relazioni internazionali

  1. Delimitazione del campo
  2. Principi di interpretazione
  3. La storicità delle relazioni internazionali
  4. Le relazioni internazionali oggi
1. Delimitazione del campo

L’espressione “relazioni internazionali” indica al tempo stesso l’insieme dei rapporti che gli stati sovrani intrattengono regolarmente tra loro e la disciplina scientifica che riflette sul significato di tali rapporti. Il termine compare per la prima volta – a quanto è dato sapere – nella Lezione 57 del Corso di filosofia positiva (1842) di Auguste Comte e può essere considerato come la derivazione di un’altra formula di poco precedente, quella di “diritto internazionale” utilizzata da Jeremy Bentham nel 1789 per indicare ciò che fino ad allora era stato chiamato, secondo la formula latina classica, “diritto delle genti”. Occupandosi in prospettiva storiografica, giuridica e politologica dell’immensa problematica delle interrelazioni tra gli stati, la riflessione sulle relazioni internazionali si è prevalentemente concentrata sul tema della guerra, che della vita di relazione internazionale rappresenta indubbiamente l’evento centrale, non soltanto per la gravità delle conseguenze che produce, ma anche (se non di più) per il tentativo che gli stati tendenzialmente fanno per evitarla pur senza perdere i frutti che dal combatterla potrebbero discendere. In termini più generali, si potrebbe argomentare che le relazioni internazionali non siano altro che la lotta per la conquista del potere internazionale che si sviluppa tra gli stati sulla base di una serie di condizioni quali le dimensioni statuali, la ricchezza (in risorse naturali o umane), la collocazione geografica (insulare o continentale), l’appartenenza a una certa rete di alleanze, e così via. Il prodotto di tale lotta per il potere è la costituzione di un qualche “ordine internazionale”.

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2. Principi di interpretazione

Facendo perno sulla guerra, si sono sviluppate fin dall’inizio del XX secolo (dacché ha incominciato a consolidarsi un interesse scientifico per questa dimensione della realtà) due principali scuole di pensiero, dette “idealistica” l’una e “realistica” l’altra, le quali offrono una concezione globale della natura dei rapporti internazionali. L’idealismo (che non ha alcun nesso con la scuola filosofica omonima, e tra i principali rappresentanti del quale si contano personalità politiche come il presidente degli Stati Uniti T. W. Wilson, e diversi studiosi britannici come A. Zimmern e L. Woolf) ipotizza che le regole di comportamento degli stati siano dello stesso tipo di quelle che intercorrono tra gli individui (la natura dei quali esso immagina spontaneamente pacifica e consensuale, per quanto possa venir turbata da incomprensioni e conflitti), cosicché la configurazione normale dei rapporti tra gli stati dovrebbe essere pacifica e la guerra non rappresenterebbe altro che un incidente, superato il quale l’armonia riprende il sopravvento. Concependo in tal modo la vita internazionale, gli idealisti giunsero ad immaginare che quelle formule che avevano già consentito ai singoli stati di darsi un assetto civile e ordinato potessero essere estese, mutatis mutandis, all’insieme delle loro relazioni. Così, anche alla luce dei progressi che negli ultimi decenni del XIX secolo aveva fatto l’idea di organizzazione sovra-nazionale (dando vita a grandi organismi quali la Croce rossa internazionale, o convincendo gli stati a ricorrere a forme di arbitrato giudiziale in luogo del conflitto e a sostanziali innovazioni giuridiche in fatto di protezione della persona umana nel corso dei conflitti), gli “idealisti” si fecero promotori di quel principio di governo planetario che fu incarnato, per quanto ingenuamente e sfortunatamente, nella Società delle Nazioni, costituitasi nel 1919. Mentre questa prima impostazione coniuga tra loro le due dimensioni della politica e del diritto collocandosi nel solco tracciato dal filosofo Immanuel Kant nei suoi molteplici scritti dedicati ai temi internazionalistici, l’impostazione realistica intreccia alla politica il diritto come la semplice cristallizzazione dello stato dei rapporti di forza. La teoria realistica (che ha le sue radici nel pensiero di grandi classici quali Tucidide, Machiavelli e Hobbes e il suo più significativo rappresentante novecentesco in H.J. Morgenthau) intravvede nella natura dell’uomo qualche cosa di esattamente contrario a ciò che vi scorgevano gli idealisti: l’egoismo, l’aggressività, il desiderio di possesso e di dominio. Stati costituiti da individui animati da tali desideri non potranno, a loro volta, che riprodurre le stesse ambizioni su scala molto più ampia. Ecco così che la vita internazionale diventa l’arena anarchica della competizione per il massimo potere possibile, regionale, continentale, planetario. La guerra, a sua volta, invece che un intervallo tra due periodi pacifici, diviene la condizione permanente della vita degli stati, per il combattimento nella quale essi devono prepararsi al meglio, dal punto di vista militare, e rispetto alla quale l’unico temperamento possibile è rappresentato dal verificarsi di provvisorie e instabili situazioni di equilibrio. Le applicazioni analitiche che derivano da queste due impostazioni non potrebbero essere più divergenti: mentre l’idealismo propone meccanismi integrativi e si sforza di ridurre l’indiscriminatezza della forza militare dei singoli stati, il realismo considera invece che a ciò non debba esistere alcun limite, che non farebbe altro che esasperare la spontanea propensione alla potenza del singolo stato.

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3. La storicità delle relazioni internazionali

Per quanto collocate su versanti opposti, le teorie realistiche e quelle idealistiche si rifanno a una dimensione della realtà che, propriamente parlando, interviene sulla scena storica dell’umanità all’incirca alla fine del XV secolo, quando assumono una configurazione definita i primi grandi stati moderni, come la Spagna, l’Inghilterra e la Francia. Mentre tuttavia le relazioni internazionali dell’inizio dell’era moderna coinvolgevano in sostanza non più di una dozzina di stati sovrani e autonomi, oggi il numero dei paesi regolarmente riconosciuti dall’ONU supera le 200 unità. Come si spiega una così imponente trasformazione? La vicenda della ridefinizione continua dei limiti degli stati ha il suo particolare e specifico motore nella guerra, la vittoria o la sconfitta nella quale ha segnato i destini dei popoli nella storia. E poiché non tutte le guerre sono uguali o hanno la stessa importanza, è possibile basarsi proprio su un particolare tipo di guerra, la “grande guerra” (generale, centrale, costituente, ecc., secondo le diverse linee interpretative), per proporre una periodizzazione delle relazioni internazionali che, al termine di ciascuna delle sue grandi guerre, ha visto accrescersi il numero degli stati e quindi la complessità dell’intreccio politico internazionale. La prima grande guerra costituente (di un principio di ordine, destinato a una qualche durata nel tempo, contraddistinto dalla sua accettazione anche da parte di quegli stati che non avessero direttamente partecipato al conflitto) è quella che si svolse a partire dal 1521 tra l’imperatore e re di Spagna Carlo V e il re francese Francesco I, e che permise alla Spagna di assurgere al massimo potere mondiale (per il tempo). Ma l’ordine voluto dagli Asburgo era destinato a durare meno di un secolo, cioè fino allo scoppio della guerra dei Trent’anni (1618-48), al termine della quale la carta geografica europea conobbe il suo primo consolidato assetto, corredato anche dalla produzione di un primo, per quanto primitivo, corpus di norme di diritto internazionale pubblico. Poco più breve il periodo successivo, il cui ordine si infranse nella crisi prodotta dalla guerra di Successione spagnola (1701-1714), che vide coinvolte tutte le grandi potenze del tempo, così come sarà per il successivo grande conflitto destinato a sconvolgere, di nuovo esattamente dopo un secolo, l’intera Europa, con le guerre mosse dalle coalizioni antinapoleoniche alla Francia post-rivoluzionaria. L’evento fu tanto importante da permettere l’ingresso sulla scena delle relazioni internazionali del concetto e della realtà della nazione, che a sua volta fu poi l’elemento scatenante di una serie incessante di nuovi conflitti la cui spinta sembrò apparentemente arrestarsi con l’ondata della decolonizzazione che tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta del XX secolo fece passare il numero degli stati sovrani (che nel 1815 era di 23) da 89 nel 1957 a 122 nel 1964. Ma a ciò non si sarebbe giunti se non dopo due nuovi immensi eventi bellici (i più grandi che la storia abbia conosciuto), la prima e la seconda guerra mondiale (1914-18 e 1939-45), da non pochi storici considerate come l’una la continuazione dell’altra, tanto che nella loro unitarietà esse potrebbero essere indicate come la quinta consecutiva ripetizione di un grande conflitto generale scatenatosi all’inizio di un secolo.

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4. Le relazioni internazionali oggi

Dopo che la seconda guerra mondiale, con gli abissi di violenza che ha raggiunto, ha posto al centro dell’attenzione dell’umanità il problema della guerra e delle possibilità di evitarla, l’interesse scientifico per le relazioni internazionali è cresciuto enormemente. A ciò si deve aggiungere che tra le più importanti conseguenze dell’ultimo conflitto mondiale c’è stata la conclusione del processo di espansione delle relazioni internazionali, giunte a coinvolgere l’intero pianeta, organizzato ormai quasi tutto per stati sovrani, in una rete di interdipendenze politiche, economiche, sociali e culturali che, per il singolo stato, sono divenute inestricabili. In questa nuova ottica, particolare attenzione è stata rivolta alle forme di organizzazione, largamente originali, che si sono sviluppate nel corso della cosiddetta guerra fredda, il periodo dominato dall’ostilità totale e dichiarata tra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica. E si sono moltiplicati, di conseguenza, gli studi sulla struttura bipolare di quello che è invalso l’uso di chiamare il “sistema internazionale”: espressione con la quale si concettualizza l’insieme dei rapporti tra gli stati come se fosse retto da un unico e unitario principio di ordine, rifacendosi all’ipotesi che la struttura di interdipendenza tra tutti i soggetti (stati, ma anche non-stati: le organizzazioni internazionali governative sono ormai migliaia, e alcune hanno un’importanza centrale) sia talmente globale e rigida da impedire a qualsivoglia soggetto di agire in una condizione di indipendenza e autonomia assoluta, che era invece l’immagine originaria (anarchica) delle relazioni internazionali, da cui abbiamo preso le mosse. Si deve infine aggiungere che la raffigurazione bipolare del sistema internazionale si è trovata imprevedibilmente – anche per la condizione pacifica in cui ciò è avvenuto – dissolta nella temperie straordinaria del nuovo “ottantanove”, che ha portato alla scomparsa dell’Unione Sovietica, alla dissoluzione del suo impero (1989-91) e dunque a una nuova configurazione del sistema internazionale, il quale presenta tuttora una fisioniomia dalle linee fortemente incerte, che rimanda essenzialmente al prepotente emergere di nuove potenze mondiali – prima tra tutte la Cina – alla nuova minaccia rappresentata dal terrorismo globale, al controverso assetto dell’area nordafricano-mediorientale e, infine, alle incognite legate al ruolo che, dopo la stagione dell’impegno riluttante dell’amministrazione Clinton e la stagione dell’unilateralismo dell’amministrazione Bush, intenderanno assumere nel prossimo futuro gli Stati Uniti. [Luigi Bonanate]

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