Schmitt, Carl

(Plettenberg 1888, † ivi 1985). Filosofo e giurista tedesco. Laureatosi nel 1910, nel 1916 conseguì l’abilitazione accademica e nel 1919-20 fu allievo di Max Weber. Professore di diritto dal 1921, divenne una delle figure intellettuali più influenti durante la repubblica di Weimar, della cui crisi fu a un tempo protagonista e attento osservatore. Nel 1933 si iscrisse al partito nazionalsocialista, aderendo politicamente e intellettualmente al regime fino a giustificare la “notte dei lunghi coltelli”. Fu poi attaccato dalla rivista delle SS e, nel 1936, emarginato. Arrestato e processato dopo la guerra, nonostante l’assoluzione fu allontanato dall’insegnamento e si ritirò a vita privata, continuando fino alla morte l’attività di scrittore. Critico del liberalismo e del parlamentarismo, nelle sue opere mirò a una rifondazione teorica del concetto di sovranità incentrato, in polemica con il normativismo e il positivismo giuridico, sulle idee di decisione e di “stato d’eccezione”. In questa prospettiva giunse a formulare una nuova teoria politica che, in contrasto con la tradizione classica del pensiero politico, individua il criterio di definizione del “politico”, concepito come sfera autonoma, nell’opposizione “amico-nemico”. I suoi scritti principali sono Romanticismo politico (1919), La dittatura (1921), Teologia politica (1922), Il concetto di “politico” (1927), la Dottrina della Costituzione (1928) e Il “nomos” della terra (1950).