Roma medievale

Già ai tempi di Diocleziano (284-305) – e dunque ben prima della caduta dell’impero romano d’Occidente (476) – Roma aveva perduto il suo ruolo di capitale e ogni rilievo politico, pur continuando a conservare un notevole prestigio come sede del papato. Nonostante l’apparente atteggiamento di riverenza universalmente assunto verso la città sacra, Roma fu oggetto di aspre contese e di rovinose distruzioni, specie durante la guerra greco-gotica (535-553). Alla fine di questo lungo conflitto divenne sede di un duca bizantino dipendente dall’Esarcato di Ravenna. Nei due secoli seguenti fu sottoposta all’impero bizantino, al quale rimase fedele per evitare di cadere nelle mani dei Longobardi, i cui possedimenti (il ducato di Spoleto e quello di Benevento) praticamente la circondavano. In questa difficile situazione emerse, anche in campo temporale, la figura del suo vescovo, il pontefice, a cui i Romani, già tra la fine del secolo VI e gli inizi del VII, affidarono compiti e poteri pubblici (quali la gestione dell’annona, la cura degli acquedotti, l’amministrazione della giustizia, tutte incombenze completamente trascurate dai Bizantini). Il peso delle forze locali antibizantine e il conseguente aumento del potere papale si fecero sentire specialmente alla fine del secolo VIII, quando i papi, per difendersi dalle minacce dei Longobardi (che pure si erano convertiti al cattolicesimo) cercarono l’appoggio dei Franchi e ottennero da Pipino il Breve nel 756 la concessione (o la restituzione secondo la presunta donazione di Costantino) di ampi territori che vennero ad ampliare il Patrimonio di San Pietro, nucleo del futuro Stato della Chiesa. Roma divenne così capitale di uno stato regionale. Immediatamente vi scoppiarono innumerevoli e interminabili contrasti, dapprima tra i pontefici e i re franchi divenuti “patrizi” romani, poi tra il clero e l’aristocrazia, mentre la situazione della città peggiorava sia dal punto di vista della sicurezza territoriale (i Saraceni nell’846 distrussero le basiliche di San Pietro e di San Paolo), sia da quello dell’equilibrio politico interno: una congiura, animata dal duca Guido di Spoleto, terminò con la vittoria di quest’ultimo che nell’889 cinse a Pavia la corona di re d’Italia e nell’891 a Roma quella imperiale. Con la scomparsa nell’898 di Lamberto di Spoleto, figlio di Guido, Roma cadde nell’anarchia. Esplosero nuovi violenti contrasti tra le grandi famiglie aristocratiche desiderose di appropriarsi del papato, concepito come un principato laico. Fu un periodo di grande caos, punteggiato da assassini e dissolutezze, da scandali e gesti nefandi volti a conquistare la suprema potestà ecclesiastica. Sembrò liberare Roma da questa condizione di spaventoso disordine Alberico di Spoleto (figlio di quella Marozia che con il padre Teofilatto e la sorella Teodora aveva inabissato il papato in vicende scandalose e tragiche). Alberico, con il titolo di principe e senatore, resse la città (932-54) con fermezza, sensibile anche all’urgenza di una restaurazione morale e religiosa, suggeritagli da Oddone, abate di Cluny. Già il suo successore, il figlio che divenne papa con il nome di Giovanni XII, lasciò ripiombare Roma nel caos. Dopo un rapido susseguirsi di papi di pessima fama e di ancor peggiore condotta, con Benedetto VIII (1012-1024) assunse le redini del potere papale la famiglia dei conti di Tuscolo; costoro per un trentennio signoreggiarono nella città nella loro qualità ora di papi, ora di senatori e consoli dei Romani, comportandosi come luogotenenti degli imperatori Enrico II e Corrado II il Salico, così da suscitare la rivolta della famiglia rivale dei Crescenzi (1044), insofferenti di ogni ingerenza imperiale nell’elezione del pontefice. La situazione si intorbidì sempre più, finché l’imperatore Enrico III, fattosi conferire il titolo di “patrizio dei Romani”, pose termine allo scandaloso agitarsi delle fazioni aristocratiche romane, convocò concili, fece deporre papi indegni e avocò a sé il diritto di eleggere i pontefici (1046). Furono così da lui eletti al papato prelati tedeschi, risoluti a dare un nuovo impulso, proprio da Roma, all’azione di rinnovamento religioso che già si stava avviando per la trasformazione delle istituzioni ecclesiastiche. Alla morte di Vittore II (1057) seguì un’aspra contesa tra il clero riformatore e le grandi famiglie romane, contesa che ebbe fine con il Concilio Lateranense del 1059, dove venne stabilito che l’elezione del papa spettasse ai soli cardinali, escludendo ogni intervento dei laici, imperatore compreso. Il nuovo papa Niccolò II strinse subito alleanza con i Normanni, per evitare pericoli esterni. Dopo il fulgido periodo di Gregorio VII, dopo la fine della lotta per le investiture, ricominciarono i contrasti fra le grandi famiglie romane per appropriarsi dell’elezione del papa. Contro questa aristocrazia corrotta e desiderosa unicamente di potere, si sollevarono nel 1143 i ceti medi e medio-bassi della popolazione romana (mercanti, artigiani, piccoli possidenti) che costrinsero il papa ad abbandonare la città, occuparono il Campidoglio e vi insediarono un governo collegiale (il “Sacro Senato”), una forma di libero comune che trovò stimolo e forza nella predicazione di Arnaldo da Brescia: era una reazione al potere pontificio sia in ricordo della gloriosa tradizione di libertà repubblicana del popolo romano, sia per il vivo desiderio di un radicale rinnovamento religioso. Dopo l’arresto e la condanna al rogo di Arnaldo da Brescia, voluta da Federico I Barbarossa (sempre ostile a tutti i fermenti, politici e religiosi che minassero la sua autorità), il comune di Roma andò sempre più svuotandosi e indebolendosi. Alla fine del secolo XIII si verificarono nuovi scontri fra due grandi famiglie, i Caetani e i Colonna, e in questi sanguinosi disordini Roma perse il papato, che si trasferì ad Avignone. L’Urbe rimase nelle mani di un’aristocrazia rissosa e prepotente e di un clero mondano e corrotto. Fra i numerosi episodi di anarchia e di ribellione che si succedettero in quell’epoca a Roma e dintorni è significativa l’insurrezione popolare scoppiata a Roma nel 1347. Ne fu istigatore e capo Cola di Rienzo, di umili origini, ma nutrito di letture classiche, il quale intendeva restaurare una “repubblica romana”, di cui si intitolò “tribuno”. L’iniziativa di Cola ebbe immediato successo per i suoi programmi di pacificazione cittadina, ma era destinata a fallire (1354) perché gli mancavano sia le capacità di governo, sia le forze reali che lo sostenessero. Ai dilaganti episodi di disubbidienza o di aperta ribellione il papato cercò di porre rimedio con l’invio di legati provvisti di ampi poteri. Toccò all’abilità del cardinale Egidio Albornoz il merito di creare un’intesa tra papato e popolo romano, il quale finalmente riuscì a ottenere un riconoscimento giuridico dei suoi diritti (1358). In una Roma almeno apparentemente riassestata, nel 1377 tornò da Avignone Gregorio XI; ma, subito dopo, il Grande Scisma (1378) fece riesplodere nell’Urbe un nuovo periodo di violenze sanguinose. Dopo la fine dello Scisma (1420), Martino V Colonna, rientrato a Roma, raccolse alla sua corte artisti e umanisti e iniziò una splendida opera di ricostruzione urbanistica, perseguita anche dai suoi successori, dimostrando, se ancora ve ne fosse stato bisogno, che il papa era ormai più un principe politico e mondano che il capo della chiesa. Non solo le grandi famiglie continuarono infatti a combattere fra loro, ma soprattutto il popolo non riuscì più a realizzare nemmeno formalmente una qualche propria organizzazione cittadina efficiente. Nei decenni successivi la città fu turbata da violente sommosse: nel 1434 il movimento per la restaurazione della “libertà della repubblica romana”; nel 1453 la congiura di Stefano Porcari, ispirata anch’essa a ideali di libertà comunali. Erano quasi tutte sommosse provenienti dagli ambienti colti dell’Urbe, in particolare dall’umanistica Accademia Romana. I pontefici di questo ultimo scorcio del Medioevo si comportavano ormai unicamente come signori temporali, favorendo parenti e amici. In questa politica nepotistica si distinse particolarmente Sisto IV della Rovere, il cui nipote Gerolamo Riario fu tra i promotori della congiura dei Pazzi a Firenze (1478). Lo stesso pontefice coinvolse il papato nell’ingloriosa guerra di Ferrara (1482-84), alleandosi con Venezia contro gli Estensi per annettersi parte dei loro domini. Ugualmente discutibile fu la presa di posizione di Innocenzo VIII che, con il suo appoggio alla cosiddetta Congiura dei baroni contro gli Aragonesi a Napoli, coinvolse direttamente Roma e il territorio circostante in guerre ed eccidi. Alla sua morte (1492) la tiara pontificia venne acquistata dal ricchissimo cardinale spagnolo Alessandro Borgia, che prese il nome di Alessandro VI. Il nuovo papa, padre di cinque figli, condusse una politica spregiudicata, all’interno e all’esterno dello Stato della Chiesa e segnò quindi la fine della Roma medievale, privata ormai anche della parvenza di una libertà cittadina. [Narciso Nada]