puritanesimo

Nel mondo anglosassone del Cinquecento e del Seicento furono chiamati “puritani” (inizialmente con intento polemico) coloro che si proponevano di “purificare” la chiesa d’Inghilterra e di completarne la riforma. Lo scisma di Enrico VIII (1534) aveva costituito una chiesa nazionale, che aveva a capo il re invece del papa ma conservava le forme liturgiche e l’ordinamento episcopale del cattolicesimo. I puritani aderirono invece alla dottrina teologica e alla concezione della chiesa dei riformatori di Strasburgo, di Zurigo e di Ginevra (Riforma), i quali avevano esercitato una forte influenza nelle vicende religiose inglesi fin dal regno di Edoardo VI (1547-53) e, negli anni della repressione promossa da Maria I Tudor (1553-58), diedero asilo e pieno sostegno agli esuli inglesi. La vittoria del calvinismo in Scozia (1557-60) rafforzò l’ala del puritanesimo inglese che voleva sopprimere la costituzione episcopale, mantenendo tuttavia l’unità di una chiesa nazionale governata collegialmente da concistori e sinodi, secondo i modelli ginevrini. La regina Elisabetta I (1558-1603) portò l’Inghilterra nello schieramento internazionale protestante ma non accolse le proposte puritane di riordinamento ecclesiastico. Sorsero pertanto tendenze più radicali, inclini alla separazione dalla chiesa anglicana e alla piena autonomia delle comunità locali, talora ratificata dal battesimo degli adulti. Ostili alla gerarchia, i puritani esaltarono la conversione individuale e la condotta vocazionale dei fedeli. Formarono, all’interno e all’esterno della chiesa ufficiale, associazioni volontarie rette da una disciplina intransigente. Dalla Bibbia trassero l’idea del “patto” continuamente rinnovato tra Dio e il suo popolo, e la tradussero in atti federali (dal latino foedus, patto, covenant in inglese) di rifondazione della comunità ecclesiastica e civile. Su questa base, tra il 1620 e il 1630, i puritani emigrati per ragioni di coscienza incominciarono a edificare in America, intorno alla baia del Massachusetts, una “Nuova Inghilterra” riformata e in larga misura sottratta al controllo della corte e dei vescovi. Nella madrepatria il conflitto si veniva intanto espandendo dal piano religioso al piano politico. Il re Giacomo I Stuart (1603-1625), successore di Elisabetta, era convinto che l’abolizione dell’episcopato avrebbe travolto anche la monarchia (“No Bishop, no King ”). La previsione si avverò un quarto di secolo più tardi: Carlo I Stuart fu la vittima più illustre della guerra civile che egli aveva incautamente scatenato nel 1642 contro un parlamento dominato dai puritani. I vincitori soppressero l’episcopato (1646), la Camera dei Lord e la monarchia (1649). Ma la repubblica puritana ebbe breve durata, a causa del dissidio permanente tra i parlamentari di orientamento presbiteriano, e l’Esercito Nuovo Modello (organizzato da Oliver Cromwell), i cui militanti, indipendenti e battisti, rivendicavano piena libertà religiosa. Dopo la restaurazione della monarchia, duemila pastori rifiutarono l’Atto di Uniformità (1662) che ristabiliva la chiesa anglicana, e ne furono espulsi. Da quel dissenso sorsero le comunità “non conformiste” (presbiteriani, congregazionalisti, battisti e quaccheri) che, alla caduta della dinastia Stuart (1688), ottennero infine la libertà di culto. Ma, fino al secolo XIX, i non conformisti inglesi furono esclusi dalle cariche pubbliche e dalle università. L’impresa puritana ebbe invece continuità e sviluppo di là dall’Atlantico, plasmando le istituzioni civili della Nuova Inghilterra, la cultura religiosa e la mentalità repubblicana delle colonie che, nel Settecento, si resero indipendenti e diedero origine agli Stati Uniti d’America. [Mario Miegge ]