Portogallo

Stato attuale dell’Europa occidentale.

  1. L’antichità e il medioevo
  2. L’espansione coloniale e la dominazione spagnola
  3. Dall’indipendenza dalla Spagna alla repubblica portoghese
  4. Dalla nascita della repubblica all’instaurazione del regime di Salazar
  5. La rivoluzione dei garofani e la democrazia portoghese
1. L’antichità e il medioevo

Il territorio dell’attuale Portogallo, abitato sin dal paleolitico, fu popolato da tribù iberiche (in particolare i lusitani) e successivamente da coloni celti. Divenne quindi provincia romana nel 136 a.C. con il nome di Lusitania. La regione fu raggiunta poi nel V-VI secolo dagli svevi e dai visigoti, che la conquistarono insieme al resto della penisola iberica. I visigoti furono sconfitti dagli arabi nel 711. Ebbe allora inizio la fase della dominazione musulmana, durata più di tre secoli, durante la quale il Portogallo fu sottoposto all’emirato di Córdoba. Il re di Navarra Sancio III il Grande (morto nel 1035) e suo figlio Ferdinando I di Castiglia e di León (1034-65) diedero un primo assetto unitario al paese. Nel 1095 Alfonso VI di Castiglia (1065-1109) affidò la contea di Portogallo al genero Enrico di Borgogna. Durante la Reconquista il paese continuò a espandersi e a rafforzarsi raggiungendo l’indipendenza nel 1143. Alfonso Henríquez assunse la corona di Portogallo con il nome di Alfonso I (1139-85) dando inizio alla dinastia di Borgogna. Il sovrano riuscì a liberare dai musulmani Cintra, Santarém e Lisbona (1147). Alla sua morte, i suoi successori Sancio I (1185-1211), Alfonso II (1211-23) e Sancio II (1223-45) proseguirono nell’opera di unificazione del paese. Alfonso III (1245-79) riuscì a conquistare l’Algarve e a difenderne il possesso dalle mire di Ferdinando IV di Castiglia. La lotta contro il potere nobiliare per promuovere lo sviluppo della borghesia cittadina fu condotta a partire dal regno di Dionigi I (1279-1325), che fondò l’Università di Lisbona (in seguito trasferita a Coimbra), permise lo sviluppo dei commerci, favorì i viaggi di esplorazione delle coste africane e avviò la creazione di una flotta da guerra. Alfonso IV (1325-57) e il suo successore Pietro I (1357-67) riorganizzarono l’amministrazione della giustizia e costituirono un esercito nazionale. La dinastia di Borgogna si esaurì nel 1383 con il regno di Ferdinando I (1367-83). Dopo l’invasione del paese da parte di Giovanni I di Castiglia e una fase di lotte dinastiche, le Cortes acclamarono re il gran maestro dell’Ordine militare di Aviz, che assunse il nome di Giovanni I (1385-1433) inaugurando la dinastia degli Aviz. Grazie anche all’appoggio dell’Inghilterra, il sovrano riuscì ad assicurare l’indipendenza del paese contro le mire espansionistiche della Castiglia.

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2. L’espansione coloniale e la dominazione spagnola

Dall’inizio del XV secolo i portoghesi avviarono la formazione di un vasto impero coloniale, che sarebbe sorto nel corso di un cinquantennio grazie alle esplorazioni geografiche patrocinate da Enrico il Navigatore e all’opera di conquista di alcuni ammiragli. Importantissime furono la conquista di Ceuta in Africa (1415) e la successiva occupazione degli arcipelaghi di Madera (1419), delle Azzorre e delle Canarie, che funsero da testa di ponte per tutte le esplorazioni dell’Atlantico condotte in seguito. Opera di un paese piccolo, minacciato nella sua stessa indipendenza dalla presenza spagnola, la colonizzazione portoghese dovette rinunciare al controllo delle zone interne dei territori conquistati. Fu scelta la via del controllo delle principali rotte marittime e della formazione lungo le coste di basi commerciali e militari. Nella prima metà del XV secolo i portoghesi acquisirono possedimenti lungo le coste occidentali e centro-orientali dell’Africa, nordoccidentali dell’India e giunsero a controllare l’accesso al Golfo Persico, Ceylon, le Molucche e la penisola di Malacca, fino a stabilire nel 1557 a Macao il primo avamposto commerciale europeo in Asia. Dallo sfruttamento coloniale i portoghesi trassero inizialmente grandi vantaggi (legati soprattutto al monopolio delle spezie). L’afflusso di grandi ricchezze, tuttavia, non trasformò la struttura economica del paese, rimasto sostanzialmente agricolo, ma finì per avvantaggiare i mercanti stranieri, in particolare quelli fiamminghi. Alla morte di Giovanni I salì al trono Edoardo I (1433-38). Durante il suo regno fallì la spedizione contro i mori di Tangeri (1437), ma nel 1471 la città fu conquistata dal figlio Alfonso V (1438-81). La reggenza della madre di questi, Eleonora d’Aragona, suscitò l’opposizione della borghesia; in seguito però, grazie anche al sostegno di Enrico il Navigatore, la monarchia poté consolidarsi all’interno e procedere nell’espansione coloniale lungo le coste dell’Africa. Sotto Giovanni II (1481-95) furono sventate due congiure nobiliari mentre proseguiva la politica di sviluppo delle vie commerciali. In questo contesto nel 1487 Bartolomeo Diaz doppiò il Capo delle Tempeste, che da allora fu chiamato Capo di Buona Speranza. Nel 1494 Portogallo e Spagna conclusero il trattato di Tordesillas, che attribuiva alla sfera di influenza portoghese le terre situate a oriente della linea convenzionale di demarcazione (posta all’incirca sul 46° meridiano) che correva a 370 leghe dalle isole del Capo Verde. Con Emanuele I (1495-1521) proseguì il processo di rafforzamento della struttura statale. Durante il suo regno le imprese di Vasco de Gama permisero di stabilire il monopolio commerciale portoghese sull’Oceano Indiano, mentre la spedizione di Pedro Alvarez Cabral portò alla scoperta del Brasile. Sotto Giovanni III (1521-57) continuò l’esplorazione e la penetrazione in Oriente e si avviò la sistematica conquista del Brasile, che fu organizzato al suo interno in capitanerie. In politica interna, attraverso l’introduzione dell’Inquisizione e l’affidamento dell’istruzione ai gesuiti, si rafforzò il controllo esercitato dalla chiesa sulla corona. Dopo la sconfitta e la morte del re Sebastiano (1557-78) nella battaglia di Alcázarquivir per la conquista del Marocco (1578), salì al trono Enrico I (1578-80) che non riuscì però a organizzare la sua successione. Nel 1580 il Portogallo perse infine la propria indipendenza. Invaso dall’esercito del duca d’Alba, fu unito alla Corona di Spagna e nel 1581 Filippo II fu riconosciuto re del Portogallo dalle Cortes. Nonostante si trattasse di un’unione personale – Filippo II era stato riconosciuto come sovrano legittimo, ma con l’impegno solenne di rispettare l’autonomia del regno – fu presto chiaro che gli intenti della monarchia spagnola erano quelli di procedere all’unificazione della penisola iberica. Le colonie, non più direttamente dipendenti dalla madrepatria, ma annesse all’impero coloniale spagnolo, divennero allora oggetto delle mire degli olandesi, che in molti casi riuscirono a conquistarle. Solo durante il regno di Filippo IV (1621-65) ebbe inizio la lotta che avrebbe nuovamente portato il Portogallo all’indipendenza dalla Spagna.

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3. Dall’indipendenza dalla Spagna alla repubblica portoghese

L’indipendenza fu conseguita grazie alla ribellione di Lisbona del dicembre 1640, che fu appoggiata da francesi, olandesi e inglesi. Nel gennaio 1641 i nobili portoghesi proclamarono Giovanni IV re (1641-56). Il nuovo sovrano – con il quale ebbe inizio la dinastia dei Braganza – dovette allora impegnarsi in una lunga guerra contro la Spagna, che si concluse solo dopo la sua morte, durante il regno di Alfonso VI (1656-83). Soltanto nel 1668 il Portogallo fu riconosciuto indipendente e riprese il controllo della maggior parte delle colonie (anche del Brasile, abbandonato in quell’occasione dagli olandesi). Sotto il regno di Pietro II (1683-1706), dopo una nuova invasione del paese da parte della Spagna, il Portogallo strinse una salda alleanza con l’Inghilterra. Giovanni V (1706-1750) diede vita a una struttura di governo di tipo assolutistico. Con Giuseppe I (1750-77) si realizzò un regime di dispotismo illuminato grazie anche alla figura del primo ministro, il marchese di Pombal. In ambito economico quest’ultimo provvide al potenziamento dei commerci e alla ricostruzione di Lisbona, distrutta dal terremoto del 1755; in politica interna ottenne l’espulsione dei gesuiti e procedette poi alla limitazione dell’ingerenza del potere ecclesiastico in ambito educativo e negli affari dello stato. Alla morte del sovrano la figlia Maria I (1777-1816) allontanò Pombal vanificando gran parte della sua opera. Nel 1792, in seguito all’infermità mentale della regina, assunse la reggenza il figlio Giovanni VI (1816-26), che entrò in guerra contro la Francia rivoluzionaria. Il paese rimase sotto il dominio napoleonico dal 1807 sino al 1811, mentre Maria I e Giovanni VI si ritirarono in esilio in Brasile. Dopo il congresso di Vienna (1814-15) il Portogallo rimase sotto il controllo inglese in attesa del ritorno della dinastia dei Braganza dalla colonia. Solo la sollevazione contro il predominio inglese scoppiata nell’agosto 1820 e la successiva proclamazione della costituzione già promulgata nel 1812 a Cadice spinsero Giovanni VI a ritornare in patria nel 1821 e a giurare fedeltà al nuovo ordine. Nonostante l’intervento della Santa Alleanza in Spagna e il tentativo di restaurazione (1823-24) condotto dal figlio Michele, il sovrano seppe complessivamente garantire il rispetto del regime costituzionale. Il Brasile frattanto, che era stato affidato da Giovanni VI al figlio Dom Pedro (il futuro Pietro I del Brasile, ma poi Pietro IV come re del Portogallo), non accettando il ritorno allo status di colonia così come veniva richiesto dalle Cortes portoghesi, nel 1822 proclamò la propria indipendenza, riconosciuta dalla madrepatria nel 1825. Alla morte di Giovanni VI, nel 1826 Pietro IV concesse un’importante carta costituzionale ispirata al modello britannico, ma subito dopo rinunciò ad assumere la corona portoghese lasciandola alla figlia minorenne Maria II da Gloria (1826-53) sotto la reggenza del fratello, quello stesso Michele di Braganza che fra il 1823 e il 1824 aveva guidato il tentativo di repressione reazionaria. Quando quest’ultimo, nel 1828, con un colpo di stato, usurpò il trono e abolì la costituzione del 1826, Pietro IV, con l’appoggio della Francia e dell’Inghilterra, ingaggiò una lunga lotta che si concluse solo nel 1834 quando il trono fu riaffidato alla figlia Maria. Nel 1842, grazie anche al primo ministro Costa Cabral, Maria II introdusse definitivamente la costituzione già concessa dal padre, con la quale al sovrano era affidato il potere esecutivo mentre quello legislativo diveniva specifica competenza delle Cortes. Le riforme proseguirono anche con i figli Pietro V (1853-61) e Luigi I (1861-89): quest’ultimo tuttavia dovette far fronte al progressivo inasprirsi dell’opposizione conservatrice e lasciò al figlio Carlo I (1889-1908) un paese gravemente turbato dai contrasti interni. Di fronte all’acuirsi della crisi politica ed economica furono allora introdotte leggi eccezionali e fu limitato il potere delle Cortes. L’attentato che provocò la morte del sovrano e del principe ereditario indusse il nuovo sovrano Emanuele II (1908-1910) a imporre un’ulteriore restrizione delle libertà politiche: fu questa la causa diretta che il 5 ottobre 1910 provocò la rivoluzione e la proclamazione della repubblica.

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4. Dalla nascita della repubblica all’instaurazione del regime di Salazar

Nel periodo che precedette la prima guerra mondiale furono introdotte importanti riforme amministrative volte a risanare la grave situazione economica del paese. Il Portogallo, politicamente legato all’Inghilterra, partecipò al conflitto a fianco dell’Intesa ma già dal 1917 ebbe inizio una fase di gravissima instabilità politica che si protrasse sino al 1928. Un colpo di stato nel 1926 portò alla presidenza il generale Antonio Oscar de Fragoso Carmona, coadiuvato da Antonio de Oliveira Salazar, vero artefice del nuovo regime. Questi, dapprima ministro delle Finanze e delle Colonie, poi, dal 1932, primo ministro, ottenne infine i pieni poteri grazie alla nuova costituzione del 1933, la quale sanciva la sua dittatura personale che sarebbe durata sino al 1968. Aboliti i partiti, Salazar procedette alla costruzione di un regime corporativo di tipo fascista cercando anche l’appoggio della chiesa cattolica. Dopo aver sostenuto il regime di F. Franco in Spagna, Salazar riuscì a mantenere il paese fuori dal secondo conflitto mondiale pur concedendo basi militari nelle Azzorre agli Alleati. Nel dopoguerra, dopo l’adesione del 1949 alla NATO, il Portogallo continuò a versare in una situazione di gravissima arretratezza economica, protrattasi anche dopo la sostituzione di Salazar con Marcelo Caetano nel 1968.

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5. La rivoluzione dei garofani e la democrazia portoghese

L’attenuazione della dittatura non bastò a garantire la continuità del regime, che fu abbattuto il 25 aprile 1974 dalla cosiddetta “rivoluzione dei garofani”, sostenuta e guidata dal Movimento delle Forze Armate. Si procedette allora allo smantellamento delle istituzioni del sistema autoritario. Dopo la rinascita dei partiti, fra i militari si manifestarono forti contrapposizioni. In luglio fu nominato capo del governo il colonnello Vasco Gonçalves, appoggiato dalle sinistre e fortemente osteggiato dal generale Antonio de Spinola, alla guida dei moderati. Il tentativo di colpo di stato attuato da Spinola provocò una radicalizzazione del corso politico, con la nazionalizzazione di ampi settori dell’economia e un’incisiva riforma agraria. Si giunse così allo scontro fra forze socialiste e comuniste, segnato dal ritiro dei socialisti, guidati da Mario Soares, dalla compagine governativa. Le elezioni per l’Assemblea costituente dell’aprile 1975 e quelle politiche del 1976 diedero la maggioranza relativa ai socialisti: si formò allora il governo di Mario Soares che dovette fronteggiare gli effetti della crisi petrolifera, vedendosi costretto a rinviare molte delle riforme su cui si basava il suo consenso popolare. Alle elezioni del 1979 ottenne la maggioranza assoluta una coalizione di cattolici, socialdemocratici e monarchici riuniti nell’Alleanza democratica (AD) di Francisco Sa Carneiro. Nel 1983 Soares condusse i socialisti a una nuova vittoria elettorale. Il leader socialista si unì allora ai socialdemocratici riuscendo a governare sino al 1985, quando ottennero nuovamente la maggioranza relativa i moderati, guidati da A. Cavaco Silva. La presidenza della repubblica fu affidata a Soares, che nel 1986 riuscì a portare il Portogallo all’interno della Comunità europea, mentre Cavaco Silva procedette a una rigida politica di austerità e privatizzazioni, smantellando in parte le strutture sociali create durante la rivoluzione per garantire maggiore libertà d’azione agli imprenditori sino a mettere in discussione le nazionalizzazioni degli anni Settanta. I primi effetti della politica economica di risanamento si ebbero nel 1990. Soares fu riconfermato alla presidenza nel 1991. Le elezioni politiche del 1995 sancirono la vittoria dei socialisti, che formarono un governo guidato da Antonio Guterres. Nel 1996 fu eletto alla presidenza un altro socialista, Jorge Sampaio, che fu riconfermato anche nel 2001. I progressi economici consentirono al Portogallo di entrare nel 1998 nell’Unione Monetaria Europea. Dopo una riconferma alle politiche del 1999 – anno in cui il Portogallo adottò l’euro e Macao, l’ultimo suo possedimento d’oltreoceano, fu ceduto alla Cina – i socialisti furono sconfitti alle elezioni anticipate del marzo 2002 quando si impose il partito socialdemocratico (di centrodestra), il cui leader Josè Manuel Barroso formò una coalizione di governo che si impegnò nella riduzione delle tasse e nella privatizzazione di alcuni settori pubblici. Nel 2005 il potere tornò nelle mani dei socialisti e José Sócrates divenne il nuovo primo ministro. Tornato nel frattempo alla politica attiva, nel 2006 Cavaco Silva fu eletto presidente. Nel nuovo millennio i principali problemi del Portogallo restarono legati alle difficoltà economiche che furono ulteriormente aggravate dallo crisi globale del 2008. Nelle elezioni parlamentari del 2009 i socialisti di Sócrates si riconfermarono al governo e, per reagire alla crisi, introdussero nei mesi successvi drastiche misure di austerità, che non impedirono tuttavia al Fondo Monetario Internazionale di inserire il Portogallo, insieme a Grecia e Irlanda, nella lista dei paesi sull’orlo della bancarotta. Nel 2011 Cavaco Silva fu rieletto per un secondo mandato presidenziale. Un ulteriore pacchetto di tagli alla spesa pubblica, presentato nel marzo 2011, in seguito al continuo aggravamento della crisi economica del paese, determinarono la caduta del governo guidato da Socrates, il quale riuscì tuttavia a siglare un accordo con l’Unione europea e il FMI per la concessione di un ampio prestito. Nelle successive elezioni del giugno 2011, i socialisti furono sconfitti dai socialdemocratici, che si assicurarono un’ampia maggioranza parlamentare grazie alla formazione di un governo di coalizione guidato da Pedro Passos Coelho.

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