repubbliche marinare

Il positivo sviluppo del mondo occidentale, al volgere dell’alto medioevo in netta ripresa demografica ed economica, favorì l’affermarsi nella penisola italica di città quali Amalfi, Pisa, Napoli, Genova, Venezia, Ancona, che dovettero la loro prosperità ai traffici mercantili; città, tutte, accomunate dalla storiografia più tradizionale sotto la voce “repubbliche marinare”. Nel corso dei secoli IX-X mentre la penisola italica, territorialmente frammentata e con i suoi ordinamenti pubblici in via di rapida dissoluzione, sperimentava le incursioni delle flotte saracene, non più contenute dall’impero bizantino e favorite anche dalla conquista islamica della Sicilia, alcuni centri urbani, periferici e marginali sul piano politico, riuscirono a svilupparsi come autonomi nuclei di potenza navale con peculiari forme istituzionali e proprie capacità economiche. Privilegiate posizioni costiere, povertà del retroterra, necessità di fronteggiare la pirateria saracena, oltre che persistenza talvolta di tradizioni romano-bizantine, tutto ciò fu alla base dello sviluppo delle repubbliche marinare. Così anche per contenere le incursioni arabe nell’Adriatico, oltre che per frenare l’aggressiva pirateria di croati e di narentani, Venezia fu in un certo senso costretta a coordinare attorno a sé le attività dei centri un tempo appartenenti all’esarcato di Ravenna, e del pari a ricercare l’appoggio delle località costiere istriane e dalmate, località che almeno teoricamente appartenevano al regno italico o sottostavano al dominio bizantino. Parimenti nel Mezzogiorno italico Gaeta, sebbene dipendente dal ducato longobardo di Napoli, conobbe l’affermarsi di un ceto dirigente locale che, grazie all’appoggio dell’impero di Costantinopoli e della chiesa romana, trasse dai possessi fondiari i mezzi per armare flottiglie destinate alla difesa del territorio. Sin dal secolo IX la città fu così in grado di sviluppare una rilevante attività mercantile mentre le sue strutture istituzionali si andavano evolvendo nella costruzione di un’autonoma res publica. Riparata, a differenza di Venezia, non da zone lagunari bensì da dirupi e da balze difficilmente valicabili, ma al pari di quella beneficiando della lontana protezione di Bisanzio, Amalfi poté intessere con l’Oriente cristiano e con il mondo islamico una florida e ampia trama di relazioni commerciali (X secolo). Lo sviluppo politico e mercantile di Pisa e di Genova dipese piuttosto dall’intensificarsi dell’offensiva cristiana contro i saraceni. Pisa, che durante il regno longobardo conservava ancora una colonia di romei – e cioè di bizantini – penalizzata dalla deviazione verso Lucca della strada per Roma e minacciata inoltre dagli arabi, visse mediocremente grazie allo sfruttamento delle sue paludi salate sino a che nel secolo XI le prime spedizioni navali, dirette in Corsica e alle Baleari, in Sicilia, al Maghreb, non permisero ai suoi cittadini di intraprendere una proficua attività mercantile. Analoga fu la sorte di Genova che, sopravvissuta ai longobardi, esclusa dagli itinerari attraverso l’Appennino ligure, priva di un retroterra sufficientemente ricco e costantemente minacciata dai saraceni, vide i suoi maggiorenti unirsi ai pisani contro gli arabi (XI secolo). Sebbene formalmente dipendenti, da qualche potere superiore, tali città furono tuttavia in grado di elaborare forme di autonomie politico-istituzionali non diverse da quelle che in seguito contraddistinsero i comuni italiani, da questi distinguendosi per precocità di sviluppi istituzionali e per ricchezza di attività marinare. Fuori dal tessuto feudale, esposte alle incursioni dei musulmani e dei normanni, così come alle razzie dei pirati illirici, esse costituirono flotte che, inizialmente destinate alla difesa, si trasformarono in seguito, durante il XII secolo, in efficaci strumenti di una vasta azione mercantile lungo tutto il bacino mediterraneo fino al Mar Nero. Le flotte di Venezia e di Genova, di Gaeta e di Pisa, minacciate dai pirati e in balia delle frequenti tempeste, esitavano ad affrontare il mare aperto preferendo la navigazione costiera. E soprattutto si servivano delle numerose isole mediterranee come utili scali intermedi dove vendere e acquistare le mercanzie più svariate, tornando poi in patria cariche di grano e di vini pregiati, di spezie e di stoffe, oltre che di pelli e di merci preziose. I rappresentanti ufficiali in Levante di tali città – consoli e baiuli – provvedevano agli alloggiamenti e alle riparazioni dei danni subiti dalle navi, contribuivano a organizzare le scorte armate per i convogli mercantili e, soprattutto, controllavano con le autorità del luogo i dazi sulle merci importate o esportate. Mediante l’acquisizione di particolari privilegi economici e sfruttando le opportunità offerte dal movimento crociato, Genova e Venezia, riuscirono così nel secoli XIII-XV ad ampliare in modo straordinario i propri domini in Oriente. E in effetti la repubblica di San Marco, in specie dopo la conquista crociata di Costantinopoli nel 1204, organizzò i suoi possedimenti secondo forme istituzionali e con modalità di sfruttamento economico non dissimili da quelle proprie dei moderni sistemi coloniali. Quanto a Genova, distrutta la gloriosa marineria di Pisa, lottò a lungo e con alterne fortune con Venezia per l’egemonia militare ed economica in Levante, facilitata in questo dal sorgere della Maona: associazione di privati cittadini costituitisi allo scopo di condurre azioni di guerra o di conquista a vantaggio proprio e del comune. Illustre tra tutte fu la Maona di Chio, finanziata dal Banco di San Giorgio, da privati cittadini e da alcuni ordini religiosi. Se il declino nel secolo XIII dell’autocrazia bizantina aveva favorito il consolidarsi degli imperi coloniali di Genova e di Venezia, a partire dall’ultimo quarto del secolo XV la loro reciproca e continua rivalità, la pirateria dei catalani e soprattutto l’avvento della potenza ottomana causarono un lento quanto inesorabile declino della potenza in Levante di tali città. Sul finire del Quattrocento, consolidatisi ormai gli stati territoriali europei e dilaniata l’Italia dalla discesa del re francese Carlo VIII, mentre i turchi rinnovavano gli attacchi nel Mediterraneo sino a impadronirsi, seppure per breve tempo, di Otranto (1480-82), i due comuni italiani, reciprocamente indeboliti dal protrarsi della guerra di Chioggia (1378-81), non riuscirono a contrastare con efficacia tali temibili avversari. Nondimeno Genova, sebbene espulsa dal Levante, divenne per circa un secolo (1557-1627) uno dei più attivi centri finanziari d’Europa, anche grazie al suo controllo sulle fiere di Piacenza. Venezia per contro continuò a combattere con alterna fortuna contro l’impero ottomano vedendo sempre più ridursi, in seguito alla perdita dell’Eubea (1470), delle isole dell’Egeo e di Cipro, il proprio impero coloniale, limitato ormai, dopo la perdita di Candia (1669), alle isole ioniche e a pochi centri costieri dalmati. I commerci ormai rarefatti, la presenza nel Mediterraneo delle flotte di Francia, Inghilterra e Olanda, la perdita dell’impero coloniale in Levante, l’accresciuta aggressività della pirateria turca causarono la lenta agonia politica e mercantile di Genova e della sua antica rivale, Venezia, che, costretta a ridurre interessi e aspirazioni, riuscì solo nelle arti a ritrovare un ultimo momento di splendore. [Walter Haberstumpf]