positivismo giuridico

Il diritto positivo (dal latino positivum, “che viene posto”), ovvero il diritto stabilito storicamente da una volontà legislativa umana e in quanto tale contrapposto al diritto divino e al diritto naturale, è alla base della concezione denominata “positivismo giuridico” o “giuspositivismo”. Tale concezione non è originariamente correlata all’affermazione del positivismo filosofico e sociologico caratterizzante la seconda metà del secolo XIX, ma lo precede cronologicamente e appare fondato su motivazioni ad esso estranee, per quanto comune a entrambi fosse poi la pretesa della scientificità. Già presente nella filosofia politica di Hobbes, il giuspositivismo, come orientamento coscientemente teorizzato in opposizione al giusnaturalismo, fu enunciato nelle tesi del radicalismo filosofico di J. Bentham e poi sviluppato dal suo allievo J. Austin (1790-1859), a cui si deve la distinzione, che sta alla base del primo giuspositivismo, tra il diritto qual è (cioè il diritto positivo) e come dovrebbe essere. Secondo Austin, fondatore dell’indirizzo giuspositivista denominato “imperativismo”, la norma giuridica è sempre un comando stabilito dal sovrano, accompagnato dalla minaccia di una sanzione. Di conseguenza, ogni decisione giudiziaria deve esser sempre considerata come interpretazione e applicazione di una norma giuridica. Nel corso dell’Ottocento il positivismo giuridico si affermò soprattutto sul continente europeo, dove si finì per identificare nello stato di diritto legislativo la sola fonte legittima del diritto vigente, nel presupposto che esso fosse in grado di rappresentare tutte le esigenze contrastanti della società e, nel contempo, di impedire efficacemente gli straripamenti degli egoismi individuali e di garantire i singoli dal suo stesso esorbitante potere. Questa tendenza, in realtà, portò in molti casi all’assolutizzazione del potere dello stato. Tali posizioni furono progressivamente sottoposte a una revisione critica. In particolare, si è sempre più contestata la presunzione di imparzialità e scientificità del diritto positivo, che altro non sarebbe, tecnicamente e politicamente, che il prodotto di un ben preciso ceto sociale (i giuristi), e, in definitiva, delle classi dominanti. La reazione giuspositivista a queste accuse diede luogo all’elaborazione di un nuovo indirizzo volutamente deideologizzato, quello “normativista” (normativismo) delineato soprattutto nell’opera di Hans Kelsen, il cui successo ha caratterizzato la fase più matura del positivismo giuridico. Le norme giuridiche perdono in esso l’aggancio alla volontà sovrana e statale per diventare forme e procedure astratte e impersonali poste in essere da una volontà legislativa figurata e nelle quali si riassume l’intero ordinamento giuridico.