schiavitù

Si intende per schiavitù la condizione per cui un uomo, privo di libertà e di capacità giuridica, è proprietà di un altro uomo; tale proprietà comprende il lavoro dello schiavo e i suoi prodotti e si estende talvolta ai discendenti. La schiavitù ha accompagnato l’intera storia dell’uomo, anche se non ovunque, dalle origini ai nostri giorni, nei quali è ancora presente in alcune regioni africane, arabe e asiatiche. Essa nacque nella preistoria dalle lotte intertribali, quando dall’eliminazione fisica degli sconfitti si passò alla loro riduzione in stato servile. Nelle grandi civiltà orientali (mesopotamiche: sumera, assira, babilonese; fenicia; ebrea; egizia; indiana; cinese) la schiavitù, documentabile fin dal IV millennio a.C. (presso i sumeri), ebbe alcuni caratteri comuni, al di là delle differenze tra i diversi popoli. L’origine della schiavitù fu prevalentemente la cattura in guerra di singoli o di interi popoli. Poteva però essere anche l’insolvenza per debiti, la condanna per reati gravi (adulterio, furto, omicidio), l’abbandono degli infanti, il rapimento di bambini e fanciulle, la vendita dei propri parenti (in genere dei figli), l’autovendita. La schiavitù si divise in permanente (ed ereditaria) e temporanea: i debitori insolventi erano generalmente condannati a qualche anno di lavoro servile a scopo di risarcimento; presso gli ebrei la schiavitù degli israeliti non poteva durare più di sei anni. In numerose civiltà erano previsti l’affrancamento per generosità del padrone o per meriti dello schiavo, il riscatto in denaro, la liberazione per matrimonio con persona libera. Gli schiavi erano oggetto di un fiorente commercio, in cui erano specializzati popoli come i fenici. Lo schiavo poteva essere proprietà del sovrano, di privati o di templi e poteva venire utilizzato nelle opere pubbliche (canalizzazioni, irrigazioni, fortificazioni, costruzioni di strade) o per lavori agricoli, artigianali, industriali, domestici. Le donne, spesso inserite negli harem dei sovrani (dove comparivano anche gli eunuchi, schiavi evirati nell’infanzia), oltre ai lavori domestici avevano funzioni di intrattenimento e di concubinaggio. Talvolta agli schiavi erano riconosciuti alcuni diritti: alla vita, al matrimonio, al possesso di beni. Un esempio di regolamentazione giuridica della schiavitù fu il babilonese codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.). Più spesso il trattamento degli schiavi dipese dall’umanità dei costumi dei popoli proprietari. Gli schiavi in possesso di competenze specialistiche (scribi, amministratori, sacerdoti) godevano di stima e rispetto e vivevano in condizioni privilegiate. Le punizioni, spesso discrezionali, talvolta regolamentate dalla legge, raggiungevano elevati livelli di crudeltà (mutilazioni, marchiatura a fuoco, morte atroce) in caso di colpe gravi e di fuga. Nel mondo greco la schiavitù, presente fin da XV secolo a.C., ebbe un’evoluzione parallela a quella del sistema economico-sociale. Nell’epoca omerica, fondata su un’economia agricola e su una struttura sociale patriarcale, il numero degli schiavi era ridotto. I più ricchi, come Ulisse, arrivavano a possedere un centinaio di schiavi, utilizzati nei lavori domestici, agricoli, pastorali (custodia degli armenti) e, le donne, per il concubinaggio. La famiglia patriarcale consentiva un rapporto umano di confidenza e affetto tra padroni e schiavi, le cui condizioni di vita erano tollerabili. Lo sviluppo economico, a partire dall’VIII secolo a.C., incrementò l’esigenza di manodopera servile e ne peggiorò le condizioni di vita. Si sviluppò un grande commercio di schiavi (che ebbe grandi centri nelle isole di Chio e di Delo), i quali raggiunsero nell’età classica una percentuale rilevante della popolazione complessiva: il 25% nell’Attica, pari a 70-90.000 unità; in alcune città erano la metà della popolazione. Anche in Grecia gli schiavi, la cui origine era simile a quella degli schiavi orientali, potevano essere di proprietà pubblica, dei templi o di privati ed erano impiegati in attività lavorative di ogni genere, dai mestieri più semplici e faticosi alle professioni più specialistiche. Vi furono schiavi medici, banchieri, amministratori, insegnanti, architetti. I diritti e il trattamento, come anche il valore commerciale, erano diversi a seconda del livello professionale. Le punizioni erano severe, ma per la condanna a morte era in genere richiesta la sentenza di un magistrato. Le condizioni di vita degli schiavi delle miniere erano pessime, mentre i servitori domestici o i professionisti raggiungevano sovente l’affrancamento per manomissione o dietro pagamento di un riscatto. Lo schiavo poteva, infatti, lavorare per terzi e trattenere per sé una quota del reddito, con cui riscattarsi. I padroni più ricchi solevano noleggiare i propri schiavi, sia per attività industriali (miniere, ecc.) sia per lavori occasionali (come suonatrici e danzatrici per feste e cerimonie). I greci giustificarono la schiavitù fondandola sulla naturale inferiorità dei barbari o di quegli individui che, essendo incapaci di autonomo comportamento razionale, trovano il proprio stesso interesse nell’avere un padrone (così ad esempio Aristotele). Fu anche grazie alla schiavitù – secondo la celebre tesi di Benjamin Constant – che i greci liberi poterono sviluppare nella polis sistemi democratici caratterizzati da forme assai intense ed elevate di partecipazione. Nel mondo romano si ebbe un’evoluzione analoga a quella greca, da una società patriarcale con pochi schiavi (Attilio Regolo ne aveva soltanto uno) a un sistema economicamente complesso fondato sull’abbondanza di manodopera servile in miniere, industrie e latifondi. Il trattamento era generalmente duro, tra i più crudeli e privi di controllo dell’intera storia, in una società che attribuiva al padrone diritto di vita e di morte sugli schiavi anche per i motivi più futili (fino ai casi estremi di tortura per semplice divertimento). Tipica di tale sistema fu la figura del gladiatore, destinato alla lotta fino alla morte con altri gladiatori o contro belve feroci per intrattenere il pubblico dei circhi. Non a caso alcune delle numerose rivolte servili (punite con la crocifissione) ebbero per protagonisti gladiatori come Spartaco, che mobilitò 120.000 schiavi, resistendo per due anni (73-71 a.C.) alla repressione. Altra ribellione celebre fu quella siciliana di Euno, il quale riuscì a creare una monarchia, sostenuta da pastori e contadini liberti, con capitale Enna, che durò due anni (134-32 a.C.) prima di essere travolta dalla repressione. Era molto dura la condizione nelle miniere e nei latifondi, nei quali gli schiavi erano organizzati in squadre sotto la sorveglianza di guardiani brutali, sfruttati fino all’esaurimento delle forze fisiche e costretti a dormire negli orribili “ergastula”. Migliore la situazione degli intellettuali (erano schiavi numerosi poeti e filosofi), dei professionisti e dei servitori domestici. In tali casi non era raro l’affrancamento per manumissio o per riscatto con il peculium di cui il servus poteva disporre (liberti). Nell’età tardoantica e altomedievale si ebbe una diminuzione della schiavitù. A ciò contribuirono la fine delle guerre romane di conquista; il frazionamento dei latifondi, la cui “pars massaricia” fu divisa in unità a conduzione familiare (i mansi), rendendo inutile l’acquisto di nuovi schiavi; la diffusione delle idee prima stoiche e poi cristiane, sostenitrici dell’uguaglianza di tutti gli uomini, sia nel mondo romano sia successivamente in quello barbarico (anche se il cristianesimo mantenne poi un atteggiamento contraddittorio nei confronti dell’istituto specifico della schiavitù). Si sviluppò anche la servitù della gleba. Un nuovo incremento del commercio di schiavi, cui diedero un contributo rilevante mercanti e pirati turchi, arabi, ebrei e città marinare (soprattutto Genova e Venezia), si ebbe con la nuova fioritura delle città e con la rinascita dell’XI secolo. La provenienza dei nuovi schiavi fu in prevalenza orientale e balcanica: il termine sclavus (da cui schiavo), che sostituì il latino servus, indicava in origine (nel X secolo, ai tempi delle conquiste di Ottone I) l’etnia slava di gran parte degli sfortunati, oggetto di una vera e propria incetta. Schiavi cristiani circolarono invece nelle terre musulmane. Data la funzione soprattutto domestica della nuova schiavitù, essa fu prevalentemente femminile. I maschi furono impiegati come guardie del corpo e come rematori delle “galere” (i “galeotti”), lavoro durissimo che si protrasse sino alla diffusione dei velieri alla fine del XVIII secolo. Presso i turchi, oltre a numerosi eunuchi e odalische (con funzioni di intrattenimento negli harem dei sultani), a partire dal XIV secolo si formò il corpo dei giannizzeri, schiavi balcanici educati dalla prima infanzia a diventare soldati scelti dell’esercito. In età moderna il fenomeno schiavistico più rilevante fu indubbiamente la tratta degli schiavi africani in America. Il Nuovo Mondo conosceva la schiavitù già nell’era precolombiana, ma con la conquista spagnola avviata da Colombo, Cortés e Pizarro l’intera popolazione indigena fu ridotta in schiavitù. La fragilità fisica e la scarsa attitudine alla fatica, insieme con altre cause, trasformarono lo sfruttamento economico in un genocidio, che convinse gli spagnoli a seguire il suggerimento di Bartolomeo de Las Casas di trapiantare in America i più robusti neri africani (1517). I portoghesi già nel XV secolo avevano avviato un commercio di schiavi africani in Europa. Nel XVI secolo questo commercio si rivolse al nascente e fiorente mercato americano e ad esso parteciparono tutte le potenze europee attive nella navigazione dell’Atlantico: portoghesi, olandesi, tedeschi, danesi, svedesi, francesi, inglesi. Il commercio legale, affidato dalla Spagna a un ristretto numero di mercanti, secondo il meccanismo monopolistico dell’asiento, fu accompagnato da un diffuso contrabbando e dalla pirateria. Nel XVII secolo si affermò l’impiego di schiavi neri anche nelle piantagioni delle colonie inglesi del Nordamerica. Gli inglesi divennero nel XVIII secolo i protagonisti della tratta, ottenendo l’asiento trentennale nelle colonie spagnole col trattato di Utrecht (1713) e organizzando il commercio triangolare (Inghilterra, Africa, America) che fece di Liverpool un porto di importanza mondiale. È difficile stabilire quanti milioni di africani siano stati venduti in America nel corso dei secoli, ma è certo che a destinazione arrivò solo una percentuale ridotta di coloro che erano stati catturati a tale scopo. Moltissimi infatti morirono durante la cattura, il trasporto dall’interno dell’Africa alle coste, la traversata dell’oceano, l’ambientazione nel nuovo continente: una stima attendibile fissa intorno al 30% la percentuale di effettivo utilizzo nel Nuovo Mondo. Il trattamento era durissimo, soprattutto nelle colonie inglesi, dove il razzismo era più rigido. Nel Nuovo Mondo furono utilizzati anche schiavi di pelle bianca, i white servants, generalmente temporanei. Si trattava per lo più di debitori insolventi e condannati per reati gravi, ma anche di bambini e vagabondi del vecchio continente rapiti e rivenduti in America. Nell’età dell’Illuminismo si diffuse il movimento abolizionista che in pochi decenni pose fine alla tratta: in Danimarca nel 1792, in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 1807, in Olanda e in Svezia nel 1815, nei paesi latinoamericani con la proclamazione dell’indipendenza (abolizionismo). Nel 1814-15 le potenze europee riunite nel congresso di Vienna si impegnarono a porre fine al commercio degli schiavi, che continuò clandestinamente per qualche decennio. Un trattato internazionale del 1841 consentì le visite di ispezione sui vascelli per reprimere il traffico clandestino. La schiavitù fu abolita dall’Inghilterra nel 1833, dalla Francia nel 1848, dalla Spagna nel 1870, dal Brasile nel 1888. Negli Stati Uniti essa fu soppressa soltanto all’indomani della sanguinosa guerra civile che infiammò il paese tra il 1861 e il 1865 e che trasse origine proprio dal contrasto tra gli stati del nord, abolizionisti, e quelli del sud, intenzionati invece a mantenere le istituzioni della schiavitù. La conferenza di Berlino del 1884 e l’atto internazionale di Bruxelles del 1890 cercarono di abolire la schiavitù anche nel continente africano. Una solenne condanna della schiavitù si ebbe al termine della prima guerra mondiale con la convenzione di Saint-Germain (1919) e qualche anno dopo a opera della Società delle Nazioni con la Convenzione di Ginevra del 1926. Il fenomeno è ancora diffuso in alcune regioni dell’Africa, dell’Asia e del mondo arabo. Tra i fattori strutturali che hanno contribuito alla scomparsa almeno relativamente rapida della schiavitù tra XIX e XX secolo ha avuto un ruolo fondamentale la nascita e poi la diffusione del capitalismo moderno, fondato per l’appunto sul lavoro “libero”.