protestantesimo

Il termine protestantesimo indica da un lato la famiglia confessionale nata con la predicazione di Lutero, che costituisce con l’ortodossia orientale e il cattolicesimo romano la religione cristiana, dall’altro una realtà culturale nata con la Riforma che si è posta in relazione dinamica con la coscienza moderna traducendone in termini religiosi le esigenze e contribuendo a formarla. Questo rapporto dialettico tra fede cristiana e apertura al secolare fa del protestantesimo un fenomeno particolarmente complesso e ricco di realizzazioni. L’origine del termine si colloca nel protestamur con cui le città libere e i prìncipi tedeschi conquistati alla proposta luterana rivendicarono alla dieta di Spira (1529) il diritto di proseguire l’opera di predicazione evangelica. L’affermazione di questa rimostranza – “nelle cose che concernono la gloria di Dio, la salvezza delle nostre anime e la beatitudine ciascuno deve stare per se stesso davanti a Dio e rendere conto a lui solo” – può costituire la chiave di lettura del protestantesimo: la gloria di Dio come riferimento assoluto, che precede la stessa salvezza personale, e la responsabilità del singolo come categoria fondante l’identità personale.

  1. La dottrina
  2. Storia e cultura
1. La dottrina

Pur nella varietà delle sue forme organizzative, il mondo protestante risulta fortemente unitario per connotazioni teologiche di fondo, forme di pietà e sensibilità religiosa. Ne costituiscono fondamento i princìpi del credo tradizionale della chiesa. A definirli in senso protestante sono anzitutto l’uso esclusivo e non inclusivo dei riferimenti teologici: la Scrittura intesa come unica fonte di rivelazione (sola Scriptura); la persona di Cristo (solus Christus) come riferimento della fede a esclusione di ogni altra forma di mediazione; la sovranità della grazia divina (sola gratia) e il suo carattere “gratuito” (che la dottrina della predestinazione esprime in modo esemplare). Un altro elemento caratterizzante del protestantesimo è la concezione della rivelazione come Parola. La salvezza è stata rivelata all’uomo nel messaggio apostolico; consegnato nelle Scritture, costituisce il riferimento per la predicazione cristiana; questa però non è solo commento della parola apostolica ma evento della Parola divina che torna a farsi udire. Il valore assoluto del testo biblico e la sua dinamica ne implicano lo studio e la lettura critica. Il protestantesimo si configura pertanto come la cristianità dell’ermeneutica biblica. Fondamentale, infine, è il concetto di fede: non complesso dogmatico disciplinare a cui il credente è tenuto ad attenersi ma relazionalità personale con Cristo e la salvezza. La giustificazione per fede diventa così la chiave interpretativa dell’intera esperienza cristiana. La relazione all’Assoluto, intesa come fruitio Dei, è rovesciata nel vivere soli Deo, alla sola gloria di Dio. E l’esistenza è vista come una situazione dialettica, l’essere simul peccator et justus : peccatore per quanto attiene alla natura umana ma contemporaneamente giusto per identità ricevuta dalla grazia. Si delinea così un cristianesimo di forti individualità impegnate in un colloquio personale con Dio. Il diario intimo come sostituzione del confessionale ha qui la sua origine. Da questa esperienza di fede derivano: 1) il sacerdozio universale dei credenti in virtù del sacrificio unico ed eterno di Cristo, per cui ogni credente è sacerdote dinanzi a Dio, nel senso che non necessita di alcuna mediazione; 2) il sacramento inteso non come mezzo ma come segno di grazia, parola predicata in forma visibile, che gli anabattisti riservarono ai soli credenti adulti; 3) un accentuato valore della dottrina rispetto alla pratica religiosa da un lato e dell’esperienza religiosa dall’altro (il XVII secolo, detto dell’ortodossia, fu dominato dalla prima di queste esigenze nel suo sforzo di definire i criteri di fede, il pietismo dalla seconda introducendo una forte accentuazione della pietà personale); 4) l’affermazione del carattere vocazionale e coerente della vita, realizzato nel puritanesimo con la consapevolezza dell’elezione e nel metodismo con l’impegno alla santificazione; 5) una nuova concezione della comunità cristiana intesa non come istituzione sacramentale e giuridica ma come incontro di vocazioni e scuola di santificazione, la cui unità invisibile, garantita dallo Spirito, permane anche oltre le confessioni. Di conseguenza l’identità del protestantesimo non consiste nel salvaguardare valori ma nel creare espressioni di fede nella vita secolare; rifiutata ogni forma monastica, i valori religiosi furono tradotti nella quotidianità laica. Questo carattere progettuale e di dialogo con la cultura in spirito di ricerca fece sì che il protestantesimo assumesse caratteri eminentemente pluralistici e si configurasse come una costante ricerca di identità: dall’ortodossia del XVII secolo al Liberalprotestantismus di Ernst Troeltsch. Paradossalmente si può dire che non esiste un protestantesimo in sé, come identità definita, ma solo come identità storica che i protestanti hanno prodotto con la loro ricerca vocazionale.

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2. Storia e cultura

La prima di queste esperienze storiche è il luteranesimo, diffuso soprattutto nel mondo germanico. Teologicamente dominato da Lutero, fu organizzato in chiese territoriali. I conflitti religiosi e la guerra dei Trent’anni (1618-48) condussero la pietà luterana a una visione intimistica dell’esistenza, intesa come luogo di mistero e di tensioni che si espresse nel pietismo, nell’etica di Kant e nel Romanticismo tedesco. Per quanto riguarda la fede come radice dell’identità nazionale, fu sostanzialmente simile la vicenda dell’anglicanesimo. In esso si contemperarono una ecclesialità tradizionale e una coscienza nazionale, un cattolicesimo senza papa e una teologia a carattere fortemente biblico. Ancora diversa fu l’esperienza della Ginevra di Calvino e del calvinismo. Qui l’identità protestante trovò espressione nel concetto di vocazione. Spogliato del suo carattere ecclesiale, il termine esprime il fatto che a costituire l’identità di ogni individuo è la chiamata divina. Vivere la fede nel secolare e creare una laicità responsabile nella società è il nuovo progetto. Nella teocrazia ginevrina il magistrato risponde della sua vocazione non al potere ecclesiastico ma a Dio e la chiesa non è chiamata a sacralizzare la società ma a esserne coscienza critica. Mentre il luteranesimo garantito dal potere dei prìncipi e condizionato dalla dottrina dei due regni si colloca su posizioni conservatrici, il calvinismo diffuso in paesi cattolici (Francia, Paesi Bassi, Ungheria, Scozia) dovette darsi una nuova identità. La creazione in campo ecclesiale di sinodi (assemblee dei deputati delle chiese) e concistori (consigli elettivi degli anziani) produssero in campo politico l’esperienza di repubbliche con magistrature elettive e una gestione organica della vita sociale. Questa sensibilità democratica e le guerre di religione produssero una riflessione critica sulla legittimità del potere monarchico di diritto divino. Nell’Inghilterra del XVII secolo il calvinismo si espresse nel puritanesimo, nella sua ascesi intramondana (Weber) e nella teologia del patto, che in campo politico si tradusse nel concetto della pattualità come fondamento della socialità umana. I fermenti provenienti dagli anabattististi e dai mennoniti, combinati con le forme estreme della rivoluzione inglese, diedero luogo a una terza forma di protestantesimo, quella dei congregazionalisti e dei battisti con la visione della congregation di credenti responsabili totalmente svincolata dal potere politico. Ne derivarono il concetto di libertà di coscienza, che Locke tradusse in proposta organica, e la netta separazione degli ambiti ecclesiastico e statale. Sino al XVII secolo il protestantesimo rimase un fenomeno esclusivamente europeo. Dopo di allora iniziò la sua espansione in America e nel sud del continente africano, attraverso l’opera dei profughi di comunità dissenzienti inglesi e dei profughi della repressione controriformista. Divenne quindi un fenomeno mondiale soltanto con le missioni, specie in Africa e Asia, organizzate nel XIX secolo da società interconfessionali. Proprio da questa collaborazione missionaria sorse l’istanza unitaria che diede luogo al Movimento Ecumenico costituitosi nel 1948. Nel XX secolo sorse l’ultima espressione del mondo protestante: la pentecostale. Congregazionalista, con forti elementi carismatici ed escatologici, investì sia paesi di antica tradizione cristiana quali l’Europa e l’America sia l’Estremo Oriente e il Sudamerica. Questi fenomeni migratori e missionari hanno disperso i protestanti nel mondo imponendo loro di salvaguardare le identità confessionali in organismi di tipo sovranazionale: Unioni o Alleanze. La più numerosa è la luterana (74 milioni di fedeli) nelle terre d’origine, Germania, paesi scandinavi e USA; l’anglicana (65 milioni) conta, oltre alle chiese di Gran Bretagna e Irlanda, forti nuclei negli Stati Uniti d’America e in Australia. Più frazionata è la famiglia riformata (55 milioni): dai paesi d’origine – Svizzera, Scozia, Paesi Bassi, Ungheria – al Sud Africa e agli USA, qui soprattutto con i presbiteriani. Le comunità gravitanti nell’area battista (oltre 60 milioni) si collocano in maggioranza negli Stati Uniti ma costituiscono oggi la confessione di maggior penetrazione nell’est europeo, Russia in particolare. Ancora negli USA si colloca la maggioranza delle chiese metodiste (37 milioni), oltre a importanti presenze nei paesi anglofoni. A questi blocchi confessionali si devono aggiungere antiche confessioni: i mennoniti e i quaccheri, numericamente ridotte (1.500.000) ma di forte impatto morale e spirituale e nuove, di origine nordamericana: discepoli di Cristo (oltre 3 milioni) e avventisti (oltre 3 milioni). È invece molto difficile valutare la consistenza delle comunità pentecostali, per la forte espansione e il carattere di movimento privo di strutture centrali. Esse probabilmente contano un numero di fedeli non inferiore ai 30 milioni. [Giorgio Tourn]

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