Statuto albertino

Costituzione liberale concessa da Carlo Alberto il 4 marzo 1848 allo stato sabaudo, nel contesto dei processi rivoluzionari europei iniziati in Francia. Lo Statuto dopo il 1861 divenne anche la carta costituzionale del regno d’Italia e, pur sottoposto a ripetute modifiche, rimase in vigore fino al 1° gennaio 1948, quando a esso subentrò la costituzione repubblicana. Esso, composto di 81 articoli, aveva una carattere “flessibile”, per cui poteva essere modificato dalle leggi ordinarie. Secondo lo statuto al re apparteneva il potere esecutivo e spettava il compito di organizzare l’amministrazione della giustizia. Il parlamento era formato da una Camera dei deputati elettiva e da un Senato di nomina regia. A quest’ultimo spettava un ruolo di eventuale moderazione nei confronti della prima. Il governo era responsabile unicamente di fronte al re e dipendeva dalla sua fiducia. La religione cattolica era considerata la sola religione dello stato. In conseguenza delle forti limitazioni poste ai poteri del parlamento, lo Statuto fondava un sistema non già parlamentare ma “costituzionale puro”. Se non che l’interpretazione che la monarchia sabauda diede del proprio ruolo fu di tipo inglese, e cioè di limitazione dei propri poteri a favore di quelli del parlamento e di rispetto della maggioranza parlamentare, inaugurandosi così un regime di fatto parlamentare e liberale, il quale si rafforzò e allargò nel periodo successivo all’unificazione italiana, sino al fascismo. Quest’ultimo modificò lo Statuto, snaturandone la natura liberale e adattandolo alle esigenze della dittatura. Crollato il fascismo, lo Statuto venne ulteriormente modificato in base al decreto del 16 marzo 1946, al fine di adattarlo alla nuova realtà politica del paese.