regionalismo

Il termine “regionalismo” nasconde in sé un margine di ambiguità semantica (si è fatto notare che si dovrebbe parlare di “regionismo” – da “regione” – più che di “regionalismo”), che si riflette nel suo significato. Infatti, nell’Ottocento e nel Novecento fino all’approvazione e alla realizzazione dell’istituto regionale, in Italia prevaleva l’idea che il regionalismo denotasse un “eccessivo” attaccamento ai valori e agli interessi locali della propria regione d’appartenenza (in ciò simile al termine “municipalismo”). Attualmente si è imposto il significato dato storicamente dal movimento regionalista (forte in particolare negli anni iniziali del primo e del secondo dopoguerra), indicante semplicemente la tendenza di coloro che sono favorevoli all’istituzione delle regioni e alla loro autonomia, anche politica, dal centro. A partire dagli anni Novanta si rafforzò in Italia la posizione cosiddetta “neoregionalista”, implicante cioè l’allargamento e il consolidamento dell’autonomia politica regionale ai limiti del federalismo, cui hanno fatto seguito nei primi anni Duemila due diversi progetti di riforma costituzionale. Il primo, approvato da un referendum popolare ed entrato in vigore nel novembre del 2001, ribaltò l’ordine di preminenza nella formazione delle leggi, attribuendo allo Stato la competenza specifica su alcune materie e lasciando alle regioni la cosiddetta competenza residuale su tutte le altre. Il secondo progetto di riforma, che prevedeva, tra le novità più importanti, l’istituzione di un Senato federale volto a rappresentare gli interessi regionali, fu invece respinto da un referendum popolare tenutosi nel giugno del 2006.