Sudafricana, repubblica

Stato attuale dell’Africa meridionale. Al suo interno sono situati gli stati enclave del Lesotho e dello Swaziland.

  1. Gruppi etnici e popolamento
  2. Dalla colonizzazione alla nascita dell’Unione Sudafricana
  3. Dall’Unione alla Repubblica
  4. Dall’apogeo allo smantellamento dell’apartheid
  5. L’era Mandela e la nuova democrazia
1. Gruppi etnici e popolamento

Le regioni corrispondenti all’attuale Sudafrica furono abitate in origine da popolazioni oggi quasi del tutto scomparse: i boscimani e gli ottentotti (questi ultimi furono decimati dal vaiolo nel 1713). Tra il XVI e il XVII secolo i gruppi bantu degli ambo e degli herero raggiunsero la zona del sud-ovest africano e dell’attuale Botswana. Nella seconda metà del XVII secolo i sotho si stanziarono nelle zone settentrionali dell’attuale repubblica sudafricana. A partire dal XVIII secolo gli xhosa, originari del Mozambico, e gli zulu iniziarono a darsi una propria organizzazione e a costituire un esercito. Questi ultimi assunsero il proprio nome dopo la creazione di una struttura statale a opera di Shaka, leggendario capo che guidò gli zulu fra il 1820 e il 1828. Gli swazi infine, dopo essersi stanziati nello Zululand, nella seconda metà del XVIII secolo si spostarono nella zona corrispondente all’attuale Swaziland.

Top

2. Dalla colonizzazione alla nascita dell’Unione Sudafricana

Il paese fu raggiunto da Bartolomeo Diaz nel 1488 e da Vasco de Gama dieci anni più tardi. Gli inglesi vi arrivarono oltre un secolo dopo, nel 1620. Il primo nucleo della futura colonizzazione fu tuttavia costituito dagli olandesi che, a seguito della spedizione guidata da Jan Anthonisz van Riebeeck, fondarono nel 1652 l’insediamento del Capo, scalo della Compagnia olandese delle Indie orientali. Ottentotti e boscimani non furono in grado di opporre resistenza e furono costretti ad abbandonare progressivamente parte del loro territorio sotto la spinta dei coloni “boeri” (in olandese “contadini”), che ben presto iniziarono a insediarsi al di fuori del Capo dedicandosi all’agricoltura e all’allevamento. I boeri si scontrarono poi con la stessa Compagnia delle Indie che, incaricata dell’amministrazione della zona e spinta prevalentemente da interessi commerciali, non era propensa a un accrescimento della popolazione e all’intensificarsi dell’opera di colonizzazione agricola. Alla fine del XVII secolo un folto gruppo di protestanti francesi fuggiti dalla madrepatria si aggiunse al nucleo originario dei coloni olandesi: nello stesso periodo si iniziò a ricorrere a manodopera costituita da schiavi provenienti dall’Angola, dal Mozambico e dal Madagascar. Fra il 1779 e il 1780 intorno al Great Fish River si ebbero i primi violenti scontri fra i boeri, che si erano spinti più a est, e i gruppi bantu. Il primo di una lunga serie di conflitti che oppose le due parti si concluse con un accordo di compromesso fra il governatore della Compagnia delle Indie Plettenberg (1771-85) e alcuni capi xhosa: la frontiera fu fissata sul Great Fish River, ma la soluzione scontentò la maggioranza dei boeri, sempre più in rotta con la politica della Compagnia delle Indie. Frattanto, dopo vari tentativi di penetrazione nella regione tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, nel 1814 gli inglesi riuscirono a porre definitivamente sotto la propria amministrazione la colonia del Capo. La nuova situazione comportò ben presto l’adozione da parte inglese di una serie di provvedimenti che provocarono il risentimento dei boeri: gli inglesi fissarono infatti la frontiera sul fiume Orange, modificarono il sistema di acquisizione delle terre, nel 1833 abolirono la schiavitù (privando i coloni olandesi della manodopera impiegata nei lavori agricoli). Si ebbe allora, fra il 1835 e il 1841, il Voortrekker, la grande migrazione che portò circa 6000 boeri dalla colonia del Capo verso l’Altopiano dell’Orange e il Natal. La vittoria di Blood River nel 1838 contro gli zulu consentì a un gruppo di coloni olandesi guidati da Andries Pretorius di stanziarsi nel Natal, dove sorse uno stato che ebbe tuttavia vita breve: attaccato nel 1842, già nel 1843 fu dichiarato possesso britannico e nel 1856 diventò colonia inglese. Altre due repubbliche boere vennero costituite nel Transvaal e fra il fiume Vaal e il fiume Orange: a differenza delle colonie inglesi del Capo e del Natal, che si svilupparono poi in senso liberale, esse adottarono una politica rigidamente conservatrice. La reazione inglese nei confronti delle iniziative dei coloni olandesi fu improntata a un atteggiamento realistico: nel 1852 e nel 1854, al fine di trovare alleati europei nella lotta contro le popolazioni bantu, fu riconosciuta l’indipendenza degli stati boeri del Transvaal e del cosiddetto Stato libero d’Orange. I rapporti fra inglesi e boeri rimasero comunque sempre assai tesi, e giunsero nuovamente alla rottura nel 1877 in seguito all’annessione inglese del Transvaal, ricco di giacimenti diamantiferi: i boeri, sotto la guida di Marthinus Pretorius e Paulus Kruger, nella battaglia di Majuba Hill del 1881 sconfissero gli inglesi. Nel 1884 gli inglesi riconobbero l’indipendenza della repubblica del Transvaal, ma l’annessione del Bechuanaland (Botswana) da parte degli inglesi nel 1885 e la concessione dei territori a nord del fiume Zambesi alla Compagnia britannica del Sudafrica di Cecil Rhodes posero gli stati boeri in una situazione sempre più precaria, aggravatasi dopo la scoperta di ricchissime miniere d’oro (1885) e la massiccia ondata di immigrati di origine britannica. La protezione offerta ai nuovi arrivati dalle grandi compagnie e dal governo inglese suscitò ancora una volta il risentimento dei boeri. Paulus Kruger, presidente della repubblica del Transvaal, non soltanto si oppose alle mire di Cecil Rhodes di unire lo stato boero alla colonia inglese del Capo, ma adottò nei confronti degli “stranieri” una linea intransigente, culminata nella loro esclusione dal voto, che finì peraltro col rivelarsi fallimentare. Rhodes, dal 1890 primo ministro della colonia del Capo, fomentò infatti a Johannesburg un movimento volto a rovesciare Kruger che avrebbe dovuto essere poi appoggiato dalle truppe della stessa Compagnia britannica del Sudafrica nel Transvaal. Il piano, messo in atto fra il dicembre 1895 e il gennaio 1896, fallì, ma lo stesso governo inglese si orientò sempre di più verso una soluzione militare che potesse stabilire definitivamente il dominio britannico sull’Africa australe. Nell’ottobre 1899 ebbe quindi inizio la guerra del Transvaal – la guerra anglo-boera – conclusasi nel maggio 1902 con il trattato di Vereenijing che soppresse gli stati boeri. Dopo la guerra e le sue profonde devastazioni, i boeri adottarono la strategia della resistenza passiva. Nel volgere di pochi anni, tuttavia, di fronte alla sempre più concreta minaccia di rivolta della maggioranza di colore, essi si integrarono pienamente nella vita politica e culturale del paese, che si stava orientando in senso federativo. Nel 1906 alle elezioni nel Transvaal e in Orange i partiti boeri, l’Hetvolk e Oranje Unie, ottennero importanti successi. Fra l’ottobre 1908 e il febbraio 1909 la Convenzione pose le basi per la creazione dell’Unione Sudafricana (alla quale aderirono, divenendone province, le colonie inglesi del Capo e del Natal e le ex repubbliche boere del Transvaal e d’Orange), che nacque poi il 31 maggio 1910 con l’entrata in vigore del South African Act. Da questa data l’Unione divenne un dominion della corona britannica. Sempre nel 1910 all’amministrazione del governatore generale dell’Unione vennero affidati i Territori dell’Alta Commissione: il Bechuanaland (l’attuale Botswana), il Basutoland (l’attuale Lesotho) e lo Swaziland.

Top

3. Dall’Unione alla Repubblica

Nel nuovo assetto federativo le province, amministrate da un governatore e rappresentate da un’assemblea locale, ebbero una limitata autonomia, relativa all’istruzione e ai problemi sociali, mentre le grandi questioni di politica interna e le scelte in campo internazionale rimasero di competenza del potere centrale. Il potere legislativo fu attribuito a un parlamento bicamerale, costituito dall’Assemblea eletta dalla minoranza bianca e da un Senato di nomina regia; il potere esecutivo spettava invece al governatore generale scelto da Londra e al governo con sede a Pretoria. Subito dopo l’entrata in vigore della costituzione, a testimonianza del nuovo spirito di collaborazione fra boeri e inglesi, la guida del paese fu assunta da due afrikaner (termine invalso per indicare i bianchi sudafricani di origine olandese), Louis Botha, primo ministro dal 1910 sino al 1919, e Jan Christian Smuts, in carica dal 1920 al 1924. In questa fase si costituì, per iniziativa dello stesso Botha e di Smuts, il Partito sudafricano, una forza che si proponeva di dare espressione alle diverse componenti della minoranza bianca. Di fronte a questo programma alcuni afrikaner più conservatori, sotto la leadership di James Barry Munnick Hertzog, fondarono nel 1913 il Partito nazionale (NP), su posizioni antibritanniche. Minoritaria per un decennio, a partire dal 1924 fu proprio questa forza a guidare il paese, indirizzandolo verso una radicalizzazione della politica segregazionista. Fin dalla sua nascita, peraltro, l’Unione Sudafricana fu segnata da gravissime tensioni razziali determinate dalla presenza di una minoranza bianca (21% della popolazione) che monopolizzava il potere politico ed economico e una maggioranza nera (che superava il 60%) pressoché priva di diritti, a cui si aggiungeva un consistente numero di meticci e di asiatici fortemente discriminati. La popolazione non bianca fu oggetto di provvedimenti legislativi quali il Native Labour Act del 1911 (ulteriormente inasprito dal Colour Bar Act del 1926) che impediva l’accesso a impieghi qualificati, e il Native Urban Areas Act del 1923, che ne limitava la presenza nelle aree urbane e la sottoponeva a stretto controllo. Per i neri si aggiungevano poi leggi volte a privarli del diritto di voto (legge del 1910, estesa anche ai residenti del Capo nel 1936), a confinarli dentro “riserve” e a impedirne la libertà di movimento: il Native Land Act del 1913 proibì loro l’acquisto di terreni al di fuori delle riserve cui erano stati assegnati. Contro le discriminazioni nei confronti degli indiani (forti soprattutto in materia fiscale), sin dal 1894 Gandhi diede inizio alla lotta condotta con la protesta non violenta e la resistenza passiva. Nell’agosto del 1914 l’Unione dichiarò guerra alla Germania, occupando nel 1915 l’Africa del Sud-Ovest (l’attuale Namibia) e nel 1916 l’Africa orientale tedesca (l’attuale Tanzania). Nel dopoguerra il nazionalismo afrikaner estremista conobbe un notevole sviluppo che, nel 1924, fu alla base della vittoria del Partito nazionale di Hertzog, rimasto in carica come primo ministro fino al 1939. Durante il suo governo, nel 1931, venne promulgato a Londra lo Statuto di Westminster, con cui la Gran Bretagna riconosceva l’indipendenza e l’autonomia legislativa del Sudafrica nell’ambito del Commonwealth. Il Partito nazionale divenne allora assertore della cosiddetta Eerbaare apartheid (dignitosa segregazione), teorizzando la separazione fra le diverse razze (apartheid). La coalizione di governo stabilita nel 1933 fra il Partito nazionale di Hertzog e il Partito sudafricano di Smuts favorì la fusione delle due organizzazioni nel Partito unito, ma provocò la temporanea scissione degli estremisti afrikaner, che nel 1933 si organizzarono sotto la guida di Daniel François Malan nel Partito nazionale “purificato” (ricongiuntosi al Partito nazionale nel 1940). Durante la seconda guerra mondiale, nonostante la presenza al suo interno di una forte componente filotedesca, l’Unione sudafricana si schierò a fianco della Gran Bretagna e partecipò alle operazioni militari in Etiopia, Africa settentrionale e Italia contro le potenze dell’Asse. Nel frattempo, al suo interno si accentuò il ruolo del Partito nazionale, che nel 1948 ottenne un’importante vittoria elettorale. In ambito internazionale l’annessione della Namibia nel 1949 (l’ex colonia tedesca era stata posta sotto il mandato sudafricano nel 1920) rese palesi le mire egemoniche dell’Unione Sudafricana nell’Africa australe. Malan divenne quindi primo ministro, rimanendo in carica sino al 1954. La politica dell’apartheid fu estesa alla minoranza indiana del Natal, privata nel 1948 del diritto di voto; furono vietati i matrimoni misti e con il Group Areas Act del 1951 fu decretata la segregazione dei neri in tutte le aree urbane; fu inoltre impedita la formazione di un partito comunista, inasprita la normativa per la salvaguardia dell’ordine pubblico e scoraggiato l’insediamento di coloni britannici nel paese. Anche Johannes G. Strijdom (primo ministro dal 1954 al 1958) proseguì nella politica dell’apartheid. Durante il governo del primo ministro Hendrik F. Verwoerd (dal 1958 al 1966) le strutture universitarie furono divise su base razziale e con la legge per l’“autonomia bantu” del 1959 si stabilì la costituzione di otto regioni africane separate, i cosiddetti bantustans o homelands, territori popolati unicamente da africani e formalmente dotati di autogoverno. Frattanto l’opposizione nera, riunita intorno al Congresso nazionale africano (ANC) di Albert John Luthuli (fondato già nel 1912, ma divenuto una grande forza politica soltanto nel secondo dopoguerra), improntò la sua azione alla disubbidienza civile e alla resistenza passiva secondo l’esempio di Gandhi. Nel 1959 si ebbero manifestazioni contro la limitazione della libertà di movimento della popolazione nera. I moti di Sharpeville nel 1960 e di Transkei nel 1963 si conclusero con il pesante intervento delle forze armate e con un tragico bilancio in vite umane. Pressato dalla condanna dell’opinione pubblica internazionale, dell’ONU e del Commonwealth per la sua politica segregazionista, il Partito nazionale di Verwoerd reagì organizzando un referendum istituzionale che si pronunciò a favore della trasformazione dell’Unione in repubblica e della sua uscita dal Commonwealth britannico: il 31 maggio 1961 venne così proclamata la Repubblica Sudafricana della quale divenne presidente Charles Swart.

Top

4. Dall’apogeo allo smantellamento dell’apartheid

Sostanzialmente inefficaci, anche perché scarsamente rispettate, furono le sanzioni economiche decise dall’ONU nel 1962 contro il paese. Né ebbe conseguenze più rilevanti la condanna da parte dell’OUA (Organizzazione dell’unità africana) due anni dopo. Il consolidarsi della posizione del Partito nazionale alle elezioni del 1966 (126 seggi su 166) permise anzi a Balthazar J. Vorster (primo ministro dal 1966 al 1978) di radicalizzare la politica dell’apartheid. Nello stesso anno si manifestarono però nell’ambito della stessa comunità bianca i primi sintomi di dissenso verso la politica segregazionista del governo, come dimostrarono le manifestazioni studentesche svoltesi nelle principali città (Città del Capo, Johannesburg, Durban), appoggiate anche dalle autorità ecclesiastiche. La risposta ufficiale a queste prime richieste di democratizzazione fu tuttavia di netta chiusura: nel nord del paese furono condotte dure azioni repressive e venne rafforzato il potere della polizia e dei servizi segreti. Nel 1969 la Repubblica Sudafricana rifiutò di attenersi alla risoluzione dell’ONU che ne ordinava il ritiro dall’Africa del Sud-Ovest (l’attuale Namibia), che venne anzi trasformata in quinta provincia e alla quale fu estesa la legislazione dell’apartheid. Dal 1970 la guerriglia lungo le frontiere con il Mozambico si intensificò e si acuì la conflittualità fra la minoranza bianca e le diverse etnie presenti nel paese. Dal 1973, iniziarono a manifestarsi le ripercussioni della recessione economica mondiale dovuta alla crisi petrolifera. Nell’aprile del 1974 furono organizzate elezioni anticipate, che rafforzarono la maggioranza governativa permettendole così di proseguire nella politica di attuazione dei bantustans. Ragioni economiche e di precari equilibri internazionali impedirono nel 1974 che il Sudafrica venisse espulso dall’ONU, per il veto posto da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Il raggiungimento dell’indipendenza dell’Angola e del Mozambico nel 1975 comportò però una radicale modifica delle condizioni politiche di tutta l’Africa australe. Il governo sudafricano venne a trovarsi sempre più isolato nella regione, soprattutto in seguito al suo intervento nella guerra civile in Angola. Nel 1975 lo stesso governo laburista inglese denunciò l’accordo militare che prevedeva l’utilizzazione britannica della base navale di Simonstown. All’interno la situazione precipitò: nel giugno del 1976 scoppiò una violenta rivolta nel ghetto di Soweto presso Johannesburg, rapidamente estesasi alla provincia del Capo, che scatenò una dura repressione da parte delle truppe governative. Nel novembre 1977 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU impose l’embargo sulla vendita di armi al Sudafrica, ma contemporaneamente il Partito nazionale di Vorster riportò ancora una volta una schiacciante vittoria. Nel 1978 Pieter Willem Botha divenne primo ministro (rimase in carica sino al 1984), mentre Vorster succedette a Diederichs nella carica di presidente (che dovette però abbandonare nel giugno dell’anno successivo a seguito di uno scandalo legato alla manipolazione dell’informazione). Le elezioni dell’aprile 1981 segnarono una leggera flessione del Partito nazionale, che conservò comunque la maggioranza, nel quadro di scontri razziali sempre più violenti: il momento più drammatico fu toccato nel 1984 quando scoppiarono disordini nei ghetti neri intorno a Johannesburg. Né valse a diminuire la tensione l’entrata nel governo, nello stesso anno, di un meticcio e di un asiatico, palliativo che al contrario esasperò ulteriormente la rabbia della maggioranza nera. Portavoce delle rivendicazioni di questa furono l’ANC il cui leader, Nelson Mandela (dal 1962 condannato all’ergastolo), divenne il simbolo della lotta di liberazione dei neri, e personalità religiose di grande carisma, fra cui il vescovo anglicano Desmond Tutu. La repressione seguita a nuovi disordini nei sobborghi neri, il rifiuto di Botha di dialogare con l’ANC e con Mandela, la proclamazione, il 25 luglio 1985, dello stato di emergenza non lasciarono dubbi sulle reali intenzioni del governo. Fra gli episodi più sanguinosi della violenza razziale, una nuova rivolta di Soweto nell’agosto 1986 fece registrare il bilancio più pesante. Nel maggio 1987 le elezioni per la Camera dei rappresentanti dei bianchi, svoltesi in un clima di dura contestazione, registrarono una sostanziale tenuta del Partito nazionale. In politica estera il biennio 1986-88 fu caratterizzato da un inasprimento dei rapporti con gli stati confinanti che davano asilo politico agli oppositori del regime: raid militari furono effettuati contro il Botswana, lo Zambia e l’Angola. La morte del presidente del Mozambico Samora Michel segnò il momento di tensione più drammatico, anche se il Sudafrica negò di essere direttamente implicato nell’incidente. L’unanime condanna internazionale (nel 1986 anche gli Usa aderirono all’embargo commerciale contro il loro tradizionale alleato) e i costi sempre più alti di una politica di pura repressione imposero però una radicale revisione delle linee precedentemente seguite. La storica inversione di tendenza della politica sudafricana fu rappresentata dall’accordo del 22 dicembre 1988 per la normalizzazione della situazione nell’Africa australe, che prevedeva l’indipendenza della Namibia e il contemporaneo ritiro delle truppe cubane e sudafricane dall’Angola. Il passaggio delle consegne da Botha a Frederik de Klerk (prima alla guida del partito poi anche alla presidenza della repubblica), nel 1989 consentì di aprire una nuova fase anche nella politica interna sudafricana. Con l’apertura di negoziati ufficiali con l’ANC, la legalizzazione delle opposizioni e la liberazione di Mandela l’11 febbraio 1990 furono poste le premesse per lo smantellamento del regime di apartheid, che prese corpo dopo un accordo firmato da de Klerk, Mandela e il leader zulu Buthelezi nel settembre 1991 e sanzionato a grande maggioranza da un referendum nel 1992.

Top

5. L’era Mandela e la nuova democrazia

Entro il 1993 furono quindi abolite le principali leggi segregazioniste (il Land Act, il Group Areas Act e il Population Registration Act) e furono poste le basi di una convivenza democratica nonostante il processo di democratizzazione interna fosse ostacolato dall’acutizzarsi e dall’esplodere delle rivalità etniche nell’ambito della stessa maggioranza nera, in particolare fra xhosa e zulu e dall’opposizione dei bianchi razzisti. Nel novembre 1993 fu approvata una costituzione transitoria che introduceva il suffragio universale e un parlamento multirazziale con due camere. Le elezioni del 1994 costituirono un trionfo per Mandela, che divenne presidente e capo di un governo di coalizione formato dall’ANC, dal Partito nazionale di de Klerk e dal Partito della libertà Inkatha di Buthelezi. Nel 1996 entrò in vigore la costituzione definitiva dello stato, di carattere pienamente liberale. Dopo l’entrata in vigore di tale costituzione, il Partito nazionale si ritirò dal governo, per assumere il suo ruolo democratico di partito di opposizione. Ma la situazione interna era lungi dall’essere normalizzata. Nel 1997 scoppiarono disordini suscitati dai meticci che denunciarono discriminazioni a favore dei neri e dagli zulu insoddisfatti della loro condizione. Una Commissione per la verità e la riconciliazione, formata per indagare sugli atti di violenza e di illegalità commessi durante il regime dell’aparthaid prese a indagare con spirito di moderazione, chiudendo i suoi lavori nel 1998. Le elezioni del 1999 segnarono una nuova forte vittoria per l’ANC. Mandela si ritirò dalla vita politica e fu eletto presidente Thabo Mbeki, che si impegnò a fondo per migliorare le condizioni sociali del paese, il quale dovette affrontare gravissimi problemi interni (delinquenza diffusa, epidemia di AIDS), mentre, sul piano internazionale, assunse un ruolo sempre più rilevante di potenza regionale nella soluzione delle crisi in vari paesi africani. Nel 2004 l’ANC raccolse una nuova schiacciante vittoria elettorale e Mbeki fu riconfermato alla presidenza. L’anno successivo si aprì una forte crisi interna al partito, legata soprattutto alle accuse di corruzione rivolte a Jacob Zuma e allo scontro politico e giudiziario tra questi e Mbeki. Nel 2007 Zuma divenne il nuovo presidente dell’ANC. Accusato di aver ordito un complotto giudiziario contro Zuma, Mbeki fu costretto a dimettersi dalla presidenza della repubblica nel 2007. Fu sostituito ad interim da Kgalema Motlanthe fino alle elezioni del 2009, le quali, vinte ancora una volta dall’ANC, portarono alla presidenza Jacob Zuma.

Top