proletariato

Derivato dal latino proles, il termine proletarius indicava nell’ordinamento di Servio Tullio i cittadini meno abbienti la cui unica proprietà era costituita dalla prole e che in quanto tali erano esentati, nell’antica Roma, dagli obblighi fiscali e militari. Successivamente il significato del termine si allargò fino a comprendere, in generale, le persone povere e con numerosi figli. Esso fu ripreso nel Sei-Settecento per indicare gli strati più bassi della popolazione, che si collocavano al di fuori dell’ordinamento per ceti. A partire dall’inizio dell’Ottocento, con lo sviluppo del capitalismo industriale, “proletariato” indicò quasi esclusivamente la nuova figura del lavoratore salariato che vive vendendo il proprio lavoro manuale, libero da vincoli feudali di dipendenza ma sottoposto al potere economico del padrone della fabbrica. In questo senso esso fu impiegato in particolare da Sismondi, Lorenz von Stein e Marx. Nella dottrina socialista e marxista il proletariato costituisce, insieme alla borghesia, la classe protagonista del processo storico di sviluppo del capitalismo e di transizione al socialismo. In quanto tale, esso si distingue nettamente dal cosiddetto Lumpenproletariat (“proletariato straccione”, “sottoproletariato”), costituito da lavoratori disoccupati o sottoccupati e dagli elementi più degradati della società, utilizzabili a fini controrivoluzionari.