Tito

Pseudonimo di Josip Broz (Kumrovec 1892, † Lubiana 1980). Uomo politico iugoslavo. Nato in Croazia, combatté nella prima guerra mondiale. Preso prigioniero dai russi, si unì tra il 1918 e il 1920 all’Armata Rossa. Convertitosi al comunismo, venne imprigionato tra il 1928 e il 1934 per attività sovversiva. Nel 1937, con l’appoggio della Terza Internazionale, divenne il leader dei comunisti iugoslavi. Durante la seconda guerra mondiale, Tito emerse nel 1941 come il principale capo della Resistenza contro i nazifascisti, costituendo un esercito di liberazione, il cui nucleo era costituito etnicamente dai serbi e politicamente dai comunisti, ma che ben presto allargò la sua base a vasti strati popolari di tutta la Iugoslavia. Osteggiato dal governo iugoslavo in esilio e dai cetnici di Mihajlovic, che per avversione ai comunisti non mancò di collaborare con i tedeschi, nel 1944 Tito ottenne l’appoggio non solo dell’Unione Sovietica, ma anche della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Il che pose le premesse perché il partito comunista e l’esercito popolare, che liberò il paese senza aiuti esterni dopo una lotta durissima, nel 1945 assumessero il controllo politico della Iugoslavia. Ottenuta una schiacciante vittoria elettorale in novembre, Tito fece deporre il re Pietro II. Nel 1946 fu formata la Repubblica federale iugoslava, di cui Tito divenne presidente. Sotto la sua guida la Iugoslavia comunista in un primo tempo perseguì una linea di stretta ortodossia filosovietica. Tuttavia nel 1948 Tito, il cui potere aveva forti basi nazionali, di fronte al palese tentativo dell’URSS di fare anche della Iugoslavia un paese satellite, integrandola in una federazione balcanica, ruppe con Stalin. Ebbe allora inizio uno scontro senza quartiere, nel corso del quale i sovietici denunciarono l’eresia “titoista” e Tito come agente dell’imperialismo e traditore della causa comunista. Tito reagì con una vasta epurazione e una dura repressione nei confronti degli oppositori supposti o reali filostaliniani. Cercando con successo di rafforzare la posizione internazionale del suo paese, stabilì rapporti sia con il mondo occidentale, da cui ricevette aiuti militari ed economici, sia con i paesi “non allineati”, dei quali divenne uno dei leader di maggior rilievo. La destalinizzazione portò a una svolta nelle relazioni con l’URSS, tanto che nel 1955 Kruscëv riallacciò i rapporti statali e politici con la Iugoslavia. Il che non indusse però Tito a rinunciare alla propria autonomia. Nel 1956 l’invasione sovietica dell’Ungheria fu motivo di forte tensione e nel 1968 quella della Cecoslovacchia venne apertamente condannata dalla Iugoslavia. Nel 1971, prendendo atto delle crescenti difficoltà della Federazione, Tito promosse una profonda riforma interna, varando una presidenza collettiva di cui egli rimase il primo presidente a vita. Questa misura non valse però ad attenuare i contrasti politici ed etnici, favoriti in maniera determinante dai profondi squilibri economici tra le repubbliche della Federazione e dal rallentamento della crescita economica, che negli anni Sessanta era stata notevole. Tito affrontò le difficoltà accentuando la repressione nei confronti del dissenso intellettuale e politico, che aveva trovato in M. Gilas, già membro di primo piano della leadership comunista, un esponente di spicco. Dopo la sua morte nel 1980, la Iugoslavia cadde in una crisi sempre più profonda che al principio degli anni Novanta portò alla dissoluzione della Federazione e al crollo del regime comunista.