Rinascimento e Umanesimo

Il termine Rinascimento (o rinascita, rinascenza) è usato in senso lato per indicare ogni periodo di recupero di valori o modelli positivi del passato dopo una parentesi di abbandono (rinascimento teodoriciano, carolingio, ecc.). In senso stretto indica il periodo compreso tra la seconda metà del XIV secolo e la fine del XVI, quando dapprima l’Italia e poi l’Europa sperimentarono un’intensa stagione di recupero della cultura classica latina e greca, dopo i secoli di quella che proprio allora iniziò a definirsi come “età di mezzo” (età medievale). Si trattò di una rinascita a livello letterario e artistico, che incise sui gusti e sui comportamenti delle classi dominanti dell’epoca, dando vita a un intenso mecenatismo e alla promozione di biblioteche, accademie e produzioni artistiche. Non operò invece significative trasformazioni a livello sociale, economico e politico, come dimostra la decadenza in questi settori dell’Italia, centro d’irradiazione della nuova cultura. I rapporti tra Rinascimento e medioevo furono fin dal XIX secolo oggetto di un acceso dibattito storiografico, tuttora aperto, sulla prevalenza degli elementi di frattura (J. Burckhardt) o di continuità (K. Burdach, J. Huizinga) nel passaggio tra le due età. Componente essenziale del Rinascimento fu l’Umanesimo, vale a dire l’esaltazione degli studia humanitatis (o humanae litterae), talvolta polemicamente contrapposti agli studia divinitatis medievali. Si ebbe così una febbrile attività di riscoperta, di analisi storico-filologica e di imitazione nello stile e nello spirito dei classici dell’antichità greco-romana, nei quali si trovarono i modelli perfetti di bellezza, compostezza e armonia e l’ideale dello sviluppo completo della personalità dell’uomo, la cui dignità fu riposta nella libertà e nella creatività. La coscienza di dar vita a un’epoca nuova, dopo le tenebre dei secoli precedenti, fu propria degli stessi protagonisti del periodo, a partire da Petrarca e Boccaccio. La culla dell’Umanesimo rinascimentale fu l’Italia nel periodo della trasformazione dei comuni in signorie regionali, processo concomitante con una serie di sconvolgimenti sociali ed economici che provocarono un irrigidimento della vita politica e un crescente divario di reddito tra le classi sociali. Dopo una prima fase di “umanesimo civile” (C. Salutati, L. Bruni, P. Bracciolini), in cui si affermò l’idea della superiorità della vita attiva e dell’impegno politico sulla sterile contemplazione fine a se stessa dei monaci medievali, nel corso del XV secolo gli intellettuali si allontanarono progressivamente dalla vita pubblica, ormai monopolizzata dai prìncipi, e dovettero scegliere se diventare cortigiani o appartarsi nella quiete di una cultura erudita, ma confinata in un mondo di pure idee e pure forme. La riscoperta del mondo classico, la volontà di recuperare la “libertà romana” nella moderna “libertà fiorentina”, si ridusse a ricerca di modelli imperituri di compostezza umana, di stile letterario, di bellezza artistica. La filologia fu la regina delle scienze del dotto umanista, impegnato nella ricerca di codici originali e di documenti autentici e nella loro interpretazione non più viziata dalla tendenza medievale ad assorbire tutto nella visione cristiana del mondo, ma fondata sul riconoscimento del carattere storicamente determinato di ogni opera. Si cercò così di ricostruire quanto più fedelmente possibile l’universo classico per meglio comprenderne e continuarne lo spirito. In tale contesto si collocò l’intenso studio della lingua greca, diffusa in Italia da intellettuali greci invitati dagli stessi umanisti (Salutati invitò M. Crisolora), oppure giunti per partecipare a consigli ecclesiastici (Ferrara-Firenze 1438-39) o riparati dopo la conquista turca di Bisanzio (1453). Gli aspetti più evidenti del ritorno all’antico furono il rifiuto dell’ascetismo e del teocentrismo medievali e la rivalutazione della dimensione mondana e naturale della vita, della voluptas (L. Valla), con posizioni che, se solo in pochi casi furono apertamente neopagane, configurarono sempre il rapporto col sacro in termini ben diversi dai secoli precedenti. L’aspirazione al ritorno alle origini, arricchita e rinforzata dalla lettura filologica dei testi sacri, si ebbe anche nell’umanesimo cristiano (Erasmo da Rotterdam), la cui proposta di un cristianesimo rigenerato esercitò un’influenza profonda sia nel mondo cattolico sia in quello riformato e protestante. La pedagogia assorbì l’ideale umanistico di sviluppo integrale e armonioso della personalità con gli esperimenti di Vittorino da Feltre e di Guarino Veronese. La letteratura cercò il modello di perfezione formale in ogni genere, individuandolo in Cicerone per la prosa, in Virgilio per l’epica, in Orazio per la lirica. In ambito filosofico, vi fu la ripresa di numerose filosofie greche (stoicismo, epicureismo), ma soprattutto di Platone, il pensatore antico nel quale gli umanisti (come Marsilio Ficino, fondatore a Firenze dell’Accademia platonica, 1463) si rispecchiarono maggiormente, trovandovi l’impulso alla trascendenza e alla vita spirituale e la ricerca della presenza di tracce del divino e dell’ideale nelle cose del mondo e nell’uomo. Anche nel linguaggio saggistico l’umanesimo cercò di sostituire i moduli faticosi e aspri del sillogismo scolastico con uno stile eloquente e piacevole. La storiografia si arricchì dello strumento filologico, che consentì scoperte di rilievo come quella della falsità della donazione di Costantino, per merito di L. Valla. L’umanesimo italiano fu un fenomeno prettamente urbano e trovò i propri centri nelle città principali come la Firenze medicea (dove operarono Salutati, Bruni, Bracciolini, Ficino, Pico della Mirandola, Poliziano, L.B. Alberti), la Milano sforzesca (Leonardo), Roma (Pomponio Leto, Flavio Biondo, L. Valla), Napoli (il Panormita, G. Pontano, Sannazaro), Venezia, ma anche in città minori (Urbino, Ferrara, Mantova, Parma). Il Rinascimento non si limitò agli studi umanistici e alla letteratura, ma si manifestò anche nelle arti, il cui sviluppo fu favorito dal mecenatismo di papi, sovrani e signori, intenzionati a sottolineare il proprio prestigio con la magnificenza dei palazzi, delle chiese, delle torri e dei castelli. Il carattere cittadino della nuova civiltà favorì anche studi e progetti per la costruzione della città ideale (L.B. Alberti). Le arti figurative si purificarono di ogni residuo della “barbarie” medievale (bizantina e gotica), proseguendo sulla via tracciata da Giotto, e andarono alla ricerca della perfezione formale, cercata nell’armonia matematica tra le parti. La pittura, che si arricchì della scoperta della prospettiva, la scultura e l’architettura vissero una stagione di intenso splendore grazie all’attività di numerosi artisti, tra cui Brunelleschi, Masaccio, Donatello, L. B. Alberti, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Bramante, Botticelli, Antonello da Messina, Piero della Francesca, G. Bellini, Tiziano, Giorgione, Correggio e, tra gli stranieri, i fratelli Van Eyck e Dürer. La musica rivitalizzò forme popolaresche e profane (strambotti, frottole, ballate), raggiungendo i risultati migliori con il madrigale polifonico, il cui sommo maestro fu Giovanni Pierluigi da Palestrina. Dalla seconda metà del XV secolo si ebbe la diffusione europea dei valori umanistici e rinascimentali, favorita dall’uso del latino, lingua internazionale dei dotti, e dalla recente invenzione della stampa a caratteri mobili, che moltiplicò rapidamente i testi in circolazione. Tipografie come quella veneziana di A. Manuzio furono un veicolo fondamentale delle nuove idee. L’umanesimo rinascimentale costituì così l’elemento di coesione di un’Europa che stava per consumare con la Riforma protestante la funzione unificatrice della religione: la civiltà europea si trasformò da respublica christiana in respublica litterarum. I nuovi modelli culturali penetrarono in numerosi paesi sia occidentali (Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Olanda), sia centro-orientali (Austria, Polonia, Ungheria, Boemia), trovando in essi protagonisti di tutto rilievo (Erasmo da Rotterdam, Colet, Vives, Melantone, Lefèvre d’Étaples). L’Italia, col fascino della sua “dolcezza del vivere”, esercitò la massima suggestione culturale sugli altri paesi paradossalmente proprio nel periodo del suo indebolimento politico-economico e della perdita dell’indipendenza: tra la discesa di Carlo VIII di Francia (1494) e la pace di Cambrai (1529) la civiltà rinascimentale italiana raggiunse infatti la sua piena maturità (Machiavelli, Ariosto, Michelangelo, Leonardo). Il XVI secolo vide il passaggio dell’umanesimo dallo slancio entusiastico originario all’elaborazione sistematica e alla codificazione dei propri princìpi. In poesia si teorizzò l’imitazione, riprendendo Aristotele, e le Rime di Petrarca furono indicate come l’esempio di perfezione linguistica e formale da imitare. Di ogni genere letterario (poema eroico, poema romanzesco, dramma pastorale) furono stabilite le regole, come quella aristotelica delle tre unità per la tragedia. Si cercò di tradurre l’ideale umanistico della personalità armoniosa in un sistema di regole, con il Galateo di Giovanni della Casa e col Cortegiano di B. Castiglione. Poco per volta il culto delle regole formali si irrigidì fino a scadere nel manierismo di numerosi autori della seconda metà del secolo. Per questo non mancarono reazioni anticlassicistiche come quella di Pietro Aretino e dei suoi numerosi seguaci. Un ampliamento di orizzonti si ebbe invece in campo filosofico, con il rinnovato interesse per i fenomeni naturali, che, pur nella persistenza di metodi e intenti ancora prevalentemente prescientifici (magici, astrologici, alchimistici), pose le premesse della rivoluzione scientifica del secolo successivo. Una prima manifestazione della scienza moderna si ebbe già in età rinascimentale con la rivoluzione copernicana in astronomia, che impose anche una risistemazione complessiva della concezione del cosmo e del posto dell’uomo al suo interno (G. Bruno). Nella seconda metà del XVI secolo la civiltà rinascimentale iniziò progressivamente a esaurirsi a causa della perdita della libertà di pensiero e spirituale prodotta dalla Controriforma nei paesi cattolici e dal fanatismo religioso in alcuni paesi protestanti. È significativo che tra le opere vietate dall’Indice dei Libri Proibiti (1559) ci fossero i testi di Boccaccio, Machiavelli ed Erasmo, monumenti di un’epoca laica e libera che si voleva ormai dichiarare conclusa. [Sergio Parmentola]