scuola

Insieme delle istituzioni, pubbliche e private, preposte alla trasmissione alle giovani generazioni del patrimonio culturale di una data società, alla formazione della personalità e, nel mondo contemporaneo, all’istruzione professionale. Ogni sistema scolastico è espressione di un particolare contesto sociale, di cui riflette valori e modelli, tendendo spesso a riprodurne anche la stratificazione sociale. Di qui la diversa accentuazione, a seconda delle società o dell’appartenenza sociale dei destinatari, delle conoscenze o delle abilità professionali, della formazione generale o dell’istruzione settoriale. Prima della rivoluzione industriale solo una ristretta élite accedeva all’istruzione scolastica, mentre le masse erano pressoché totalmente analfabete. Con l’industrializzazione, nei paesi più avanzati si è assistito alla progressiva scolarizzazione di massa, dapprima a livello primario (XIX secolo), poi anche secondario e, in parte, negli studi superiori (XX secolo).

  1. La scuola nella storia
  2. La scuola in Italia
1. La scuola nella storia

Nelle società primitive il processo di acculturazione si svolgeva all’interno della famiglia, attraverso l’imitazione e la partecipazione dei figli alla vita e all’attività del gruppo sociale. L’unica forma di istruzione extrafamiliare era la preparazione alla cerimonia dell’iniziazione, affidata ai sacerdoti. In seguito, soprattutto dopo l’invenzione della scrittura, il sapere da tramandare superò le possibilità educative del gruppo familiare, imponendo il ricorso alla figura professionale dell’insegnante e all’istituzione scolastica. In molte civiltà (negli antichi imperi orientali, in Grecia, a Roma, nel medioevo europeo) tra l’educazione familiare e la scuola ci fu la fase intermedia dell’affidamento dei figli al precettore privato. Le prime funzioni della scuola furono l’educazione religiosa e, presso popoli dinamici come i fenici, l’avviamento alla vita pratica. Gli ebrei sentirono a tal punto l’importanza dell’istruzione, da rendere obbligatoria la scuola primaria (offerta dalle sinagoghe) intorno al I secolo a.C. Con i greci si affermò il valore del sapere fine a se stesso e la scuola, incaricata della sua trasmissione, fu articolata in segmenti, caratterizzati da numerose figure di insegnanti: il grammatista (maestro del leggere, scrivere e far di conto), il citarista (canto e poesia lirica), il pedotriba (ginnastica), il critico (studio dei classici) e altri. Nel V secolo a.C., con l’affermazione della democrazia, assunsero particolare importanza i sofisti, insegnanti itineranti di retorica, filosofia e cultura generale. Le scuole greche erano private, ma a volte sovvenzionate dallo stato. A Roma, parallelamente alla diffusione della cultura greca, si affermò un modello scolastico simile a quello greco nell’articolazione e nei contenuti, ma con un più diretto intervento dello stato, soprattutto a partire dell’imperatore Vespasiano (I secolo d.C.). Il cristianesimo riportò la finalità religiosa al centro dell’educazione. Con la crisi e la caduta dell’impero romano d’Occidente e la conseguente chiusura delle scuole pubbliche romane, la Chiesa detenne per secoli il monopolio dell’istruzione e della cultura in Europa. Le diocesi e i principali monasteri si attrezzarono, nel medioevo, per fornire un’istruzione al clero, ma anche ai laici. In un periodo di analfabetismo di massa, Carlo Magno affidò alle istituzioni ecclesiastiche il difficile compito di dare ampia diffusione all’istruzione. Riformò inoltre, con l’aiuto di Alcuino, il sistema scolastico, articolandolo nel ciclo elementare, nello studio delle arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia), e negli studi superiori di teologia. Le scuole ecclesiastiche cominciarono a essere affiancate da nuove istituzioni educative solo quando rifiorì la civiltà cittadina (XI secolo), con la nascita delle università, a opera delle corporazioni degli insegnanti o degli studenti, delle scuole delle botteghe artigianali (XII secolo) e delle scuole comunali (XIV secolo). La civiltà comunale provocò anche un allargamento della fascia sociale che trovò accesso all’istruzione: la scuola comunale fiorentina era frequentata, nel XIV secolo, da circa 10.000 studenti. Progressivamente mutò e si laicizzò la finalità centrale dell’educazione, che con l’Umanesimo (XV secolo) divenne la formazione armoniosa e integrale della personalità, mediante il recupero, tra l’altro, della funzione educativa del gioco e delle attività espressive. Fu importante, in tale contesto, la “Casa giocosa” di Vittorino da Feltre, modello per le numerose scuole-convitto del periodo. Con la Riforma protestante (XVI secolo) si affacciò l’ideale dell’istruzione di base per tutti, condizione necessaria per l’esercizio del “libero esame” delle scritture predicato da Lutero. Si trattò di un principio che richiese alcuni secoli e profondi mutamenti economico-sociali per venir realizzato, ma che garantì ai paesi riformati un indubbio primato nella diffusione dell’istruzione. Ciò non significa che la chiesa cattolica non abbia cercato, nel periodo della Controriforma (XVI secolo), di rafforzare la propria presenza in campo educativo. Nacquero anzi numerose iniziative, promosse in genere dai nuovi ordini religiosi cinquecenteschi, sia nel settore dell’istruzione primaria (barnabiti, somaschi, orsoline, oratoriani, scuole pie di S. Giuseppe Calasanzio), sia in quello secondario (collegi gesuitici). I gesuiti, in particolare, elaborarono una “ratio studiorum” (1586) e articolarono un sistema scolastico secondario (3 anni di grammatica, 1 di umanità, 1 di retorica, 3 di filosofia), che dominarono per secoli l’insegnamento umanistico. Idee ed esperimenti educativi innovativi si ebbero nel XVII secolo, soprattutto con gli oratoriani e con Comenio: si cercò di favorire la diffusione dell’istruzione, ricorrendo anche all’insegnamento nelle varie lingue nazionali anziché in latino, e si valorizzarono le discipline scientifiche e l’osservazione naturalistica. Comenio, in particolare, teorizzò l’autosufficienza di ogni ciclo scolastico, per fornire un’informazione completa, anche se di livello inferiore, anche a chi si fosse limitato agli studi elementari. Rilevanti contributi al rinnovamento della pedagogia e delle istituzioni scolastiche vennero dai principali teorici dell’Illuminismo (XVIII secolo), assertori convinti dell’importanza strategica dell’educazione. Essi si occuparono sia dei metodi d’insegnamento, sia dei contenuti, sia di politica scolastica. Si ebbero così la scoperta della psicologia dell’età evolutiva come fondamento dei metodi educativi (Rousseau), la collocazione della scienza e delle tecniche al centro del sistema scolastico, l’affermazione del principio dell’obbligo scolastico che qualche sovrano illuminato (Federico II di Prussia, Maria Teresa d’Austria) introdusse nel proprio ordinamento giuridico, l’impegno degli stati nel settore scolastico per sottrarre il monopolio dell’istruzione alla Chiesa. Nello stesso secolo si iniziò a organizzare l’istruzione professionale in numerosi paesi, soprattutto nel mondo germanico con le Realschulen. La Rivoluzione francese contribuì all’affermazione e alla diffusione degli ideali illuministici, introducendo in Francia l’obbligo e la gratuità dell’istruzione elementare e rinnovando strutture e ordinamenti delle scuole. Il fenomeno storico che determinò una svolta decisiva nell’impostazione e nella diffusione dell’istruzione scolastica fu, come già detto, la rivoluzione industriale, avviata in Inghilterra nella seconda metà del XVIII secolo ed estesa in Europa e nel resto del mondo nel corso dei secoli successivi. Essa impose una ristrutturazione di tutti i segmenti del processo educativo e un impegno senza precedenti degli stati e dei privati nell’offerta di servizi formativi. La scuola materna fu a lungo la più trascurata: imposta dalla diffusione del lavoro femminile oltre che da nuovi ideali educativi, rimase per tutto l’Ottocento affidata all’iniziativa privata di filantropi generosi (come Owen, Fröbel nel mondo tedesco, Ferrante Aporti in Italia), ma insufficienti a rispondere alle reali esigenze dell’epoca. Solo nel XX secolo numerosi stati si impegnarono direttamente nel settore, senza imporre l’obbligo ma garantendo, in molti paesi, la gratuità della scuola materna. La scuola elementare ebbe un notevole sviluppo nel XIX secolo, giungendo a interessare, nei paesi più avanzati, la maggioranza della popolazione. Il principio dell’obbligo trovò ampia realizzazione nella seconda metà del secolo (in Inghilterra nel 1880, in Francia nel 1882 e via via negli altri paesi industrializzati), rispondendo alla richiesta economica di manodopera alfabetizzata e all’ideale democratico dell’universale diffusione dell’istruzione, ma anche all’esigenza delle classi dominanti di controllare la formazione delle masse in un periodo di proliferazione di idee rivoluzionarie. La scuola elementare fu oggetto di numerose ricerche pedagogiche e sperimentazioni didattiche, soprattutto nel XX secolo, tese a rinnovarne contenuti e metodi d’insegnamento, organizzazione della vita in comune e forme di gestione, per attrezzarla a rispondere in modo adeguato alle rapide trasformazioni sociali e politiche del mondo contemporaneo. L’istruzione secondaria conservò nel XIX secolo un carattere elitario, ma conobbe in molte realtà un maggior interessamento da parte dello stato, al fine di contrastare il monopolio delle scuole ecclesiastiche, e il rinnovamento degli ordinamenti, che alla cultura umanistica, tipica dei collegi gesuitici ma anche dei licei napoleonici, affiancò la preparazione scientifica e tecnica, sempre più necessaria nelle società industriali. Con l’alfabetizzazione delle masse si sviluppò l’istruzione professionale, destinata alle classi popolari, quasi sempre offerta da privati o enti pubblici, ma in alcuni paesi resa obbligatoria per assolvere l’obbligo scolastico in alternativa al proseguimento degli studi. Nel XX secolo l’istruzione secondaria divenne progressivamente un fenomeno di massa, dapprima nei paesi socialisti, poi in quelli occidentali industrializzati, sia per l’affermazione del principio politico del diritto allo studio, sia per la richiesta economica di manodopera sempre più qualificata. La tendenza attuale va in direzione di un universale prolungamento dell’obbligo scolastico e di una formazione secondaria più generale-culturale che settoriale e professionale, per via dei continui mutamenti tecnologici che provocano la rapida obsolescenza di ogni insegnamento troppo specifico. Gli stessi metodi di insegnamento devono adeguarsi alle esigenze di una scuola che non può più limitarsi a trasmettere saperi preconfezionati, ma deve sviluppare le capacità autonome di apprendimento dello studente. Il sistema scolastico deve inoltre attrezzarsi per rispondere alla domanda sociale ed economica di una formazione in continuo perfezionamento, in un mondo in cui anche l’età adulta è soggetta a frequenti richieste di riqualificazione professionale.

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2. La scuola in Italia

All’atto di nascita del regno d’Italia (1861), circa il 70% della popolazione (17 milioni su 25) era analfabeta. I primi problemi di politica scolastica del nuovo stato furono la lotta contro l’analfabetismo, peraltro condotta dai governi della Destra storica con poca convinzione, e l’armonizzazione dei diversi sistemi scolastici degli stati preunitari. La soluzione a entrambi i problemi fu trovata nell’estensione a tutto il territorio nazionale della legge Casati (1859), che disciplinava l’istruzione nel regno di Sardegna, in coerenza con la politica della Destra di piemontesizzazione dello stato. La legge Casati prevedeva l’obbligo scolastico per il primo ciclo biennale in scuole elementari affidate alla gestione dei comuni, ma le scarse risorse finanziarie a disposizione di questi ultimi, soprattutto al sud e nelle campagne, ne impedirono una soddisfacente attuazione. La legge Casati disciplinò anche l’istruzione secondaria, articolata nel ginnasio-liceo (5 anni più 3), di indirizzo umanistico e destinato alle classi superiori proiettate verso gli studi universitari, nelle scuole e istituti tecnici (3 anni più due) e nella scuola per la preparazione dei maestri. La Sinistra storica, più decisa a combattere l’analfabetismo, a contrastare il monopolio ecclesiastico dell’istruzione e ad affidare alla scuola il compito di formare la coscienza nazionale, intervenne nella politica scolastica con la legge Coppino (1877). Essa prolungò l’obbligo all’età di nove anni, prevedendo sanzioni per gli inadempienti e affidò all’educazione civica (“prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino”) e non alla religione la formazione dei valori. L’analfabetismo iniziò a calare, seppur lentamente (63% nel 1881, 48% nel 1901). Nel 1885 fu istituita la sezione fisico-matematica dell’istituto tecnico, con possibilità di accesso alle facoltà universitarie scientifiche, a testimonianza del maggior riconoscimento del valore della cultura scientifica da parte della Sinistra, influenzata dalle idee del positivismo. Più arretrata rimase la condizione dell’istruzione professionale, totalmente abbandonata all’iniziativa di privati e di enti assistenziali e controllata dal ministero per l’Agricoltura e l’Industria: solo nel 1928 passò alle competenze del ministero della Pubblica Istruzione. L’età giolittiana vide un ulteriore impegno nel campo dell’istruzione elementare, grazie anche alla pressione del movimento socialista. Nel 1904 l’obbligo venne prolungato a 12 anni e il ciclo elementare fu integrato da una quinta e una sesta classe (legge Orlando); furono inoltre aperte scuole serali e festive per lavoratori e adulti analfabeti; nel 1911 la legge Daneo-Credaro avocò allo stato le scuole comunali. Un riordino del sistema scolastico si ebbe all’inizio del fascismo con la serie di decreti noti come riforma Gentile (1923). Gentile istituì la scuola preparatoria, per l’età dai 3 ai 6 anni, non obbligatoria, ma il regime fascista non fece nulla per realizzarla concretamente; elevò l’obbligo fino al quattordicesimo anno di età, istituendo, in alternativa alle scuole medie inferiori, tre classi integrative postelementari, successivamente chiamate di avviamento al lavoro (con carattere di istruzione professionale); introdusse l’insegnamento della religione, definita il “fondamento e coronamento” dell’istruzione elementare; articolò la secondaria superiore in licei classici, scientifici e artistici e in istituti tecnici, magistrali e d’arte; consentì l’accesso agli studi universitari solo agli studenti liceali, confermando la natura classista del sistema scolastico. Nel 1939 la “Carta della scuola” di Bottai, vanificata dall’ingresso in guerra e dal successivo crollo del regime fascista, progettò l’unificazione delle scuole secondarie inferiori. Della scuola si occupò la Costituzione della repubblica italiana, negli articoli 33 e 34, in cui furono sanciti la libertà d’insegnamento, il diritto allo studio, l’impegno dello stato nel settore scolastico, l’obbligo e la gratuità dello studio fino al quattordicesimo anno di età, la possibilità di organizzare scuole private senza oneri per lo stato. Durante la storia della repubblica si ebbe una sola vera riforma in campo scolastico: l’unificazione della scuola media inferiore (1962), operata dalla nuova maggioranza di centrosinistra a realizzazione del principio democratico delle pari opportunità. Per il resto si ebbero solo modificazioni di minore portata: istituzione delle scuole materne statali presso ogni direzione didattica, non obbligatorie ma gratuite (1968); istituzione di asili nido per i bambini sotto i 3 anni (1971); rinnovo dei programmi delle elementari (1945, 1955, 1985), istituzione del tempo pieno (1968); riforma dei programmi e della valutazione nelle medie inferiori e inserimento degli handicappati (1977); nascita degli istituti professionali di stato (1950); riforma dell’esame di maturità e liberalizzazione degli accessi all’università da tutti gli indirizzi quinquennali (o dopo un anno integrativo per i corsi quadriennali) della secondaria superiore (1969, sull’onda della contestazione studentesca). A livello organizzativo e gestionale, sempre sull’onda delle lotte studentesche e delle richieste democratiche di partecipazione, dopo la concessione dell’assemblea d’istituto agli studenti (1968), nel 1974 i Decreti delegati istituirono la gestione collegiale della scuola mediante organi formati da tutte le componenti scolastiche (personale docente e non docente, genitori, nelle superiori anche gli studenti) e con la partecipazione, in alcuni di essi (consigli di distretto, provinciali e nazionale della pubblica istruzione) delle forze sociali. Ciò di cui si continuò a sentire maggiormente la mancanza fu una riforma degli ordinamenti della secondaria superiore, che andasse in direzione di una maggiore democraticità (riducendo il dislivello culturale tra i diversi indirizzi), efficienza (diminuendo il pesante centralismo amministrativo, solo in minima parte scalfito dai Decreti delegati) e modernità (attraverso la riforma dei programmi). Dopo decenni di lodevoli ma infruttuosi dibattiti (fu importante il convegno di Frascati del 1970, che propose la secondaria superiore unitaria, con area comune e materie opzionali) e di sperimentazioni interessanti, ma insufficienti al fine di avviare una trasformazione complessiva del sistema scolastico, sul finire degli anni Novanta e nel corso dei primi anni Duemila – soprattutto in coincidenza con la cosiddetta riforma Berlinguer cui successivamente seguirono la riforma Moratti e la riforma Gelmini – furono introdotte o avviate, pur tra numerose incertezze e contestazioni, varie innovazioni di notevole rilevanza, tra cui si devono menzionare almeno l’autonomia degli istituti, la riforma dei cicli e una complessiva ristrutturazione degli esami di maturità. [Sergio Parmentola]

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