precolombiane, civiltà

Con l’espressione “civiltà precolombiane” si fa riferimento alle civiltà che si svilupparono nell’America centrale e andina prima della scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo (scoperte geografiche) e della conquista spagnola del continente. A differenza delle popolazioni dell’America Settentrionale e delle regioni amazzoniche, rimaste a un livello primitivo di organizzazione sociale (fondata sui clan) ed economica (basata su caccia, pesca e raccolta), le civiltà precolombiane svilupparono fin dal III millennio a.C. la rivoluzione agricola e realizzarono forme di organizzazione socioeconomica e politica complesse ed evolute. L’agricoltura, intensiva e spesso sorretta da grandi lavori di canalizzazione organizzati dallo stato, produceva un’ampia gamma di prodotti (mais, patata, pomodoro, fagiolo, manioca, cacao, cotone). L’allevamento era poco diffuso a causa della quasi totale assenza nel continente di bovini, ovini e suini, a eccezione del lama e del bisonte. L’artigianato raggiunse in alcuni settori – la lavorazione del cotone, dell’oro e dell’argento – un grado di elevata raffinatezza. Le conoscenze scientifiche e tecnologiche – sorrette dalla scrittura geroglifica e da un sistema numerale vigesimale – erano assai evolute in alcuni campi, come l’astronomia (l’anno solare era già diviso in 365 giorni), ma estremamente carenti in altri. Non esistevano né l’aratro, né l’uso della ruota e la lavorazione del ferro. Nonostante l’assenza della moneta e di un’economia di scambio, l’urbanizzazione era assai avanzata, con città di dimensioni superiori alle contemporanee città europee e con un’ottima architettura monumentale. L’organizzazione sociale e politica era complessa. Rimaste per millenni separate dal resto del mondo, le civiltà precolombiane furono travolte e distrutte in pochi anni dai conquistadores spagnoli. La somiglianza di alcuni tratti delle civiltà precolombiane con quelle del Vecchio Mondo (costruzione di piramidi, culto del Sole, tecniche di lavorazione del cotone) hanno alimentato due opposte tesi storiografiche: 1) la tesi “isolazionista”, secondo la quale gli amerindi, giunti in età preistorica nel continente americano attraversando la Siberia e l’Alaska, non ebbero più alcun contatto col resto del mondo, per cui ogni somiglianza culturale indicherebbe un’evoluzione parallela, ma autonoma, della civiltà umana; 2) la tesi “diffusionista”, secondo cui in età antica si sarebbero mantenuti contatti tra i continenti mediante la navigazione. Le principali civiltà precolombiane furono quelle dei maya e degli aztechi in America centrale e degli incas nella regione andina.

  1. La Mesoamerica: periodo preclassico e classico. I maya
  2. Il periodo postclassico. Gli aztechi
  3. L’America andina. Gli incas
1. La Mesoamerica: periodo preclassico e classico. I maya

La storia della civiltà mesoamericana inizia intorno al 3000 a.C., quando si realizzò il passaggio da un’economia nomade a un’agricoltura fondata sulla coltivazione del mais. Essa può essere suddivisa in tre periodi: 1) preclassico (dal XIV secolo a.C. al III secolo d.C.), caratterizzato dalla civiltà olmeca; 2) classico (dal III al IX secolo), con la fioritura della civiltà maya, ma anche di Teotihuacán, degli zapotechi e dei totonachi; 3) postclassico (dal IX secolo alla conquista spagnola), prima con la civiltà tolteca (X secolo), poi con l’azteca (XIV secolo). Nel periodo preclassico, ulteriormente suddiviso nei sottoperiodi di Zacatenco e Ticomán (dal nome di due località di scavo), ovvero preclassico inferiore e superiore, accanto all’agricoltura si ebbe lo sviluppo di un artigianato specializzato, soprattutto nei campi della lavorazione della ceramica e delle sculture in pietra. Al preclassico superiore risale la prima piramide in pietra (a Cuicuilco, presso Città del Messico). Il più alto livello di civiltà del periodo fu raggiunto dalla cultura olmeca, fiorita lungo la costa del golfo del Messico, al confine con lo Yucatán, nelle regioni di Veracruz e Tabasco. L’arte olmeca, di notevole qualità, particolarmente nella scultura in pietra (sono celebri le colossali teste monolitiche) e in giada, ebbe duratura influenza sulla successiva civiltà maya. Agli olmechi risale anche il sistema calendariale preciso e complesso ereditato dai maya. Nel periodo classico, caratterizzato da un raffinamento ulteriore della qualità della produzione artistica e artigianale, dall’evoluzione dei sistemi di scrittura in senso ideografico, dalla crescente complessità della religione e dall’aumentato peso della casta sacerdotale, si svilupparono e differenziarono molteplici culture: di Teotihuacán (dove fu edificata la piramide del Sole, la più grande d’America, a base quadrata con lato di 220 metri e altezza di 63 metri) nella valle del Messico, degli zapotechi nell’Oaxaca, dei totonachi nel Veracruz e, la più importante, dei maya nel Messico meridionale e nel Guatemala. La civiltà maya si sviluppò nel III secolo e declinò nel IX, quando in seguito a una migrazione nello Yucatán, le cui cause sono ignote, la popolazione maya fu assoggettata dai toltechi, che ne assimilarono in misura rilevante la cultura. L’organizzazione economica dei maya si fondava su un’agricoltura rudimentale, sufficiente per la sopravvivenza della popolazione solo per la scarsa densità demografica della regione. Priva delle contemporanee tecniche europee della rotazione delle colture e dell’uso dell’aratro e degli animali da tiro, essa utilizzava la tecnica del taglio-fuoco: dopo l’abbattimento di zone boschive, gli alberi venivano bruciati per ricavarne cenere fertilizzante; i campi così preparati erano seminati (con bastoni da scavo) a mais o legumi, che fornivano i principali ingredienti dell’alimentazione, basata su focacce e bevande di farina, miele e acqua. Lo sfruttamento irrazionale del suolo, che spesso ne provocava la rapida sterilizzazione, costrinse la popolazione a continue migrazioni, alla ricerca di nuove terre fertili. La società maya si articolava in comunità agricole, che possedevano in comune la terra, la quale veniva redistribuita ogni tre anni tra le varie famiglie. Le comunità agricole si aggregavano politicamente intorno alle città stato, abitate dalla nobiltà e dalla casta sacerdotale e abbellite da piramidi e splendidi palazzi. Le città – tra le più importanti Chichén Itzá, Copán, Tikal e Uxmal – erano anche sedi delle feste religiose e degli scambi commerciali. Al vertice della società, stratificata in caste, erano il sovrano della città, ereditario, i nobili e i sacerdoti, che costituivano l’élite dominante; alla base, i mercanti e i lavoratori. Le cariche militari, amministrative, esecutive e giudiziarie erano assegnate dal capo della città ai nobili, ai quali era affidato anche il comando delle città assoggettate e dei villaggi. I sacerdoti erano custodi della religione e ministri del culto, depositari del sapere ed educatori della nobiltà. La religione era politeistica e gli dei rappresentavano le forze della natura e le principali conquiste della civiltà maya. La divinità suprema era Urakán, signore del cielo, delle acque e dei fulmini; suo figlio Itzamna, particolarmente caro ai ceti popolari, era l’amico dell’uomo, da lui stesso creato dal mais, al quale aveva insegnato la scrittura e le arti della sopravvivenza; le altre divinità minori incarnavano la perenne lotta del bene contro il male. All’anima umana, anch’essa impegnata nel conflitto tra bene e male, si prospettava il destino di un paradiso di gioie o di un inferno di eterne sofferenze. Anche il tempo, di cui i maya avevano una nozione precisa e complessa, era considerato una divinità e una sua particolare scansione, il Katun (= ventennio), era l’unità di misura di una concezione ciclica e fatalistica della storia. Il culto consisteva essenzialmente in riti propiziatori. Il sapere, di cui i sacerdoti erano i depositari e trasmettitori, aveva le massime espressioni nell’astronomia, nel complesso calendario, che regolava la vita economica e sociale con la divisione dei 365 giorni dell’anno solare in fasti e nefasti, nella matematica, nell’architettura monumentale (templi, piramidi) e nella medicina. I mercanti, distributori soprattutto di gioielli di giada e mantelli di cotone ricamati, operavano gli scambi con un primitivo sistema monetario fondato sui semi di cacao. Alla base della società maya erano i lavoratori, divisi in contadini, costruttori di piramidi e di edifici cittadini, e schiavi (prigionieri di guerra, criminali, bambini venduti da famiglie in miseria), che dovevano sobbarcarsi i lavori più pesanti.

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2. Il periodo postclassico. Gli aztechi

Alla fine del X secolo l’altopiano del Messico centrale fu invaso e conquistato da popolazioni guerriere provenienti da Nord, i cicimechi, il cui sostentamento si fondava sulla caccia e sulla raccolta nomade. Le precedenti civiltà, cementate dalla religione, furono assimilate e integrate dai valori guerrieri dei nuovi popoli, che introdussero riti cruenti e sacrifici umani e incrementarono la schiavitù. Iniziò così il periodo postclassico mesoamericano, diviso in due fasi: la prima caratterizzata dall’affermazione della cultura tolteca (X secolo), la seconda dalla dominazione azteca (dal XIV secolo alla conquista spagnola). Nel X secolo i toltechi soppiantarono nell’altopiano centrale la cultura, ormai in decadenza, di Teotihuacán, ponendo la propria capitale a Tula. Quindi, guidati dal leggendario Ce-Acatl Quetzalcoatl, continuarono la propria espansione verso lo Yucatán, dove sottomisero i maya, assimilandone la cultura. Si ebbe così la civiltà maya-tolteca, con capitale Chichén Itzá, che sopravvisse fino alla conquista spagnola dello Yucatán, nel 1544. La civiltà di Tula, invece, si disgregò nel XII secolo, quando nuove invasioni cicimeche distrussero la capitale e sottomisero le popolazioni. Progressivamente emerse la dominazione di un altro popolo cicimeco, gli aztechi (o mexica), di ceppo nahua, che nel 1325 fondarono la propria capitale Tenochtitlán (o Mexico), presso il lago Texoco, e nel 1427, guidati dal re Itzcoatl, sconfissero i rivali tepanechi, assicurandosi il controllo dell’altopiano. L’espansionismo azteco, sorretto dalla spinta religiosa a raggiungere la terra promessa dal dio della guerra, Huitzilopochli, continuò fino all’ultimo imperatore, Montezuma, con la sottomissione progressiva di tutte le popolazioni dell’altopiano. Popolo guerriero, che viveva la guerra come un dovere religioso più ancora che come strumento di conquista, gli aztechi non eliminarono le strutture economico-sociali dei popoli assoggettati, ma si limitarono a renderli tributari e a ricavarne schiavi e prigionieri da sacrificare agli dei. I sacrifici umani, infatti, erano centrali nella loro religione, che venerava una molteplicità di dei, spesso ricavati dalle tradizioni dei territori conquistati, tra cui l’Essere Supremo; il Sole, massimo destinatario delle vittime sacrificali (soprattutto prigionieri di guerra); la Terra, per la quale erano sacrificate vittime femminili; la Pioggia, alla quale erano immolati bambini. Al dio Tetzcatlipoca era dedicato un cruento rito, che prevedeva l’asportazione del cuore dal corpo vivo di un giovane. È interessante la credenza nel dio Quetzalcoatl (o Serpente Piumato): gli aztechi aspettavano il suo ritorno mediante un messaggero dalla pelle bianca, che nel 1519 identificarono nel conquistatore spagnolo Cortés. La società azteca, come quella maya, era stratificata in caste, che consentivano una minima mobilità sociale in base ai meriti personali. Al vertice c’era l’Uei tlatoani, capo-semidio eletto da un Consiglio di dignitari (tlatoani), che ne condizionavano le scelte e potevano deporlo. Sotto il re c’erano i nobili, cui venivano assegnate per elezione le principali cariche amministrative, militari, giudiziarie e religiose. Essi erano esonerati dai tributi e vivevano con i frutti delle terre loro assegnate dal re. Non solo i nobili potevano diventare guerrieri, giudici o sacerdoti, ma anche i membri delle caste inferiori e i meriti nell’esercizio di queste funzioni erano il canale della mobilità sociale. Più chiusa era la casta dei mercanti, che viveva in quartieri propri e si trasmetteva ereditariamente l’attività. Nei loro viaggi, i mercanti spesso si trasformavano, al servizio dello stato oltre che dei propri interessi, in guerrieri, esploratori o spie. Gli scambi avvenivano normalmente nella forma del baratto, integrato da un rudimentale sistema monetario fondato su semi di cacao o pietre preziose. I prodotti del commercio provenivano dal lavoro della casta, anch’essa chiusa, degli artigiani, divisi in corporazioni e retribuiti con beni materiali (alloggio, vitto, indumenti). Il popolo, alla base della società, praticava l’agricoltura su terre che erano di proprietà o della comunità di villaggio (calpulli), o delle caste superiori. L’agricoltura, rudimentale come quella dei maya, produceva beni alimentari (mais, patate, pomodori, fagioli), tabacco e cotone. Il popolo era tenuto a compiere anche lavori di pubblica utilità, come la raccolta di legname e di acqua potabile, e a prestare servizio militare in guerra. Il suo livello di vita era basso e spesso i poveri e i debitori erano costretti a vendersi come schiavi. La capitale azteca, Tenochtitlán, superò i 300.000 abitanti. Centro residenziale oltre che politico-religioso (ospitava la corte del sovrano e una zona sacra con settantotto edifici di culto), essa ebbe una complessa struttura e organizzazione urbanistica. Civiltà minori del periodo postclassico furono la mixteca, la huaxteca e la tarasca. Le conquiste spagnole, che abbatterono l’impero azteco con la spedizione di Cortés (1519-21) e sottomisero le popolazioni maya-tolteche tra il 1540 e il 1546, distrussero le civiltà mesoamericane, che sopravvissero in forma residuale in alcune aree marginali.

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3. L’America andina. Gli incas

Nell’America andina la presenza dell’uomo è accertata a partire dal VII millennio a.C. e il passaggio dal nomadismo all’agricoltura stabile risale al 3000 a.C. La civiltà andina ebbe un lungo periodo di formazione e sviluppo, nel quale emersero i caratteri che la differenziarono dalle altre culture precolombiane: l’agricoltura superiore sorretta dalla concimazione e dall’irrigazione artificiale, la metallurgia avanzata, l’allevamento del lama e dell’alpaca, la raffinatezza della tessitura e della lavorazione della ceramica, l’organizzazione sociale comunitaria degli ayllu. Si ebbero così la cultura di Chavin, in Perú, nel I millennio a.C.; le civiltà mochica e nazca, rispettivamente lungo la costa settentrionale e meridionale del Perú, nel successivo periodo classico (prima metà del I millennio d.C.); la cultura Huari-Tiahuanaco (due città, situate rispettivamente sull’altopiano peruviano e sul lago Titicaca), nel periodo espansionistico (seconda metà del I millennio); i tre stati peruviani del periodo urbanistico (1000-1440): il regno settentrionale di Chimú (con capitale Chan-Chan), la centrale federazione Cuismancu (con città come Cajamarquilla e Pachacamac) e il meridionale stato Chincha. Il successivo periodo imperialistico (dal 1440 alla conquista spagnola nel 1532) fu caratterizzato dall’espansione politico-militare della tribù degli incas nelle Ande centrali e nelle regioni circostanti. Gli incas, guidati da Manco Capac, intorno al 1200 si erano spostati dal lago Titicaca verso la vallata in cui fondarono la propria capitale, Cuzco. Di lì avviarono la serie di conquiste che condusse alla formazione di un vasto impero, il quale nel XV secolo, al tempo dei sovrani Pachacuti e Topa, giunse a comprendere Perú, Cile, Bolivia, Ecuador e parte della Colombia. Sia nelle guerre di conquista, sia nella successiva colonizzazione, gli incas dimostrarono grande intelligenza strategica e tattica, non solo nell’arte militare, ma anche nella diplomazia, nella conoscenza dei popoli e dei territori, nella riorganizzazione postbellica. Anche la società incaica, come le mesoamericane, era stratificata in caste, ma aveva un sistema politico maggiormente centralizzato. Al vertice c’era l’inca, figlio del Sole, sovrano ereditario che esercitava un potere assoluto con la collaborazione di quattro consiglieri. Sotto il controllo dell’inca avevano poteri di comando militare e amministrativo la nobiltà maggiore (i curacas) e minore, mantenute a spese dello stato. La casta sacerdotale, guidata dal fratello dell’inca, il Gran Sacerdote, custodiva e amministrava la religione, fondata sul culto del dio Sole (Inti), dell’inca suo figlio e di altre divinità (tra cui il creatore del mondo, Viracocha). Si credeva inoltre in una vita ultraterrena differenziata per le diverse caste. Il popolo, suddiviso in decurie e centurie rigidamente governate e controllate dall’alto, doveva compiere ogni lavoro utile alla società. Nell’impero inca non esisteva la proprietà privata (con l’eccezione della nobiltà, che aveva il privilegio di poter possedere le terre donate dall’inca per meriti): le terre, distribuite alle comunità agricole, gli ayllu, composte da cento famiglie, erano divise in tre zone: la prima, dell’inca, era destinata al mantenimento del sovrano e degli indigenti e alle spese dello stato (esercito, ecc.); la seconda, del dio Sole, serviva al mantenimento del clero; la terza era del popolo. Con tale sistema si provvedeva alla sussistenza dell’intera popolazione, compresi i disabili al lavoro, mantenuti dallo stato. L’agricoltura si fondava su metodi rudimentali, ma era sostenuta da opere di terrazzamento e di irrigazione di buon livello. I prodotti principali erano la patata e il mais, cui si aggiungevano pomodori, fagioli, cacao, zucche e cotone. Lo stato organizzava e distribuiva anche le altre attività economiche: l’allevamento del lama, utilizzato come animale da soma, e dell’alpaca, da cui si ricavava la lana; la tessitura, raffinatissima, come anche la lavorazione dell’oro e del bronzo (era sconosciuta la lavorazione del ferro). Il popolo era tenuto anche alla Mita, insieme di obblighi nei confronti dello stato, che comprendeva il servizio militare (sotto il comando della nobiltà maggiore), l’attività mineraria, il trasporto dei prodotti nei magazzini dello stato, i lavori pubblici, come la costruzione di strade e ponti (la rete stradale incaica era razionale e tecnicamente avanzata), monumenti e canali. Gli incas non avevano la scrittura, sostituita dal sistema dei quipu, cordicelle che con i diversi nodi e colori indicavano cifre e significati, e nemmeno il denaro. La loro lingua ufficiale era il quechua, affiancato da numerosi dialetti locali. Erano assai sviluppate la medicina e la chirurgia. La spedizione spagnola di F. Pizarro (1531) distrusse l’impero incaico. Fu ucciso l’ultimo sovrano Atahualpa (1533). La civiltà incaica sopravvisse tuttavia nelle regioni montuose dell’interno.

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