Salvador, El

Stato attuale dell’America centrale. Resti archeologici attestano la presenza di popolazioni evolute, ma di identità sconosciuta, già a partire dal XIV secolo a.C. Chiare influenze della civiltà maya sono rintracciabili nelle aree interne. Nel XII secolo emigrò dal Messico il popolo dei pipil, la più importante delle etnie presenti nel paese al momento della scoperta da parte degli spagnoli, che stabilì la propria capitale a Cuscatlán (“terra del gioiello”): con questo nome venne originariamente indicato il territorio che oggi forma El Salvador. La conquista a opera delle truppe spagnole guidate da Pedro de Alvarado ebbe inizio nel 1524, ma soltanto verso la metà del secolo gli indigeni furono completamente assoggettati. Nel 1525 venne fondata San Salvador, l’attuale capitale. Per tutto il periodo coloniale la provincia di San Salvador fu sotto la giurisdizione della capitaneria del Guatemala; nel 1786 fu elevata al rango di intendencia acquistando una maggiore autonomia sul piano amministrativo. Dopo alcuni tentativi falliti di liberarsi della dominazione spagnola (nel 1811 e nel 1814), San Salvador ottenne l’indipendenza unitamente al Guatemala nel 1821. Annesso per un breve periodo all’impero messicano, nel 1825 entrò a far parte come provincia autonoma della Federazione dell’America Centrale, che si sciolse nel 1838. Nel 1841 fu provvisoriamente proclamata la repubblica di El Salvador che divenne effettiva nel 1859. La storia del paese fu comunque caratterizzata dall’alternarsi di tentativi più o meno duraturi di federazione con gli stati confinanti. Nel 1840 fu introdotta la coltivazione estensiva del caffè che cominciò a essere esportato in quantità apprezzabili a partire dagli anni Settanta e divenne negli anni Ottanta la principale risorsa. Una relativa stabilità interna caratterizzò le amministrazioni di Francisco Dueñas (1863-76) e di Rafael Zaldívar (1876-85): quest’ultimo si oppose al tentativo da parte del Guatemala di riunificare con la forza il Centro America nel 1885. Negli anni successivi conservatori e liberali si alternarono alla guida del paese, senza che venisse messo in discussione il carattere oligarchico del potere, concentrato nella mani di una ristretta cerchia di famiglie facoltose. Le prime elezioni libere tenutesi nel 1931, anziché favorire il processo di democratizzazione, portarono a un colpo di stato militare e alla dittatura del generale filofascista Maxímiliano Hernández Martínez (1931-44). Nel 1950, dopo un periodo di disordini interni durante il quale i militari si susseguirono ai vertici del potere, venne eletto presidente Oscar Osorío (1950-56), che preparò una nuova costituzione e aderì all’Organizzazione degli Stati Centroamericani creata nel 1951. Durante il suo governo, la favorevole congiuntura economica unita a un regime di bassi salari favorì la creazione di infrastrutture e un certo grado di industrializzazione. Ma il clima repressivo e l’asservimento alla politica americana finirono per suscitare violente reazioni. Nel 1960 un colpo di stato messo in atto da militari di sinistra depose il presidente José María Lemus; lo svolgimento di libere elezioni fu impedito da un nuovo colpo militare di destra nel 1961. Nel 1962 venne varata una nuova costituzione per dare al paese una maggiore democrazia, ma le leve del potere restarono nelle mani dei militari e dell’oligarchia dominante. A partire dal 1974 formazioni guerrigliere di estrema sinistra cominciarono a effettuare numerose azioni dimostrative, come il sequestro e l’assassinio politico, in un clima di crescente violenza: alle sempre più frequenti manifestazioni dell’opposizione il governo rispose con la forza. Nel 1977 l’elezione del candidato del Partito della riconciliazione nazionale, il generale Carlos Humberto Romero, provocò gravi disordini. Romero venne sostituito nel 1979 da una giunta più moderata, composta da militari e civili, che fallì nell’opera di pacificazione. Nel marzo 1980 l’assassinio a opera di un commando di destra dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, schierato contro la giunta, nel corso di un servizio religioso precipitò il paese in una vera e propria guerra civile. Si ebbe allora la creazione di un vasto schieramento, il Fronte democratico rivoluzionario (FDR), cui aderirono i sindacati operai e contadini, i partiti della sinistra e anche parte dei Democratici cristiani, uniti nella lotta contro il regime. Le tensioni create dall’uccisione di sei dirigenti del FDR portarono in dicembre a un reimpasto governativo e alla nomina a presidente del leader democristiano José Napoleón Duarte. La nuova giunta beneficiò dell’accresciuto impegno del nuovo presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, che inviò aiuti e consiglieri militari, mentre i guerriglieri poterono contare sull’appoggio dell’Unione Sovietica e degli stati a essa legati di Cuba e del Nicaragua. Nel 1981 fallì il tentativo effettuato dall’Internazionale socialista e dai partiti Democratici cristiani latinoamericani ed europei di far cessare la guerra civile, che nel corso di quell’anno aveva provocato, secondo le stime di una commissione dell’ONU per i diritti civili, circa 11.000 morti. Fallì altresì il tentativo effettuato dalla giunta di arrivare a una pacificazione del paese attraverso le elezioni per l’Assemblea costituente. Queste si tennero nel 1982 senza la partecipazione delle forze del FDR e non diedero, come speravano gli Stati Uniti e altre forze moderate, la maggioranza assoluta al partito di Duarte che dovette rassegnare le dimissioni. Al suo posto fu eletto dall’Assemblea l’indipendente Álvaro Magaña Borjo, espressione di una composita coalizione di partiti di centro e di destra. Duarte tornò al potere con le elezioni presidenziali del 1984 e nel 1985, alle elezioni legislative, la Democrazia cristiana ottenne la maggioranza assoluta nel Congresso. Elemento decisivo della vittoria fu l’impegno assunto nella campagna elettorale ad avviare negoziati con le forze della guerriglia per porre fine alla guerra. Le trattative ci furono ma non ebbero esito positivo. Le elezioni del 1988 diedero la maggioranza a una formazione di destra, l’Alleanza repubblicana nazionalista (ARENA) il cui candidato, Alfredo Cristiani, conquistò l’anno seguente la presidenza, in un clima molto teso che vide i guerriglieri attaccare i seggi presidiati dall’esercito. Eventi internazionali, quali l’avvento al potere di Gorbacëv in Unione Sovietica e l’abbandono da parte di questa della politica di espansione in America Latina e nel Terzo Mondo produssero alla fine degli anni Ottanta significativi mutamenti. Nel 1989 fu raggiunto un accordo tra i paesi centroamericani per lo smantellamento delle basi dei guerriglieri antigovernativi (contras) in Nicaragua e il ritorno del paese alla legalità democratica. Il timore di veder cessare gli aiuti dal mondo comunista spinse i capi del movimento rivoluzionario salvadoregno a tentare una grande offensiva alla fine dell’anno, che fallì per la mancata sollevazione delle masse urbane. Il 12 dicembre tutti i presidenti degli stati centroamericani riuniti al vertice di San Isidro firmarono un documento in cui si invitavano i capi del Fronte di liberazione nazionale Farabundo Martí (FMLN), l’ala militare del FDN, a deporre le armi. Trattative tra esponenti del governo e del FMLN si ebbero nel 1990 a Ginevra e in Messico. Nel 1991 le elezioni politiche e amministrative videro per la prima volta dopo dieci anni la partecipazione delle sinistre non comuniste, unite nella lista di Convergenza democratica, la cui affermazione (risultò il quarto partito) fu accolta come segno della volontà da parte di strati sempre più ampi della popolazione di arrivare a una normalizzazione della vita del paese. Nel dicembre del 1992 ebbe fine la guerra civile, costata la vita a circa 70.000 persone, in seguito a un accordo di pace tra il governo e il FMLN, trasformatosi in partito politico. Una commissione dell’ONU stabilì che la maggiore responsabilità delle violenze commesse durante la guerra civile era da attribuirsi all’esercito, alle forze di sicurezza e alle squadre della morte di estrema destra. Le elezioni presidenziali del 1994 furono vinte dall’ARENA con Armando Calderon Sol. Dopo che alle elezioni legislative del 1999 l’ARENA e il FMLN ottennero pressoché gli stessi consensi, il candidato della prima, Francisco Guillermo Flores Perez, vinse nuovamente quelle presidenziali. Durante il mandato quest’ultimo si impegnò attivamente nella modernizzazione economica del paese e nel rafforzamento delle relazioni con gli Stati Uniti. Le successive elezioni presidenziali del 2004 furono vinte dal candidato dell’ARENA, Elias Antonio Saca, che dovette fronteggiare la minaccia rappresentata dal progressivo rafforzamento delle gangs criminali, le cosiddette maras. Quelle del 2009, sancendo per la prima volta la conquista del potere da parte della sinistra, registrarono l’affermazione di Mauricio Funes, candidato dell’FMLN.
Anche negli anni seguenti il paese continuò a essere lacerato da forti tensioni sociali e politiche.