Stalin

Pseudonimo di Josif Vissarionovic Dzugasvili, che significa “uomo di acciaio”. (Gori, Georgia, 1879, † Mosca 1953). Leader rivoluzionario bolscevico e statista sovietico. Di povera famiglia, entrò in seminario a Tiflis, dove diventò marxista. Nel 1898 aderì al Partito operaio socialdemocratico russo. Diventato un attivo agitatore col nome di Koba, fu arrestato nel 1903 e quindi confinato in Siberia, da dove fuggì l’anno seguente. Quando nel 1903 il partito si divise tra bolscevichi e menscevichi, si schierò con i primi. Emerse come leader bolscevico nel 1912, quando entrò per volontà di Lenin nel Comitato centrale del partito, assunse la direzione dell’organo bolscevico “La Pravda” e pubblicò l’opuscolo Il marxismo e la questione nazionale (1913). Nuovamente arrestato e confinato in Siberia nel 1913, liberato nel 1917 dopo il crollo dello zarismo, prima del ritorno in Russia di Lenin in aprile assunse posizioni relativamente moderate nei confronti della politica del governo provvisorio, che prontamente corresse. Nell’ottobre del 1917 giocò un ruolo secondario rispetto a Lenin e Trockij. Dopo la presa del potere divenne commissario alle nazionalità (1917-23). Durante la guerra civile svolse una parte di primo piano, entrando sovente in contrasto con Trockij ma rivelando grandi capacità organizzative che furono apprezzate da Lenin. Ciò favorì la sua nomina nell’aprile del 1922 a segretario generale del Comitato centrale. Stalin seppe trasformare questa carica in una base di potere personale, entrando in urto con Lenin, ormai gravemente ammalato, che lo accusò di usare metodi personalistici e di sciovinismo “grande russo” sino a raccomandarne l’allontanamento dal potere nel suo Testamento. Salvato politicamente dalla morte di Lenin, Stalin intraprese energicamente e con pieno successo tra il 1923 e il 1927 la lotta per il potere prima alleandosi con Bucharin, Kamenev e Zinov’ev e poi con Bucharin contro gli altri. Nel 1928-29 batté anche quest’ultimo. Stalin si presentò come il più fedele seguace di Lenin e in campagne successive denigrò i suoi oppositori come falsi leninisti, cominciando da Trockij, che fu presentato come un vecchio antibolscevico salito sul carro dei vincitori. Formulò le basi della sua ideologia nei Principi del leninismo (1924) e nelle Questioni del leninismo (1928). La vittoria di Stalin sui suoi oppositori fu dovuta essenzialmente al controllo dell’apparato di partito, alla comprensione che la rivoluzione internazionale teorizzata da Trockij non era più attuale e all’efficace mobilitazione degli apparati e dei militanti intorno alla parola d’ordine della possibilità di costruire il socialismo anche nella sola URSS (teoria del “socialismo in un paese solo”). In politica economica, in un primo tempo sostenne con Bucharin la Nuova Politica Economica (NEP), che Lenin aveva fatto varare nel 1921 per risollevare il paese dalla crisi catastrofica acutizzata dalla guerra civile, basata su larghe concessioni alla libera iniziativa e ai contadini medi e relativamente agiati (kulaki). Nel 1928-29, deciso a dotare l’URSS di un forte apparato industriale anzitutto per esigenze militari, attuò una drastica svolta, che lo oppose a Bucharin. Liquidata la NEP e divenuto di fatto un dittatore, Stalin si diede a costruire un’economia pianificata, rivolta all’industrializzazione accelerata e alla collettivizzazione forzata delle terre, da lui ritenuta necessaria per acquisire il controllo delle risorse alimentari e di beni esportabili in cambio dell’acquisto di macchinari moderni. La collettivizzazione delle terre, cui i contadini si opposero macellando in massa il bestiame e diminuendo in maniera drammatica la produzione, si trasformò in un tragedia in quanto Stalin ordinò una spietata repressione diretta specialmente contro i kulaki. Una spaventosa carestia nel 1932-33 e la repressione provocarono milioni di morti. Negli anni Trenta l’URSS, divenuta lo specchio dello “stalinismo”, assunse in maniera compiuta il carattere di uno stato totalitario interamente dominato dal partito e dal dittatore divenuto oggetto di un culto sfrenato (totalitarismo). Stalin esaltò la funzione dominante dello stato in chiave nazionalistica. Ogni opposizione reale o supposta venne travolta. Nel 1936-38 le “grandi purghe”, dopo processi farsa, portarono all’uccisione di Zinov’ev, Kamenev, Bucharin, dei capi dell’esercito accusati di tradimento e di numerosissimi altri esponenti della vecchia guardia bolscevica. Trockij, espulso dall’URSS nel 1929, venne fatto assassinare in Messico nel 1940. Il terrore di stato trovò il suo coronamento nell’immensa rete dei campi di concentramento (il gulag), dove milioni di persone furono condannate al lavoro forzato e in parte all’eliminazione fisica. Intanto le masse vennero mobilitate dal partito e dai sindacati al servizio della politica staliniana. Una costituzione varata nel 1937 proclamò il successo della costruzione socialista e il raggiungimento pieno della democrazia sovietica. In politica estera, Stalin, intimorito dalla Germania nazista, a partire dal 1934 cercò l’accordo con la Francia e la Gran Bretagna, ma, di fronte agli scarsi risultati raggiunti, convintosi dell’inevitabilità della guerra strinse nell’agosto del 1939 un patto con la Germania basato sulla spartizione di sfere di influenza nell’Europa orientale. Egli ritenne erroneamente di aver diretto l’aggressività tedesca contro il solo Occidente, contando su una lunga guerra tra i paesi capitalistici. Fu quindi completamente sorpreso dall’attacco nazista contro l’URSS nel giugno del 1941, che conseguì nella prima fase uno strepitoso successo. Sotto la direzione di Stalin, che aveva assunto anche i poteri militari, l’esercito sovietico resistette nonostante le gravissime sconfitte iniziali e quindi, dopo la grande vittoria di Stalingrado agli inizi del 1943, cominciò l’avanzata che doveva portarlo fino a Berlino nel 1945. Durante la prima fase della guerra Stalin alimentò il tradizionale patriottismo russo, nella seconda soprattutto quello sovietico. Nel maggio 1943 egli, per fare cosa grata agli alleati, decise lo scioglimento della Terza Internazionale. La vittoria creò le condizioni per la completa sovietizzazione dell’Europa orientale, abilmente preparata dal Stalin nelle conferenze interalleate di Teheran (1943), Jalta (1945) e Potsdam (1945) e realizzata tra il 1945 e il 1948. Ciò portò alla rottura con gli ex alleati occidentali e allo scoppio della guerra fredda. La dominazione staliniana sull’Europa dell’Est divenne completa, con l’eccezione però della Iugoslavia di Tito, che, non disposta a farsi satellizzare, ruppe con i sovietici nel 1948. L’URSS staliniana era anche diventata insieme agli Stati Uniti una delle due superpotenze mondiali. Un simile successo costituì il coronamento della politica di Stalin, il cui culto nel mondo comunista raggiunse il parossismo. L’URSS era stata però devastata dalla guerra e la ricostruzione ebbe costi umani ed economici immensi. Negli ultimi anni della sua vita Stalin si sforzò di consolidare l’impero sovietico. Nello stesso tempo, pur in un quadro segnato nel 1948 dal blocco di Berlino e nel 1950 dallo scoppio della guerra di Corea, cercò di evitare la prospettiva di una terza guerra mondiale. Morì il 5 marzo 1953, salutato anche da grandi avversari come Churchill quale un gigante della storia mondiale. Tre anni dopo, nel febbraio del 1956, Kruscëv ne demolì il mito dando inizio al processo di “destalinizzazione”. [Massimo L. Salvadori]