sumeri

Antico popolo probabilmente originario delle zone montuose iraniane stanziatosi, a partire dal 3000 a.C. circa, nella Mesopotamia meridionale. Qui per tutto il periodo che viene definito protodinastico (3000-2350 a.C. circa) i sumeri rappresentarono il principale gruppo etnico e diedero vita a un’importante e raffinata civiltà cittadina. Seguì una fase, durata un secolo e mezzo (2350-2200 a.C.), durante la quale i sumeri persero l’indipendenza e vennero ricompresi nel vasto organismo politico creato dagli accadi. Dopo il crollo dell’impero accadico, le città sumeriche divennero nuovamente indipendenti. Toccò allora ai sovrani di una di queste città, Ur, riprendere l’eredità accadica e costruire un regno sumerico – l’impero della terza dinastia di Ur – che si estese su tutta la Mesopotamia (2100-2000 a.C.): fu questa la fase della cosiddetta “rinascita sumerica”. Nel corso del II millennio a.C., dopo il crollo dell’impero di Ur, i sumeri, stretti fra popolazioni semite, persero progressivamente la loro identità fino a venire completamente riassorbiti dagli accadi.

  1. La fase protodinastica (3000-2350 a.C.)
  2. L’economia sumerica nella fase protodinastica: il sistema templare-palatino
  3. La cultura sumerica: religione, mitologia, scrittura
  4. Le città stato sumeriche nella fase proto-dinastica
  5. La rinascita sumerica e l’impero della terza dinastia di Ur (dal 2100 al 2000 circa a.C.)
1. La fase protodinastica (3000-2350 a.C.)

In questi secoli i sumeri restarono sempre legati, sul piano politico, a una struttura particolaristica imperniata su città stato indipendenti. Le principali tra esse furono Uruk (la città più estesa e popolosa dell’intera Mesopotamia di allora, con circa 20.000 abitanti), Lagash, Eridu, Umma, Nippur, Ur, realtà locali spesso in conflitto per questioni di confine e, più tardi, per l’egemonia sulla Mesopotamia meridionale. Al loro interno il tempio e la classe sacerdotale conservavano le tradizionali funzioni religiose e anche economiche, ma la direzione politica era prerogativa del “palazzo”. A capo di ogni città sumerica vi era un sovrano, che veniva designato con titoli diversi – ensi, en, oppure lugal – a seconda che si volesse sottolineare, nei primi due casi, una certa sacralità che fu pur sempre connessa al re in quanto interlocutore della divinità, oppure la sua funzione prettamente politica. Pur non essendovi un’autorità superiore ai sovrani delle singole città, il re di Nippur godeva di particolare prestigio (in quanto Nippur era la città di Enlil, la principale divinità sumerica) e gli veniva riconosciuta una funzione mediatrice e pacificatrice nel regolare i rapporti fra le città stato. Nella concezione sumerica il sovrano si configurava come supremo amministratore della città per conto della divinità protettrice, senza alcuna pretesa di divinizzazione: suoi compiti erano promuovere lo sviluppo economico, difendere la città contro i nemici esterni, fungere da intermediario fra la città stessa e la divinità per garantire la sua protezione. Anche se col tempo i sovrani tesero a sottolineare la dignità della propria funzione e svilupparono un vero e proprio apparato celebrativo della regalità, ciò non comportò mai un processo di divinizzazione del monarca. In posizione subordinata al sovrano e al sommo sacerdote del tempio principale vi erano la classe sacerdotale e gli alti funzionari laici: questi formavano l’aristocrazia, una classe detentrice di terre ricevute in cambio dei servizi prestati, che divennero poi di fatto trasmissibili ereditariamente. La classe intermedia era costituita da artigiani e commercianti, dipendenti dal tempio o dal palazzo, e da piccoli proprietari terrieri indipendenti. La maggioranza della popolazione era formata da contadini nullatenenti, che lavoravano ed erano legati alle terre del palazzo, del tempio o dei nobili. Infine vi erano gli schiavi, prigionieri di guerra o contadini ridotti in schiavitù per debiti.

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2. L’economia sumerica nella fase protodinastica: il sistema templare-palatino

Nelle città stato sumeriche i centri organizzativi del potere politico (i templi e i palazzi) erano anche i centri propulsori dell’economia: si parla quindi di “sistema templare-palatino”. I templi e i palazzi rappresentavano i maggiori detentori della terra. Il fenomeno di concentrazione della proprietà terriera intorno ai templi e nelle mani dei sovrani e dei più alti funzionari si accentuò col tempo e con la progressiva messa a coltura delle terre lungo i canali, limitando sempre più gli spazi per i piccoli proprietari e i contadini organizzati nelle libere comunità di villaggio. Templi e palazzi disponevano inoltre di contadini in condizione servile; e anche le libere comunità di villaggio erano tenute a contribuire al funzionamento di un sistema imperniato sull’accumulazione centrale dei prodotti mediante la cessione al tempio o al palazzo di una parte dei raccolti (oltre che del bestiame) e attraverso prestazioni straordinarie di carattere agricolo o militare (corvées). Dati gli alti rendimenti dei vari prodotti (dai cereali agli ortaggi, agli alberi da frutto) circa i due terzi dei raccolti erano ammassati nei magazzini centrali e garantivano il mantenimento di una cerchia piuttosto ampia di funzionari e “specialisti” non direttamente legati all’agricoltura. Perno del sistema redistributivo, templi e palazzi erano quindi anche il punto di riferimento fondamentale per categorie quali artigiani, mercanti, scribi, amministratori, che ne dipendevano strettamente e in forma continuativa, ricevendone in cambio compensi quantificati in un primo tempo in razioni di cibo, poi direttamente in terreni con l’annessa manodopera servile. Accanto a un’agricoltura fiorente, che poteva contare su condizioni climatiche e idrologiche favorevoli, nel sistema templare-palatino si svilupparono allora un artigianato che raggiunse in vari settori (dalla lavorazione dei metalli a quella dei gioielli e dei tessuti di pregio, fino alla costruzione di strumenti musicali) una notevole specializzazione; e parallelamente si organizzò un commercio a lunga distanza volto a procurare agli artigiani specializzati i materiali loro necessari.

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3. La cultura sumerica: religione, mitologia, scrittura

La religione non fu soltanto un fattore decisivo nell’organizzazione sociale ed economica dei sumeri, ma ebbe anche una valenza politica, sebbene il sovrano non si identificasse con il sommo sacerdote: alla divinità infatti il re si richiamava costantemente per la giustificazione del proprio ruolo e del proprio operato. Legati originariamente a un pantheon di carattere naturalistico, i sumeri maturarono poi una concezione antropomorfica della divinità nella quale i vari dei erano per lo più in connessione con le singole città e con i diversi settori della vita economica e sociale. Fra essi comunque una certa priorità dovette essere universalmente riconosciuta al dio Anu, divinità celeste e organizzatore del mondo, e a Enlil, divinità delle tempeste e del destino umano, il cui culto era particolarmente importante nella città di Nippur. Grande rilievo era poi attribuito a figure semidivine e a eroi, questi ultimi spesso identificati con i primi re. Nel ricchissimo patrimonio mitologico sumerico sono affrontati temi a sfondo religioso, eroico o esistenziale di grande rilevanza: i rapporti fra la divinità e l’uomo, la creazione del mondo, le imprese di antichi sovrani, la morte e la questione dell’immortalità (significativi in proposito sono soprattutto quei poemi mitologici che hanno come protagonista la figura di Gilgamesh). Propriamente sumeriche sono poi la concezione mitico-religiosa di una divinità benevola nei confronti dell’uomo, al quale elargisce capacità intellettuali e abilità tecniche, ma anche giustiziera; l’importanza attribuita al culto dei morti; la fede nella sopravvivenza ultraterrena almeno per i membri della famiglia reale (un aspetto, questo, ben documentato dal cimitero reale di Ur). Ai sumeri si deve attribuire l’invenzione della scrittura cuneiforme, il cui utilizzo era inizialmente legato a fini pratici, propriamente contabili (quale strumento per la registrazione delle entrate e delle uscite del tempio o del palazzo) e che si diffuse poi in tutto il Medio Oriente. Fra gli alti funzionari della società sumerica vi erano non a caso gli scribi, ai quali inizialmente spettava il compito di registrare le operazioni finanziarie del tempio e che si occuparono poi sempre più dell’istruzione delle classi medio-alte. Nel loro ambiente vennero redatti, soprattutto in epoca accadica e neo-sumerica, una serie di strumenti didattici e letterari: vocabolari (particolarmente utili si rivelarono per gli studiosi moderni quelli biligui, che permisero di decifrare il sumerico a partire dall’accadico), raccolte di proverbi e di massime a sfondo morale, il calendario con le indicazioni delle operazioni da effettuare nei vari periodi dell’anno in campo agricolo.

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4. Le città stato sumeriche nella fase proto-dinastica

Da sempre in contrasto più o meno aperto le une con le altre per questioni legate al controllo di un limitato settore territoriale, dopo la metà del III millennio a.C. alcune città sumeriche maturarono l’ambizione di acquisire una posizione egemonica nell’area mesopotamica. Significativi a questo proposito sono il leggendario tentativo del re di Adab Lugalannemundu – che secondo le fonti babilonesi posteriori avrebbe addirittura esteso il suo potere dall’Iran alla Siria – e soprattutto quello di Lugalzaggesi, unico sovrano della “terza dinastia” di Uruk, che fra il 2350 e il 2300 a.C. conquistò tutta la bassa Mesopotamia (da Ur a Larsa, da Umma a Nippur e Lagash). Tuttavia, per quanto questo secondo tentativo riveli che si stava ormai profilando l’idea di un “impero universale”, la realtà ne era ancora assai lontana. Lo dimostra il fatto che lo stesso Lugalzaggesi dovette permettere al sovrano di Lagash, Urukagina, di conservare il trono (seppure in posizione di tributario). L’aspirazione universalistica di Lugalzaggesi venne poi ripresa con ben altro respiro dai sovrani della dinastia di Akkad (accadi) fra il 2350 e il 2200: non a caso il fondatore di essa, Sargon I, sconfisse proprio Lugalzaggesi e gli altri ensi delle principali città della Mesopotamia meridionale, ponendo fine al sistema delle città stato indipendenti sumeriche.

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5. La rinascita sumerica e l’impero della terza dinastia di Ur (dal 2100 al 2000 circa a.C.)

Dopo il crollo dell’impero accadico a opera dei gutei, le principali città sumeriche della Mesopotamia meridionale riguadagnarono la piena autonomia e in alcuni casi le loro dinastie si proposero come legittime eredi dell’idea universalistica dell’impero accarezzata dai sovrani di Akkad. Il primo sovrano che si sforzò di realizzare l’egemonia di una città sumerica (nel caso specifico quella di Lagash) sulla Mesopotamia fu Gudea. Utu-Khegal, sovrano della città di Uruk, riuscì a sconfiggere i gutei e a liberare le città sumeriche da ogni vincolo di dipendenza da loro. Fu anche con Ur-Nammu, ensi di Ur, e poi con i suoi successori (soprattutto Shulgi) che prese corpo l’aspirazione sumerica all’egemonia “dal mare superiore al mare inferiore” (dal Mediterraneo al Golfo Persico), da realizzarsi nel quadro di una compagine politico-amministrativa fortemente centralizzata. Sorse così l’impero della terza dinastia di Ur, che al momento della sua massima estensione comprendeva il nucleo formato dal cosiddetto “paese interno” – la zona centrale e meridionale della Mesopotamia – giungendo a controllare anche l’area mesopotamica settentrionale fino alle città di Assur e di Arbeis, quella nord-occidentale fino a Mari e quella sud-orientale fino a Susa. Sul piano politico le città della Mesopotamia persero in questa fase la loro tradizionale autonomia e vennero rette da governatori di nomina regia e da un’efficiente burocrazia. Parallelamente i sovrani di Ur ripresero dai loro predecessori accadici la tendenza alla propria divinizzazione e all’autocelebrazione (come risulta soprattutto dalle iscrizioni, dall’epopea di Gilgamesh e dai cosiddetti “inni reali”). A livello amministrativo grande fu lo sforzo per razionalizzare tutti i rapporti all’interno del regno: fu emanato il primo codice di leggi di cui si conosca l’esistenza, fu redatto un catasto delle terre, fu riorganizzato l’esercito e definito un preciso sistema di misurazione. L’economia conobbe un grande sviluppo. Entrarono anche in crisi le comunità di villaggio e i centri minori a favore della grande proprietà statale e templare, gestita secondo criteri razionali. In questo quadro fu dato nuovo impulso alla valorizzazione della zona nord-occidentale della Mesopotamia (con la costruzione di canali e opere di fortificazione) e venne calcolata e programmata nei dettagli ogni operazione relativa alla coltivazione delle terre “pubbliche”, all’allevamento, alle lavorazioni artigianali più o meno specializzate (da quella della lana a quella dei metalli) allo stesso commercio. In campo culturale si sviluppò in questo periodo una vera e propria “cultura scribale” legata alle scuole annesse ai vari templi, alle quali avevano accesso i giovani provenienti dalla classe dirigente (e destinati a entrare a farne parte). Espressioni tipiche di questa concezione furono (come già nel periodo accadico) i testi didattici, le raccolte di proverbi, le tenzoni, gli “inni reali”, la Lista reale sumerica e l’ulteriore elaborazione del patrimonio mitologico. Rimase però irrisolto il problema del rapporto con le genti confinanti, soprattutto con le popolazioni “barbariche” dei Martu e degli amorrei e con la confederazione elamica (Elam). E fu proprio un attacco elamico a provocare la caduta della capitale e il definitivo crollo dell’impero, come è documentato dalla Lamentazione sulla distruzione di Ur.

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