Proudhon, Pierre Joseph

(Besançon 1809, † Parigi 1865). Filosofo e scrittore politico francese. Autodidatta, si impose all’opinione pubblica con la sua prima opera Che cos’è la proprietà? (1840), come autore della celebre tesi secondo cui “la proprietà è un furto”. Intorno al 1844 entrò in contatto con K. Marx, L. Blanc, M. Bakunin; nel 1846 scrisse il Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della miseria (cui Marx rispose polemicamente l’anno dopo con La miseria della filosofia). Nel 1848 fu eletto all’Assemblea nazionale, e all’esperienza della rivoluzione dedicò Le confessioni di un rivoluzionario (1849). Fra il 1849 e il 1852 fu in carcere per la sua opposizione a Luigi Napoleone (Napoleone III) e scrisse due saggi sull’idea di rivoluzione nell’Ottocento. Nel 1858 si rifugiò a Bruxelles. Al suo ritorno in Francia furono dati alle stampe La guerra e la pace: ricerche sul principio e la costituzione del diritto delle genti (1861) e Il principio federativo e la necessità di ricostituire il partito rivoluzionario (1863). La capacità politica della classe operaia e Teoria della proprietà uscirono invece postumi rispettivamente nel 1863 e nel 1866. Fra i massimi esponenti del socialismo ottocentesco francese, contro l’individualismo dell’organizzazione economica capitalistica Proudhon fu il teorico della libera cooperazione dei produttori e del credito gratuito alle cooperative. In polemica con le altre principali espressioni del socialismo ottocentesco (da Saint-Simon a Fourier, da Blanc a Cabet allo stesso Marx) insistette però sulla necessità di costruire un modello di società antiautoritaria e antistatalista, caratterizzata dal federalismo e dalla decentralizzazione oltre che dall’autogoverno dei produttori: la cosiddetta “anarchia positiva”, sintesi delle istanze di libertà individuali e di solidarietà sociale. Significative sono quindi le sue riflessioni sul tema della proprietà: egli distingue l’accezione negativa di proprietà come “furto” e causa di ingiustificati privilegi da quella di proprietà come “libertà”, ovvero come possesso di beni e mezzi di produzione da impiegare per lo sviluppo complessivo della società: in quest’ultima accezione la proprietà consentirebbe la realizzazione dell’anarchia positiva e di un ideale pacifista.