Romania

Stato attuale dell’Europa sudorientale.

  1. Dalle origini al medioevo
  2. I principati di Moldavia e di Valacchia (XIV-XVIII secolo)
  3. Dall’unione dei principati all’indipendenza del regno romeno (1821-81)
  4. Dalla fine dell’Ottocento alla caduta del regno (1881-1947)
  5. La repubblica popolare di Ceausescu
  6. La repubblica di Romania
1. Dalle origini al medioevo

Il territorio dell’odierna Romania fu abitato in età antica dalle popolazioni illiriche dei geti e dei daci. Colonizzato dai greci a partire dal VII secolo a.C. e conquistato da Dario nel 510 a.C., fu sottomesso alla dominazione romana (106 d.C.) al tempo di Traiano. Questi lo trasformò nella provincia della Dacia Traiana (107-271 d.C.), retta da un governatore, e intraprese un’opera di romanizzazione le cui tracce sono ancora oggi vive nella lingua romena. Abbandonata fra il 271 e il 275 dall’imperatore Aureliano per riportare al Danubio le frontiere dell’impero minacciate dai goti, la Dacia fu esposta per circa un millennio all’invasione dei popoli barbarici: goti, sarmati, unni, gepidi, avari, slavi e bulgari. Profondamente latinizzata, la regione riuscì tuttavia ad assimilare i conquistatori. Intorno al X secolo, il processo di formazione del popolo romeno e della sua lingua poté considerarsi concluso. A partire dalla prima metà del XIII secolo, in corrispondenza con la migrazione dei tartari dalla Dacia (1241), si attesta la presenza di elementi romeni in Moldavia, Valacchia e Transilvania. Erano comunità di lingua latina, con influssi ungheresi, slavi, germanici, che praticavano un cristianesimo di rito greco derivato dai bulgari. Nel XIV secolo si trasformarono, in Moldavia e in Valacchia, in stati unitari con il nome di voivodati.

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2. I principati di Moldavia e di Valacchia (XIV-XVIII secolo)

In Valacchia la formazione dello stato unitario risale alla fine del 1200, grazie all’opera del voivoda Radu Negru, giunto dalla Transilvania nel 1290. Lo stato si consolidò sotto Giovanni Basarab (1330-52) dopo il conflitto con il re d’Ungheria Carlo Roberto d’Angiò, e ottenne la piena indipendenza nel 1380. Il principato autonomo di Moldavia si costituì, invece, nel XIV secolo, quando il voivoda Bogdan insorse contro il dominio ungherese e proclamò l’indipendenza della regione nel 1359. A differenza dei voivodati romeni di Transilvania, che furono conquistati dal regno di Ungheria (X-XIII secolo), i principati danubiani di Moldavia e di Valacchia riuscirono a difendere la loro autonomia contro ungheresi, polacchi e turchi. Essi mutuarono le istituzioni politiche dalla Bulgaria e dalla Serbia: il voivoda deteneva formalmente il potere assoluto, ma era indebolito dalle forti ingerenze delle classi nobiliari (boiari) e del clero. Tale ordine politico e sociale crollò tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI, quando la Valacchia prima, sotto il principe Mircea (1386-1418), e la Moldavia dopo, al tempo del principe Stefano III il Grande (1457-1504), furono invase dai turchi e costrette a riconoscersi tributarie dell’impero ottomano. Fu soltanto alla fine del XVI secolo, con il principe valacco Michele il Bravo (1593-1601), che si ebbe un efficace tentativo di affrancamento dai turchi. Michele unificò per la prima volta Valacchia, Moldavia e Transilvania (1600), realizzando per un breve periodo quell’unione dei tre paesi romeni in uno stato indipendente e sovrano che rappresentò nei secoli successivi l’aspirazione fondamentale del nazionalismo romeno. Alla sua morte (1601) la Valacchia e la Moldavia tornarono sotto l’impero ottomano, e per tutto il Seicento furono teatro delle lotte fra Austria, Russia, Polonia e impero ottomano per il possesso dei Balcani. La Transilvania, invece, conservò l’indipendenza sotto la dinastia di Giovanni Zápolyai (1535-1687) fino al 1691, quando fu annessa all’impero asburgico. Passò poi definitivamente sotto l’Ungheria nel 1713. Fra il 1711 e il 1821, anno della rivoluzione greca, l’influenza a Istanbul dei fanarioti, finanzieri e politici di origine greca, si estese anche alla Moldavia e alla Valacchia. Con Nicola Maurocordato essi riuscirono a diventare principi delle due regioni. Nel corso del XVIII secolo i principati danubiani continuarono a essere il terreno principale del conflitto austro-russo-turco per i Balcani: l’Austria incorporò la Bucovina (Moldavia settentrionale) nel 1775, mentre la Russia si fece cedere la Bessarabia con la pace di Bucarest del 1812 stipulata con i turchi.

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3. Dall’unione dei principati all’indipendenza del regno romeno (1821-81)

Fu la rivoluzione del 1821 a dare inizio in modo decisivo alla lotta romena per l’indipendenza dall’impero ottomano. Condotta da Tudor Vladimirescu e Alexandros Ypsilanti, che regnò a Bucarest fra il 1774 e il 1782, la rivoluzione riportò i principi autoctoni sui troni di Valacchia e di Moldavia. Con la pace di Adrianopoli del 1829 i principati ottennero il riconoscimento dell’autonomia da parte del sultano Mahmud II e furono posti sotto l’influenza della Russia zarista, che mise a governarli il conte Kiselëv. Questi avviò una politica di riforme sia in campo economico sia in campo politico (concessione della prima carta costituzionale; introduzione del parlamento; formazione di una milizia locale) che contribuì a realizzare l’unificazione legislativa e amministrativa dei due paesi. Negli anni successivi il movimento nazionale romeno si sviluppò ulteriormente, alimentato anche dallo scontento delle masse contadine per la politica riformista di Kiselëv, e sfociò nella rivoluzione del 1848 che si concluse ancora con un fallimento. Alla Moldavia e alla Valacchia fu imposto da Russia e Turchia, ora alleate, uno stretto controllo (1849), mentre la guerra di Crimea (1853-56) determinò nel 1854 l’invasione austriaca dei due principati, che durò fino al 1857. Con il congresso di Parigi del 1856 l’influenza russo-turca si ridusse, ma le rivendicazioni della Moldavia e della Valacchia per l’unità nazionale trovarono un aiuto determinante in Napoleone III, che nel 1859 appoggiò il colonnello Alexandru Ion Cuza (1859-66). Il 13 dicembre 1861 Cuza proclamò l’unione dei due principati nello stato della Romania, e ne assunse il titolo di principe con il nome di Alessandro Giovanni I. Fra il 1861 e il 1866 il sovrano stabilì una serie di riforme per modernizzare il paese. Secolarizzò i beni dei conventi dipendenti dai monasteri del monte Athos, che rappresentavano 1/5 del territorio; introdusse il Codice civile francese e istituì un nuovo codice penale; rese obbligatoria e gratuita l’istruzione pubblica; fondò l’Università di Bucarest; riorganizzò l’esercito. Per varare la riforma agraria, che doveva affrancare i contadini dal servaggio, effettuò un colpo di stato (14 maggio 1864) con l’appoggio del Partito dei “rossi” (liberali radicali). La legge rurale fu emanata il 26 agosto 1864. L’opposizione dei ceti conservatori lo costrinse ad abdicare il 23 febbraio 1866. Il suo successore, il principe Carlo di Hohenzollern (1866-1914), nipote del re di Prussia, designato dal governo provvisorio e sostenuto da Napoleone III, diede alla Romania una costituzione liberale avanzata, sul modello di quella belga del 1831. Nella guerra russo-turca del 1876-78 la Romania si schierò con la Russia, alleata della Serbia e del Montenegro, conseguendo la vittoria nella battaglia della Plevna (10 dicembre 1877). Nonostante la vittoria consacrasse l’indipendenza romena, proclamata dall’assemblea dei deputati il 21 maggio 1877, la conferenza di Santo Stefano per la pace (3 marzo 1878) e il congresso di Berlino (gennaio-luglio 1878) riconobbero alla Romania soltanto parte della Dobrugia, togliendole la Bessarabia a favore della Russia. Vennero però riconosciute ufficialmente l’indipendenza e la sovranità dello stato romeno, che fu proclamato regno nel marzo del 1881. Il 22 maggio 1881 il principe Carlo fu incoronato re con il nome di Carlo I e gli fu riconosciuto il diritto di successione ereditaria.

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4. Dalla fine dell’Ottocento alla caduta del regno (1881-1947)

Gli ultimi vent’anni del XIX secolo e gli anni precedenti la prima guerra mondiale furono caratterizzati dall’alternanza al potere dei liberali filo-occidentali di Ion Bratianu (1876-88), che avviò la Romania alla modernizzazione, e dei conservatori favorevoli agli imperi centrali, guidati da Petre Carp. In politica interna, la mancata soluzione della questione agraria e la sopravvivenza di rapporti semifeudali nelle campagne causarono numerosi tumulti contadini, come quello del 1888 e la rivolta del 1907, diretta contro ebrei e latifondisti e sedata soltanto con l’esercito. Lo sviluppo industriale fu favorito dall’introduzione del protezionismo, che non riuscì però ad alterare la sostanziale struttura agraria dell’economia romena. In politica estera, per paura dell’ingerenza russa, la Romania si avvicinò nel 1883 alle potenze della Triplice Alleanza. Rimasta neutrale nel corso della prima guerra balcanica (ottobre 1912), la Romania si schierò contro la Bulgaria nella seconda (giugno 1913). Con la pace di Bucarest del 10 agosto 1913 ottenne la Dobrugia meridionale, le regioni di Durostor e Caliacra. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Carlo I riuscì a salvaguardare la neutralità del paese. Con il suo successore Ferdinando I di Hohenzollern (1914-27) la Romania entrò in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa, che avevano promesso la restituzione della Bessarabia e della Transilvania, dichiarando guerra all’Austria-Ungheria il 27 agosto 1916. Dopo alcuni successi iniziali l’esercito romeno fu costretto a ritirarsi in Moldavia. Bucarest fu occupata il 6 dicembre 1916 e l’anno successivo la Romania accettò l’armistizio (8 dicembre 1917) con gli imperi centrali. A capo del governo fu posto Alessandro Marghiloman, di tendenze filotedesche, il quale firmò la pace di Bucarest (7 maggio 1918), con cui la Dobrugia meridionale tornava alla Bulgaria e l’Austria-Ungheria otteneva importanti modifiche dei suoi confini nei Carpazi. La sconfitta degli imperi centrali alla fine del 1918 annullò la “pace odiosa”. Crollato l’impero asburgico, i romeni della Bucovina, della Transilvania, del Banato e della Bessarabia proclamarono l’unione con la Romania, mentre truppe romene, a fianco delle potenze alleate, penetrarono in Ungheria e invasero Budapest (4 agosto 1919). Alla conferenza di pace di Parigi il movimento nazionale romeno, diretto dal liberale Ion I.C. Bratianu, vide riconosciuto il possesso della Bucovina (trattato di Saint-Germain, 10 settembre 1919), della Dobrugia meridionale (trattato di Neuilly, 27 novembre 1919), della Transilvania e di parte del Banato (trattato di Trianon, 4 giugno 1920), della Bessarabia (trattato di Parigi, 28 ottobre 1920). Nacque così la Grande Romania, che nel ventennio fra le due guerre mondiali seguì una politica internazionale di difesa dei propri confini e fu tra i membri fondatori della Società delle Nazioni. Con gli accordi di Monaco del 1938 (smembramento della Cecoslovacchia) il sistema di alleanze su cui il governo di Bucarest aveva basato la sicurezza del paese entrò in crisi. La massiccia influenza finanziaria tedesca e la potenza del Terzo Reich costrinsero la Romania a concludere con la Germania di Hitler un trattato di collaborazione economica (1939). Per quanto riguarda la politica interna, nel ventennio tra le due guerre la Romania conobbe profondi mutamenti politici e sociali. Nel 1921 fu varata la riforma agraria, mentre l’industria si sviluppò sino a incrementare la produzione del 56% nel 1928. Il Partito nazional-contadino di Iuliu Maniu diventò la principale forza politica del paese, anche se l’introduzione del suffragio universale maschile (novembre 1918) e la promulgazione di una nuova costituzione (marzo 1923) non valsero a dare alla Romania una piena democrazia. Il Partito nazional-liberale di Ion I.C. Bratianu non esitò, infatti, ad alterare i risultati delle elezioni del 1922 e a impiegare lo stato d’assedio e la censura (1922-27) per governare. Nel 1927, alla morte di Ferdinando I, il trono passò al nipote Michele I per la rinuncia al titolo e l’esilio forzato del principe ereditario Carlo nel 1925. Il Consiglio di reggenza, al governo dal 1927 al 1930 in attesa della maggiore età di Michele, scontentò il Partito nazional-contadino di Maniu, che appoggiò il ritorno di Carlo nel giugno del 1930. Sostenuto dall’esercito, egli fu incoronato re dal parlamento con il nome di Carlo II (1930-40). Salito al potere, il sovrano instaurò un regime personale, esautorando i partiti parlamentari e appoggiandosi al movimento filofascista di Corneliu Zelea Codreanu, la Guardia di Ferro, che legittimava l’uso della violenza politica. Il 29 dicembre 1933 la Guardia di ferro fu responsabile dell’assassinio del primo ministro Ion Duca che ne aveva decretato lo scioglimento. Espulsa dal nuovo primo ministro liberale George Tatarescu, si riaffermò nelle elezioni del 1937 con il 16% dei voti, grazie all’alleanza con il Partito nazional-contadino. Nel 1938 Carlo II emanò una nuova costituzione di tipo autoritario. Nel novembre dello stesso anno fece assassinare Codreanu e altri capi della Guardia di Ferro, procedendo alla formazione di un partito unico, il Fronte di rinascita nazionale, a sostegno del suo potere. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, la Romania si proclamò neutrale, mentre il ricostituito partito della Guardia di Ferro fece pressioni per un più stretto legame con il nazismo e assassinò il primo ministro Armand Calinescu, favorevole alla neutralità. Si arrivò così all’alleanza con la Germania nazista e a un nuovo trattato commerciale con Hitler (29 maggio 1940). Il 26 giugno 1940 la Romania dovette cedere all’Unione Sovietica la Bessarabia e la Bucovina settentrionale; in seguito all’arbitrato di Vienna (30 agosto 1940) fu invece costretta a trasferire all’Ungheria la Transilvania settentrionale e alla Bulgaria la Dobrugia meridionale. Sotto il peso della grave crisi politica causata dalle proteste per lo smembramento del territorio romeno, Carlo II abdicò in favore del figlio Michele I (6 settembre 1940) e pose a capo del governo il generale Ion Antonescu (1882-1946), esponente della Guardia di Ferro, che prese il titolo di conducator (equivalente a duce o a Führer). Antonescu aderì al Patto tripartito (23 novembre 1940) fra Germania, Giappone e Italia, e partecipò militarmente all’aggressione tedesca contro l’Unione Sovietica. Riconquistò così la Bessarabia (luglio 1941) e incorporò Odessa, che diventò la capitale di una nuova provincia romena, la Transnistria. La sconfitta dei tedeschi a Stalingrado e l’intensificarsi dei bombardamenti aerei angloamericani crearono un vasto malcontento popolare e costrinsero il Partito nazional-contadino e il Partito liberale a stabilire negoziati segreti con gli Alleati per una pace separata (1943). Il 23 agosto 1944 re Michele con un colpo di stato rovesciò il governo di Antonescu, che fu poi fucilato nel 1946 come criminale di guerra, e formò un governo di coalizione aperto a socialisti e comunisti. L’armistizio fu firmato a Mosca il 12 settembre 1944: sanciva l’impegno della Romania a combattere a fianco degli Alleati e di restituire la Bessarabia e la Bucovina settentrionale all’Unione Sovietica. Negli accordi presi a Mosca fra Churchill e Stalin (ottobre 1944) la Romania fu assegnata all’area d’influenza sovietica. Terminato il secondo conflitto mondiale, la Romania vide il graduale formarsi di un governo comunista, legittimato dalle elezioni del novembre 1946. L’anno successivo fu posto fuori legge il Partito nazional-contadino. Il 30 dicembre 1947 re Michele fu costretto ad abdicare e il giorno stesso fu proclamata la repubblica popolare romena. Con il trattato di pace (10 febbraio 1947) il paese riottenne la Transilvania settentrionale, riconoscendo la cessione della Bessarabia e della Bucovina settentrionale all’Unione Sovietica e della Dobrugia meridionale alla Bulgaria.

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5. La repubblica popolare di Ceausescu

Entrata a far parte del Comecon nel 1949, del Patto di Varsavia e dell’ONU nel 1955, la repubblica popolare romena, che si era data una costituzione modellata su quella sovietica (1948), si trasformò in repubblica socialista il 21 agosto 1965. Caratteristiche della repubblica furono un indirizzo nazionalista in politica interna ed estera e il mantenimento dell’indipendenza dall’egemonia sovietica. La difesa dell’autonomia politica romena divenne particolarmente esplicita quando salì al potere Nicolae Ceausescu, capo del Partito comunista, nel marzo del 1965. La nuova costituzione, emanata nell’agosto dello stesso anno, ribadì il principio della sovranità nazionale e della non ingerenza negli affari interni fra i vari paesi dell’Est, pur rimanendo nell’alveo dell’internazionalismo socialista. Ceausescu si sbarazzò progressivamente di tutti gli esponenti del vecchio regime, aggiungendo, già nel 1967, alla propria carica di segretario generale del Partito quella di presidente del Consiglio. Nello stesso anno stabilì rapporti diplomatici con la Germania Federale; non ruppe quelli con Israele dopo la guerra dei Sei giorni; si dissociò dalla repressione armata della primavera di Praga nel 1968 e, sempre in funzione antisovetica, visitò Pechino nel 1971. Fino al 1975 si registrò in Romania un tasso elevato di sviluppo economico, grazie all’espansione industriale e a una riorganizzazione della politica commerciale. Furono intensificate le relazioni con l’Occidente, che portarono, fra il 1971 e il 1973, all’ammissione del paese nel Fondo Monetario Internazionale, nella Banca mondiale e nel GATT, disattendendo analoghe iniziative comunitarie del Comecon. In politica interna, la tendenza riformista manifestatasi negli anni Sessanta si esaurì per lasciare spazio, a partire dal 1972, a un forte irrigidimento del potere centrale e alla supremazia del partito. S’imposero stretti controlli sulla cultura e sull’educazione in nome dell’ideologia ufficiale ispirata a un connubio di marxismo-leninismo e nazionalismo. Nel 1974 Ceausescu si fece eleggere presidente della repubblica, carica da lui stesso istituita. Nella seconda metà degli anni Settanta si consolidò la politica di autonomia da Mosca, attraverso l’ampio consenso dato all’eurocomunismo occidentale e la critica all’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979). Lo sviluppo economico subiva intanto un costante peggioramento, aggravato dai danni del terremoto del 4 marzo 1977. Il regresso fu causato anche da una politica economica contrassegnata da un eccessivo affidamento all’industria petrolchimica in un periodo di crisi energetica mondiale e dal forte indebitamento estero, che cominciò a crescere fra il 1980 e il 1981 in connessione con l’incremento degli scambi con l’Occidente. A nulla valsero il ricorso all’importazione e le misure di austerità, che fecero ulteriormente calare il tenore di vita della popolazione, già il più basso dell’Est europeo. In politica interna, cominciò a esprimersi il dissenso attraverso un gruppo di intellettuali guidato dallo scrittore Paul Goma. Nonostante le accuse di Amnesty International di violazione dei diritti umani (1978), il regime continuò a essere fortemente repressivo. Negli anni Ottanta si accentuò il potere autocratico e nepotista di Ceausescu, che creò un crescente “culto della personalità” e si circondò di parenti e familiari nei punti chiave del governo. La moglie del presidente, Elena, fu nominata membro dell’Ufficio politico permanente del Partito nel 1977 e primo vicepresidente del Consiglio nel 1980. In politica economica, per tutti gli anni Ottanta la priorità assoluta fu data all’eliminazione del debito estero, il cui annullamento fu annunciato nell’aprile 1989. Le spese militari furono congelate nel 1983, quando Ceausescu invitò tutti i componenti del Patto di Varsavia e della Nato a ridurre del 20% i fondi per gli armamenti. Furono intensificati i rapporti commerciali con gli altri paesi dell’Est, anche se il sistema economico rimase chiuso a qualsiasi apertura riformatrice della perestrojka sovietica. Alla fine degli anni Ottanta, grazie anche alla distensione dei rapporti Est-Ovest, non si verificarono più da parte romena vistose deviazioni dal Patto di Varsavia, mentre Mosca poté trarre vantaggi dai buoni rapporti diplomatici della Romania con la Cina e con Israele. Peggiorarono, invece, già a partire dal 1983-84, le relazioni con l’Occidente. La Romania dovette subire nel 1989 un’inchiesta della Commissione dell’ONU per i diritti umani, appoggiata dagli stessi paesi del “blocco comunista”. Nell’estate del 1989 i dissidenti politici si raccolsero intorno al Fronte per la salvezza nazionale (FSN), capeggiato da Ion Iliescu, un dirigente del Partito comunista emarginato dal regime. A metà dicembre del 1989, lo scontento per il perdurante razionamento dei generi alimentari e del riscaldamento e la protesta contro la politica della “sistematizzazione” (la distruzione di quasi 8000 villaggi per creare aree coltivabili, che comportò accuse di genocidio delle minoranze etniche), sfociarono nella rivolta di Timisoara, che presto si estese al resto del paese e ottenne l’appoggio dell’esercito. Gli scontri più duri si ebbero con la Securitate, la potente polizia armata segreta del regime. Fuggito da Bucarest il 22 dicembre, Ceausescu fu catturato e giustiziato con la moglie il giorno di Natale, dopo un processo sommario. Il 26 dicembre s’insediarono al potere il Consiglio del FSN, guidato da Ion Iliescu, e un governo presieduto dal giovane Petre Roman, membro del FSN, che indisse libere elezioni per il maggio 1990.

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6. La repubblica di Romania

Il 28 dicembre 1989 fu proclamata la repubblica di Romania. L’opera di ricostruzione si presentò difficile: i primi mesi del 1990 videro la scomparsa del Partito comunista e lo smantellamento delle strutture del vecchio regime. Si formarono diversi partiti, alcuni dei quali ripresero i nomi delle formazioni politiche esistenti prima della seconda guerra mondiale – Partito nazional-liberale, Partito dei contadini, Partito socialdemocratico. Questi partiti si opposero al FSN, accusato di mantenere una certa continuità con l’ex regime comunista e di egemonizzare i mezzi di comunicazione e gli apparati dello stato. Ciononostante, le elezioni del maggio 1990 sancirono la vittoria di Ion Iliescu, eletto presidente della repubblica, che riconfermò alla guida del governo Petre Roman. I partiti sconfitti incolparono il FSN di brogli elettorali e di intimidazioni. A Bucarest la Lega degli studenti universitari occupò la piazza dell’Università; il 13 giugno 1990 il tentativo di sgombero da parte delle forze dell’ordine portò alla decisione di mobilitare i minatori della valle del Jiu contro gli studenti. Risultato della protesta studentesca fu un nuovo governo di tecnici, guidato da Roman, che introdusse graduali riforme economiche volte alla liberalizzazione dei prezzi, alla privatizzazione della terra e delle imprese. La protesta dei minatori del settembre 1991 contro la disperata situazione economica portò alla caduta di Roman e alla sua sostituzione con Teodor Stolojan.


Il governo emanò una nuova costituzione, che introdusse il suffragio universale per l’elezione del presidente della repubblica. Le elezioni parlamentari e presidenziali del 27 settembre 1992 confermarono l’instabilità politica della Romania, fra la tensione al rinnovamento e il legame con il passato. Il Fronte democratico di salvezza nazionale di Iliescu diventò il partito di maggioranza relativa con il 27% dei voti, mentre largamente favorevole a Iliescu risultò l’elezione presidenziale, che lo riconfermò alla carica di presidente della repubblica. Il governo e il presidente resistettero inizialmente alla spinta verso l’introduzione del libero mercato, ma la necessità di ottenere aiuti e prestiti internazionali, di fronte a un deterioramento economico che produceva alti tassi di disoccupazione e una inflazione di oltre il 250%, li indusse infine a mutare atteggiamento e a introdurre riforme in senso liberistico.


Nel 1997 diventò presidente Emil Costantinescu del partito della Convenzione Democratica, di centrodestra, che favorì un netto miglioramento delle relazioni tra lo stato e la Chiesa ortodossa e un allentamento delle tensioni con la minoranza ungherese. Le persistenti difficoltà economiche indussero nel 1998 il primo ministro Victor Ciorbea alle dimissioni. I primi mesi del 1999 furono segnati dalle forti proteste e dalle agitazioni dei minatori.


Tra il 1998 e il 2000 si susseguirono in rapida successione quattro governi, l’ultimo dei quali, in carica dal dicembre del 1999, fu guidato dall’indipendente Mugur Isarescu. Nel 2000 Iliescu fu rieletto presidente mentre il Partito socialdemocratico conquistò la maggioranza parlamentare formando un governo guidato da Adrian Nastase. Nel 2004 il governo del paese passò nelle mani di una coalizione di centrodestra, che comprendeva al proprio interno anche il Partito democratico (PD) di Traian Basescu, che divenne il nuovo presidente. A fronte del netto miglioramento della situazione politica ed economica, nel 2004 la Romania entrò a far parte della NATO e nel 2007 dell’Unione Europea. Nel 2007 Basescu fu sospeso, per condotta anticostituzionale, dalla carica di presidente e sostituito ad interim da Nicolae Vacaroiu. In seguito a un referendum popolare a favore del suo reinsediamento, Basescu riassunse la carica e nel 2009 fu riconfermato.
Le elezioni parlamentari del 2008 portarono, dopo un’iniziale fase di incertezza, alla formazione di un governo di centrodestra guidato da Emil Bloc, leader del Partito democratico liberale (PDL).


Per fronteggiare l’aggravarsi della crisi economica, il governo varò una serie di drastiche misure di riduzione della spesa pubblica, che scatenarono violente proteste popolari. A fronte della crescente impopolarità, il premier Bloc fu costretto alle dimissioni nel febbraio 2012 e sostituito ad interim da Mihai Razvan Ungureanu, che proseguì la politica di austerità del suo predecessore. Sull’onda di nuove proteste, anche Ungureanu fu sfiduciato e, dopo poco, sostituito dal leader dell’Unione social-liberale (USL), Victor Ponta. Dopo aver intrapreso una nuova campagna volta ad allontanare Basescu dalla presidenza dello Stato, nelle elezioni parlamentari del dicembre 2012 l’USL riscosse la maggioranza dei consensi e Ponta fu così riconfermato alla guida del governo.

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