Savoia, stato preunitario

Le radici dello stato sabaudo vanno ricercate nei territori di cui divenne signore in Savoia, durante la prima metà del secolo XI, Umberto Biancamano (di probabile origine sassone). Già suo figlio Oddone, sposando nel 1045 Adelaide di Susa, la quale portò in dote il marchesato di Torino, cominciò a estendere i possedimenti sabaudi al di qua delle Alpi. Questa politica espansionista fu perseguita dai discendenti, che seppero destreggiarsi fra le insidie dei vari potentati vicini. Verso la fine del secolo XIII la famiglia si divise in due rami fondamentali: i Savoia principi del Piemonte e principi di Acaia e della Morea (per via del matrimonio di Filippo I con Isabella di Villehardouin, erede del principato di Acaia) e i Savoia conti di Savoia, rappresentati da Amedeo V (1249-1323) dopo la morte del fratello primogenito Tommaso III (1282). Questi ultimi, oltre a mantenere il possesso dei vari feudi familiari situati in Savoia e il primato feudale sugli altri rami della famiglia, conservarono anche una parte del Piemonte; un’altra parte di questa regione andò invece al sopra citato Filippo I (figlio di III), col quale ebbe origine il ramo dei Savoia-Acaia. I possedimenti dei due rami della famiglia, dopo la morte di Ludovico di Savoia-Acaia (1364-1418), furono poi riunificati da Amedeo VIII (1383-1451) nel 1418. Questi già nel 1416 aveva inoltre ottenuto dall’imperatore Sigismondo il diritto di trasformare il titolo di conte in quello di duca di Savoia (titolo con il quale furono poi chiamati anche i suoi discendenti sino a quando ottennero il titolo regio). Amedeo VIII regnò dal 1391 al 1434 quando abdicò (nel 1439 fu eletto papa dai cardinali dissidenti e assunse il nome di Felice V; nel 1449 rinunciò tuttavia a questa falsa tiara e ottenne dal papa Nicolò V la nomina a cardinale). Egli è importante nella storia della famiglia dei Savoia non solo perché riunì i possedimenti dei due rami della famiglia stessa, ma perché diede ai suoi possedimenti, con gli Statuta Sabaudiae (1430), una legislazione organica, pur riconoscendo ancora certe prerogative ai ceti e agli organismi privilegiati. Si può quindi a ragione attribuirgli il titolo di fondatore del vero e proprio stato sabaudo. I suoi discendenti immediati non furono alla sua altezza e il ducato, nella seconda metà del Quattrocento, attraversò un periodo di crescenti difficoltà finché nella prima metà del Cinquecento, sotto Carlo II (1486-1553), quasi tutti i possedimenti sabaudi furono occupati dalla Francia e in parte dalla Spagna durante il lungo periodo di guerre attraverso le quali queste due potenze si contesero la supremazia in Europa e che si concluse con il successo della Spagna sanzionato dal trattato di Cateau-Cambrésis (1559). Il figlio di Carlo II, Emanuele Filiberto (1528-80), durante quegli eventi bellici, aveva posto la sua spada al servizio del re di Spagna e a lui è dovuta l’importante vittoria di San Quintino, ottenuta dagli spagnoli nel 1557. Grazie ai servizi prestati Emanuele Filiberto, con il trattato di pace suddetto, ottenne la restituzione dei possedimenti perduti (d eccezione di qualche lembo marginale), anche se per qualche anno presidi militari francesi e spagnoli continuarono a essere presenti sulle sue terre. Emanuele Filiberto, comprendendo che possibilità di ulteriore espansione del suo stato avrebbe potuto trovarle soltanto al di qua delle Alpi, trasferì la capitale da Chambéry a Torino e diede mano a importanti provvedimenti di carattere economico e a riforme legislative miranti a rafforzare il potere del principe rispetto ai poteri delle vecchie istituzioni feudali. Lo stato sabaudo tornò a trascorrere anni difficili sotto il successore di Emanuele Filiberto, Carlo Emanuele I (1562-1630), il quale dovette riprendere a destreggiarsi fra le contese franco-spagnole. Egli riuscì a ottenere le terre del marchesato di Saluzzo dal re di Francia, cedendo però alla Francia più ampi territori nella Savoia settentrionale (i quali, fra l’altro, erano difficilmente difendibili). Ancor più agitati furono gli anni successivi alla sua scomparsa. Il figlio Vittorio Amedeo I (nato nel 1587) morì nel 1637 e alla sua morte si scatenò una lunga lotta fra i “madamisti”, ossia coloro che volevano la reggenza della regina madre Maria Cristina di Borbone (detta la prima Madama Reale), e i “principisti”, che sostenevano i diritti dei fratelli del sovrano defunto (il cardinale Maurizio e il principe Tommaso, capostipite del ramo Savoia-Carignano). Maria Cristina, grazie anche all’appoggio della Francia, seppe dominare la situazione reggendo il paese dal 1637 al 1648 quando lasciò il potere nelle mani del figlio Carlo Emanuele II (1634-75), il quale già nel 1638 aveva assunto il titolo di duca e che poi governò effettivamente il paese sino alla morte. Scomparso anch’egli prematuramente lasciando il trono al figlio Vittorio Amedeo II di appena nove anni, la reggenza fu assunta dall’energica madre Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours (seconda Madama Reale), anch’essa fortemente sostenuta dalla monarchia francese, la quale rimase alla guida del paese sino alla morte (1684). Vittorio Amedeo II (1666-1732) cercò di svincolarsi dalla sudditanza alla corona francese pur avendo anch’egli sposato una Orléans (Anna Maria). Così durante la guerra di Successione spagnola (1701-1714), dopo essere rimasto alleato di Luigi XIV sino al 1703, si staccò dalla Francia e si alleò con la Spagna e con l’impero, sostenendo poi vittoriosamente l’assedio di Torino da parte dei francesi (1706) con l’aiuto del cugino Eugenio di Savoia-Soissons, comandante in capo delle truppe imperiali. Con le paci di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714) ottenne il titolo di re di Sicilia che dovette però poco dopo mutare in quello di re di Sardegna dopo la cosiddetta guerra dell’Alberoni. Quel titolo, già conferitogli nel 1718, fu confermato con la pace dell’Aja (1720). Da allora fu questo il titolo di cui si fregiarono i sovrani sabaudi sino all’unificazione nazionale. Ma Vittorio Amedeo II non è ricordato negli annali di casa Savoia solo per il nuovo titolo ottenuto. Egli è anche ricordato perché riuscì a ottenere l’annessione del Monferrato, della Lomellina e della Valsesia; inoltre seppe rafforzare il potere sovrano (proseguendo sulla strada tracciata da Amedeo VIII e da Emanuele Filiberto) col ridurre i privilegi del clero e della nobiltà; egli riformò quindi gli studi universitari e introdusse altre importanti innovazioni nel settore legislativo e amministrativo. La sua opera fu continuata dal figlio Carlo Emanuele III (1701-1773). Questi, dopo la guerra di Successione polacca (1733-38), ottenne Novara e Tortona; e dopo la guerra di Successione austriaca (1740-48) ottenne l’Alto Novarese e l’Oltrepò pavese. Anch’egli inoltre, sulle orme paterne, realizzò importanti riforme interne, sia nel settore ecclesiastico (concordato del 1741) sia in quello amministrativo con l’editto sulle amministrazioni comunali (1771). Le buone relazioni stabilitesi nel frattempo fra Vienna e Parigi (che proseguirono anche nei decenni successivi) fecero perdere importanza, sul piano internazionale, allo stato sabaudo durante il regno di Vittorio Amedeo III (1726-1796), salito al trono dopo la morte del padre (1773). Negli ultimi mesi del suo regno, il Piemonte fu invaso dalle truppe napoleoniche ed egli dovette firmare l’umiliante trattato di Parigi, in conseguenza del quale i francesi ottennero il controllo di alcuni punti chiave del Piemonte. Al figlio Carlo Emanuele IV (1751-1819) non restò altro da fare che rifugiarsi in Sardegna (fine del 1798) dove nel 1802 abdicò a favore del fratello Vittorio Emanuele I (1759-1824). Questi, nel 1814, dopo la caduta del regime napoleonico, fece ritorno a Torino e si affrettò ad abolire le importanti riforme giuridico-amministrative realizzate negli anni precedenti. Dal congresso di Vienna (1814-15) egli ottenne la restituzione degli antichi possedimenti sabaudi (a eccezione di alcuni piccoli territori situati nelle vicinanze di Ginevra) e i territori dell’antica repubblica di Genova. Ciò nonostante, la situazione internazionale del suo stato risultò notevolmente indebolita: le frontiere occidentali erano ormai sguarnite (avendo Napoleone fatto abbattere o rendere inutilizzabili tutti i forti situati sulle Alpi) mentre a oriente l’Austria era diventata dominatrice di tutta la pianura padana sino al Ticino. La delusione di Vittorio Emanuele I fu strumentalizzata dagli uomini delle società segrete, i quali aspiravano alla liberazione dell’Italia dallo straniero. Ma i moti insurrezionali del 1821 andarono incontro a un completo insuccesso. In conseguenza di quegli avvenimenti Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice (1765-1831), il quale riprese a governare il paese in maniera assolutistica, pur attuando alcuni significativi provvedimenti soprattutto nel campo economico e in quello delle opere pubbliche. Rimasti tuttavia senza figli maschi tutti i principi sabaudi del ramo primogenito, la successione, nel 1831, toccò a Carlo Alberto del ramo dei Savoia-Carignano (1798-1849). Anche questi, in un primo tempo, impose un rigido governo assoluto e agì pesantemente (1833-34) contro le congiure ordite dalla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini; nello stesso tempo strinse un trattato di alleanza con l’Austria (1831) in vista di una eventuale guerra contro la Francia di Luigi Filippo. Negli anni successivi, tuttavia, realizzò importanti riforme sia in campo giuridico (i famosi “codici albertini”) sia in campo amministrativo con l’ampliamento dei poteri delle istituzioni locali (1841). A poco a poco andò anche staccandosi dall’alleanza con l’Austria rendendosi conto che solo grazie a una espansione territoriale nella pianura padana lo stato sabaudo avrebbe potuto assicurarsi un’adeguata indipendenza nei confronti dei potenti vicini. Questo orientamento produsse l’avvicinamento fra la monarchia e il movimento liberale-moderato che intanto era andato sviluppandosi grazie agli scritti di Gioberti, Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio e Giacomo Durando. Si giunse così (4 marzo 1848) alla promulgazione dello Statuto e alla prima guerra d’indipendenza. Carlo Alberto risultò sconfitto sia nella campagna del 1848 sia in quella del marzo 1849, dopo la quale abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II (1820-78). Questi, con l’appoggio di un ministro di straordinarie capacità come Cavour, riprese all’interno una politica di ampie riforme e in politica estera, grazie all’appoggio di Napoleone III, una politica espansionista ai danni dell’Austria che portò alla seconda guerra d’indipendenza e alla conquista della Lombardia (1859). Questo successo provocò il crollo di tutto il sistema di stati creato in Italia dal congresso di Vienna. Grazie alle insurrezioni in Emilia e in Toscana, alla spedizione garibaldina dei Mille in Sicilia e nell’Italia meridionale, all’intervento dell’esercito regio nelle Romagne, nelle Marche e in Umbria, fra il 1860 e il 1861 si poté giungere all’unificazione nazionale e alla proclamazione del regno d’Italia (17 marzo 1861), di cui lo stesso Vittorio Emanuele II fu proclamato sovrano. [Narciso Nada]