Togliatti, Palmiro

(Genova 1893, † Jalta 1964). Uomo politico italiano. Leader del Partito comunista italiano. Dopo aver condotto gli studi liceali a Sassari, compì gli studi universitari a Torino, dove si laureò in giurisprudenza. Qui incontrò A. Tasca e A. Gramsci e probabilmente nel 1914 si iscrisse al PSI. La sua formazione politica avvenne sotto la determinante influenza del neoidealismo di Croce e Gentile, ma anche di Salvemini e di Mussolini. Nel 1919 con Tasca e Gramsci diede vita al settimanale “L’Ordine nuovo”, organo del movimento torinese dei consigli di fabbrica orientato verso una strategia rivoluzionaria ispirata al sovietismo bolscevico. Sorto il Partito comunista d’Italia nel 1921, ne divenne uno dei dirigenti, conducendo poi, dopo varie incertezze, insieme con Gramsci la lotta contro la leadership di A. Bordiga, accusato di estremismo e di ostilità verso il processo di bolscevizzazione del partito. Nel 1926 stese con Gramsci le Tesi di Lione, nelle quali l’alleanza tra operai del nord e contadini meridionali sotto la guida del partito comunista veniva indicata come asse portante della futura rivoluzione socialista italiana. In quello stesso anno un aspro dissenso divise però Gramsci da Togliatti in relazione al conflitto apertosi in seno al gruppo dirigente sovietico. Mentre il primo, pur sostenendo la linea di Stalin e di Bucharin, ne criticava i metodi autoritari, il secondo l’appoggiò senza riserve. Dopo l’arresto di Gramsci, Togliatti divenne nel 1927 segretario del partito, che diresse dall’estero. Fermo sostenitore di Stalin, nel 1930 provvide a espellere dal partito gli elementi antistaliniani. Quindi, ottemperando alle direttive della Terza Internazionale, secondo cui la crisi economica del 1929 aveva creato le condizioni di un rilancio della rivoluzione internazionale e il nemico principale era costituito dai partiti socialdemocratici e socialisti che sabotavano la rivoluzione stessa, così da formare l’ala “socialfascista” dello schieramento controrivoluzionario, attivò i quadri comunisti in Italia con un esito fallimentare che costò la prigione a molti militanti. Tali posizioni, nettamente respinte da Gramsci in carcere, determinarono la rottura con quest’ultimo e con Terracini. Di fronte al consolidamento del nazismo in Germania, all’avvento di numerosi regimi autoritari di destra in Europa, al pericolo di una caduta del regime democratico in Francia, l’Internazionale comunista mutò drasticamente linea al VII Congresso (1935), di cui Togliatti fu uno dei protagonisti. Venne allora lanciata la strategia dei “fronti popolari” diretti a stabilire l’alleanza tra comunisti, socialisti, socialdemocratici e democratici borghesi al fine di combattere il fascismo internazionale, salvaguardare le istituzioni democratico-parlamentari, contrastare il pericolo di guerra principalmente diretto contro l’URSS. Scoppiata nel 1936 la guerra civile in Spagna in seguito alla vittoria del Fronte popolare, Togliatti vi si recò nelle vesti di rappresentante dell’Internazionale, prendendo parte attiva alla repressione degli anarchici, dei marxisti antistaliniani e dei trockijsti. Inoltre sostenne senza tentennamenti le “grandi purghe” che nell’URSS portarono tra il 1936 e il 1938 allo sterminio degli oppositori di Stalin. Scoppiata la seconda guerra mondiale (1939-45), Togliatti da Mosca diresse un’intensa attività propagandistica contro le “potenze imperialistiche occidentali” rese colpevoli dello scoppio del conflitto, capovolgendo però le sue posizioni dopo l’invasione nazista dell’URSS nel 1941. Dopo il crollo del regime fascista nel 1943, Togliatti, tornato in Italia nel 1944, attuò la cosiddetta “svolta di Salerno”, che indusse i partiti antifascisti ad accantonare la questione istituzionale sino alla fine della guerra e ad appoggiare il governo Badoglio. Promosse inoltre una linea di stretta unità con il Partito socialista (con cui i comunisti fin dal 1934 avevano stretto un patto di unità di azione), di intesa con la DC e di rinnovamento del partito comunista. Teorizzò la necessità di un “partito nuovo”, diretto dai quadri marxisti-leninisti ma aperto all’adesione di vaste masse. Tra il 1944 e il 1946 fu ministro nei governi Badoglio, Parri e De Gasperi. Restaurata la democrazia in Italia, respinse ogni velleità insurrezionale e perseguì l’obiettivo di attuare un regime di “democrazia progressiva”, volto a sradicare le radici del fascismo e ad avviare una politica di riforme sulla base dell’accordo tra i grandi partiti popolari e le masse legate alla sinistra e cattoliche e ad aprire la strada alla transizione al socialismo in Italia. All’Assemblea costituente, con l’intento di rafforzare l’intesa con i cattolici indusse il PCI, in disaccordo col PSI, a votare l’art. 7 che inglobava nella costituzione i Patti lateranensi firmati dalla chiesa e dal fascismo nel 1929. Le ripercussioni in Italia dell’inizio della “guerra fredda” sancirono il fallimento della linea della “democrazia progressiva”. Dopo l’esclusione delle sinistre dal governo nel 1947 e la clamorosa vittoria della DC alle elezioni del 1948, le quali fecero del PCI il più forte partito della sinistra, Togliatti fu il principale esponente dell’opposizione ai governi di centro e attestò il PCI su posizioni di acceso filosovietismo, assumendo posizioni di punta nella campagna contro l’“eresia” iugoslava di Tito. Subìto nel luglio del 1948 un grave attentato ad opera di un estremista di destra, contrastò energicamente le azioni insurrezionali che ne seguirono. Nel 1956 sostenne criticamente la destalinizzazione nell’URSS e appoggiò senza incertezze la repressione sovietica in Ungheria. D’altra parte insistette sulla necessità per il PCI di perseguire una “via italiana” al socialismo e per il movimento comunista internazionale di percorrere le vie della coesistenza pacifica e di dar vita al suo interno a un vero e proprio “policentrismo”, pur nel pieno appoggio all’URSS, di cui continuò a esaltare le conquiste e la superiorità sull’Occidente. Avvenuta nel 1956 la rottura col PSI, dopo che questo nel 1962 strinse un’alleanza di governo con la DC, Togliatti guidò l’opposizione comunista ai governi di centrosinistra, accusando i socialisti di “socialdemocratizzazione”. Preoccupato in particolare dal conflitto ideologico e politico scoppiato tra l’URSS e la Cina maoista, nel 1964, poco prima di morire, diresse a Kruscëv un memoriale – noto come Memoriale di Jalta – nel quale delineava proposte per il rinnovamento interno del mondo socialista. [Massimo L. Salvadori]