui dovette affrontare nel corso del 1990-91, in particolare durante la guerra del Golfo, una recrudescenza dell’integralismo islamico, che provocò gravi scontri nel febbraio del 1991. Nel 1994-95 il paese venne scosso da un’ulteriore ondata di agitazioni promosse dai fondamentalisti islamici, sostenuti da quelli algerini, che vennero duramente represse. Nel 1994 e poi nel 1999 Ben Alì fu rieletto alla presidenza della repubblica e nel 2002 impose un emendamento alla costituzione per poter essere eletto una quarta volta.

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4. La rivoluzione dei gelsomini e la primavera araba

Riconfermato nel 2004 e nel 2009, Ben Alì impose progressivamente un regime autoritario, che divenne oggetto di violente contestazioni a partire dal gennaio del 2011, nel contesto della cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. Inizialmente suscitate dalle gravi condizioni economiche del paese, le proteste assunsero presto carattere politico. Dopo una prima fase duramente repressiva, Ben Alì allontanò il ministro degli interni, Rafik Belhaj Kacem, e annunciò l’istituzione di una commissione investigativa. A fronte della continuazione delle proteste e della decisione da parte dell’esercito di schierarsi dalla parte dei manifestanti, Ben Alì lasciò infine il potere nelle mani di un governo provvisorio composto perlopiù da esponenti dell’ex regime e guidato da Mohamed Ghannouci. A causa delle contestazioni, quest’ultimo fu però costretto a dimettersi. La carica di primo ministro del governo provvisorio passò quindi a Beji Caid Sebsi, ex ministro degli esteri sotto Burghiba, che sciolse la polizia segreta e guidò il paese nei suoi primi passi verso la transizione democratica.
Nell’ottobre dello stesso anno si svolsero le elezioni per l’Assemblea costituente, che videro l’affermazione del partito islamista moderato al Nahda (Movimento della rinascita). Sul finire del 2011 l’Assemblea elesse Moncef Marzouki alla presidenza della repubblica e Hamadi Jebali assunse la carica di primo ministro. Dimissionario dopo appena un anno, Jebali fu sostituito nel marzo 2013 dal compagno di partito Ali Laarayedh.

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