società postindustriale

È un tipo di società il cui funzionamento e dinamismo dipendono in primo luogo dalla preminenza del settore terziario, dal ruolo esercitato dalla produzione e dal controllo della conoscenza e dai conflitti, tipici di essa, imperniati sulla produzione culturale e la definizione e manipolazione dei bisogni. L’indeterminatezza del qualificativo “postindustriale” getta luce su due circostanze: a) sull’apparizione di fenomeni sociali nuovi, che non è possibile ricondurre ai caratteri propri della società industriale e b) la difficoltà di coglierne teoricamente le fonti strutturali e i processi costitutivi. Le varie concezioni della società postindustriale si enucleano a partire dalla fine degli anni Sessanta di questo secolo. Esse condividono l’idea che 1) nelle società economicamente più avanzate si sta uscendo (o si è usciti) dalla società industriale e che 2) ciò avviene nonostante il persistere, in consistenza e in rilevanza, della produzione industriale e di suoi tratti tipici di cultura, dal momento che analiticamente quel che conta è la centralità assunta da nuove forme di produzione economica e sociale. Sotto questo profilo, la società postindustriale è una società nella quale la quota maggioritaria dell’occupazione e del reddito nazionale prodotto non è assicurata più dal settore industriale (o secondario), ma dal settore dei servizi (o terziario). L’espansione e la creazione di nuovi servizi è connessa con due serie di cambiamenti: tecnologico-organizzativi gli uni, socioculturali gli altri. Le due principali concezioni della società postindustriale, le cui formulazioni originali del 1969 sono rispettivamente di Daniel Bell e di Alain Touraine, si differenziano in primo luogo riguardo al tipo di cambiamenti che ciascuna privilegia. Alla luce della prima concezione la società postindustriale si presenta come una società terziarizzata e dell’informazione, dove la fortissima espansione dei servizi – dai trasporti alla comunicazione, dalla sanità alla formazione – è favorita dall’enorme sviluppo delle applicazioni della scienza alle tecnologie produttive e sociali, che moltiplicano produttività, flessibilità funzionale e fruibilità d’uso. Alle figure professionali tradizionali dell’imprenditore e dell’operaio si sostituiscono quelle dello scienziato, del tecnico e del dirigente. Date queste trasformazioni, la società postindustriale si configura, in realtà, nei suoi principi di innovazione e di razionalizzazione, come una società iper-industriale. Nella seconda concezione la rottura con la società industriale è più netta: tutte le trasformazioni ora indicate sussistono, ma la differenza sostanziale attiene alla natura della produzione e al tipo di conflitti strutturali. Specifica della società postindustriale non è più la produzione di beni materiali, bensì la produzione di beni culturali, cioè di conoscenza, simboli, valori, bisogni, opinioni. A essa si accompagnano anche vistosi fenomeni di deindustrializzazione e di precarizzazione del lavoro. I conflitti caratteristici non riguardano più la distribuzione della ricchezza, ma la destinazione di questa e quindi le finalità della produzione. Più che la fabbrica, i luoghi di produzione nevralgici sono l’ospedale tecnologicamente avanzato, il laboratorio di ricerca, le reti televisive, i centri di telecomunicazione e d’istruzione superiore, ecc. Movimenti come quello ecologista e quello di difesa della privacy sono espressione dei nuovi conflitti, che sorgono come contestazione delle élites tecnocratiche sul piano della destinazione delle risorse e della difesa dei diritti della persona da forme autoritarie di razionalizzazione e manipolazione culturale.