referendum

Il termine “referendum”, di derivazione latina (propriamente significa “da riferire”), indica la consultazione popolare diretta al fine di approvare o respingere specifiche questioni. Il referendum si distingue dal plebiscito poiché si configura come un mezzo d’espressione della democrazia diretta codificato costituzionalmente. Esso è normalmente applicato, in quanto momento procedurale, ad atti preesistenti e a scelte da compiere. Secondo le interpretazioni più consolidate, l’istituto del referendum trova la sua collocazione teorica a cavallo delle due scuole di pensiero democratico che si sono storicamente affermate a partire dal XVII secolo: quella “partecipazionista” o della “democrazia diretta”, che ha il suo autore classico in Rousseau e quella dei teorici della “democrazia rappresentativa” o delle cosiddette “élites responsabili”, da J. Stuart Mill a J.A. Schumpeter. Secondo la prima scuola, il solo modo veramente democratico di decidere su materie di interesse pubblico deve prevedere la partecipazione piena e immediata di tutti i cittadini. Quando le decisioni fossero prese e attuate da rappresentanti eletti non esisterebbe una genuina democrazia. Le istituzioni modello di tale concezione sono le assemblee cantonali svizzere. I teorici della “rappresentanza”, viceversa, hanno ribattuto che la democrazia diretta è un ideale che ha possibilità di riuscita solo in comunità sufficientemente piccole, che mettano in diretto rapporto e comunicazione tutti i cittadini i quali – altra condizione importante – devono essere perfettamente informati e potersi dedicare a tempo pieno alle questioni politiche. Nello stato nazionale moderno ciò è palesemente impossibile. Lo strumento referendario, quindi, pur avendo le sue radici teoriche nel terreno della democrazia diretta può dunque convivere – e convive di fatto – con le moderne istituzioni rappresentative, e in effetti i suoi patrocinatori lo hanno sempre presentato come elemento integrativo e mai alternativo al sistema rappresentativo. Dall’uso continuativo dello strumento referendario essi si aspettano principalmente due vantaggi: la massimizzazione della partecipazione dei cittadini al potere decisionale e la massimizzazione della sua legittimità. Il referendum svolge un’influenza crescente sul sistema politico. Lo dimostra l’esperienza di paesi come gli Stati Uniti, la Svizzera e, a partire dagli anni Settanta con la promulgazione della legge n. 352/1970 di disciplina del referendum nazionale, anche l’Italia. Tecnicamente vi possono essere referendum costituenti (per approvare una determinata costituzione) o costituzionali (che modificano la costituzione); legislativi o amministrativi a seconda che concernano leggi (o loro parti) oppure specifici atti amministrativi; nazionali o locali con riferimento all’efficacia territoriale; propositivi, consultivi o abrogativi rispetto alla funzione cui adempiono; facoltativi o obbligatori relativamente alla necessità che debbano o meno esser tenuti. Lo strumento referendario è suscettibile di utilizzazioni contrastanti con i suoi stessi assunti democratico-diretti. Negli Stati Uniti esso ha costituito un’arma tradizionale del potere democratico. In Europa la sua storia è piuttosto contraddittoria, in quanto è servito talora come strumento per l’introduzione plebiscitaria di regimi conservatori (ma a questo proposito si potrebbe obiettare che lo stesso de Gaulle dovette dimettersi a seguito di un referendum perso e ugual sorte toccò anche a Pinochet). Ponendo mente all’esperienza italiana, sarebbe azzardato affermare che, sul piano della corrispondenza ai valori politici, il referendum si presti a fini conservatori: lo dimostra, tra gli altri, l’esito dei referendum che respinsero l’abrogazione delle leggi sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981). Assai importanti furono poi anche, negli anni Novanta, i referendum di modifica della legislazione elettorale che hanno portato a un superamento della legge proporzionale in vigore sin dalle origini della storia repubblicana.