archeologia

Disciplina che studia le forme della civiltà umana attraverso il reperimento, l’analisi e la conservazione di manufatti della vita materiale. La sua specificità è data dal fatto che essa non ha a che fare con documenti scritti. Attualmente per l’archeologia sono fondamentali conoscenze di tipo tecnico, dai procedimenti chimico-fisici che permettono la datazione dei reperti allo studio geologico dei terreni di scavo, fino all’indagine di aerofotogrammetria. Questa complessità di dimensioni ha portato allo sviluppo di specializzazioni, nelle quali l’area d’intervento e il periodo storico oggetto della ricerca determinano problematiche specifiche. L’archeologia classica si occupa delle antichità greche e romane ed è il settore archeologico di più antica tradizione. Le si affiancano le archeologie del Vicino, Medio ed Estremo Oriente e l’archeologia precolombiana. Al loro interno ciascuna di esse ha poi molteplici sottosettori particolari. Dal punto di vista cronologico hanno una propria individualità scientifica la paleontologia, che si occupa dell’ampio campo dei resti preistorici, l’archeologia medievale e l’archeologia industriale, che si occupa della conservazione delle tracce della rivoluzione industriale. Già praticata nell’antichità sotto forma di scavo per la ricerca di oggetti artistici da collezionare, l’archeologia si sviluppò nella sua forma moderna nel contesto della scoperta umanistico-rinascimentale del passato classico. Epigrafi, monete, resti di statue ed edifici iniziarono nel secolo XV a essere descritti, copiati e conservati in collezioni, per lo più private. Esauritosi lo slancio della scoperta delle forme del mondo antico con la fine del XVI secolo, l’archeologia visse una nuova fase di interesse nel corso del secolo XVIII, grazie allo scavo sistematico delle città vesuviane di Ercolano, Pompei e Stabia e all’inizio dei viaggi in Grecia, con la relativa scoperta dei resti dell’età classica. Nel corso del XVIII secolo Winckelmann attribuì allo studio delle antichità classiche la dignità di analisi di una perfezione estetica atemporale e condizionò per lungo tempo l’approccio alla ricerca archeologica come ricerca di manufatti artistici. All’inizio dell’Ottocento l’attività degli archeologi si allargò dai territori dell’Italia e della Grecia classica all’intero bacino mediterraneo, dalla Mesopotamia all’Egitto, che fu oggetto di rinnovato interesse. L’espansione coloniale in Africa e in Asia nella seconda metà del XIX secolo pose su nuove basi le campagne di scavo, offrendo un ampio sostegno finanziario e organizzativo e facendo della ricerca archeologica uno dei campi dell’affermazione dei grandi stati nazionali europei. Spiccano in questa fase di tumultuosa attività gli scavi condotti a partire dal 1871 dal tedesco Schliemann per riportare alla luce le città di Troia e di Micene. Nel corso dell’Ottocento si elaborarono e sperimentarono metodi di scavo basati sulla successione cronologica degli strati in cui si trovano disposti i resti (metodi che furono poi abitualmente praticati nel corso del XX secolo). I risultati degli scavi vennero sistematicamente esposti nei grandi musei statali delle capitali europee, che assolvevano così in modo crescente al compito di definire un’identità nazionale nell’ambito della storia universale. Il legame tra archeologia e storia dell’arte è stato assai forte e la valutazione estetica ha guidato la scelta e l’analisi dei reperti. L’orientamento neoclassicista insito in questa concezione dell’archeologia è stato messo in discussione nel corso del XX secolo da quelle teorie che hanno posto in primo piano il valore artigianale e funzionale del manufatto rinvenuto, da valutare nel contesto culturale all’interno del quale è stato prodotto. Alla luce di questa revisione dei criteri orientativi dell’attività archeologica hanno acquisito preminenza le problematiche tratte dalla storia sociale e dall’antropologia, nonché la tendenza a trattare i reperti in modo seriale, grazie anche a un intenso uso delle tecniche informatiche.