Arabia Saudita

Stato attuale dell’Asia sudoccidentale. Fondato nel 1932, a regime islamico e monarchico assoluto, risulta dall’unione dei regni di Neged, Higiaz e degli emirati di Asir, Najran e Al Hasa nella persona del sovrano saudita, il cui titolo ufficiale è quello di “custode delle sante moschee” di Medina e La Mecca.

  1. Antichità preislamica e creazione dell’impero arabo musulmano
  2. Decadenza, colonizzazione e rinascita saudita
1. Antichità preislamica e creazione dell’impero arabo musulmano

Le regioni centrosettentrionali, e più desertiche, della penisola arabica (coincidenti oggi con il regno saudita) – la cui formazione geologica risalirebbe a circa 40 milioni di anni fa e la cui preistoria continua a esser poco nota – furono popolate da tribù semitiche provenienti dalle zone siro-mesopotamiche intorno al I millennio a.C. Prima di tale termine non esistono fonti storiche attendibili, per cui la penisola resta effettivamente legata, nella sua identità culturale messa a fuoco soprattutto in età ellenistica, alla colonizzazione effettuata dalle tribù nomadi arabe. I romani, che in età repubblicana e imperiale per secoli si contesero con l’impero persiano dei Sasanidi il dominio sulla regione, suddivisero l’Arabia in “felix” (sud yemenita e Oman), “deserta” (centro-nord) e “petrea” (Palestina e Siria). L’assetto peninsulare, tenuto insieme proprio dal conflitto romano-persiano e rimasto sostanzialmente immutato fino al VII secolo d.C., fu caratterizzato dalla formazione di alcuni stati più forti ai margini meridionali e da una miriade di tribù e staterelli beduini in continuo movimento all’interno. Diminuito il peso condizionante dei due imperi, si crearono le premesse per la nascita e la diffusione dell’islam, il movimento religioso, politico e militare suscitato da Maometto tra il 610 e il 622 (data dell’ègira a Medina, dalla quale parte il calendario islamico). Alla sua morte, tuttavia, il movimento islamico era ancora debole e si dovette soprattutto all’opera del primo califfo elettivo Abu Bekr (632-34), suocero di Maometto, l’allargamento e il consolidamento del messaggio del profeta in pressoché tutta la penisola. Nello stesso tempo si realizzò la prima unione politica delle frammentate popolazioni arabe. L’espansione verso la Persia e l’impero romano d’oriente fu intrapresa sotto il secondo califfo elettivo Omar (634-44), che conquistò tutte le terre comprese tra l’Egitto e la Mesopotamia. Il suo successore Othman (644-56), proveniente dall’aristocrazia omayyade della Mecca, caratterizzò il suo califfato elettivo sia per la codificazione del messaggio religioso sia per il tentativo di dare radicamento e continuità al potere degli Omayyadi. A questo tentativo si oppose Alì, genero e cugino di Maometto, probabilmente partecipe del complotto che uccise Othman e suo successore come califfo dal 656 al 661. Nella crisi che ne seguì si ebbero dapprima lo scisma dei “khagiriti”, lontani da entrambe le fazioni in lotta e responsabili dell’assassinio di Alì; poi la ripresa del clan omayyade attraverso Moawia (661-80), che assunse stabilmente il califfato dando inizio alla dinastia ereditaria omayyade; infine il secondo scisma dei seguaci di Alì, gli sciiti. Con gli Omayyadi (e poi con gli Abbasidi dal 750) riprese in grande stile la guerra santa e la conquista di nuovi territori a occidente, verso il Nordafrica e la Spagna, e a oriente, verso l’Afghanistan e l’India. Ciò significò tuttavia nuova emarginazione e decadenza per le regioni interne della penisola arabica, simboleggiata dal trasferimento prima a Damasco e poi a Baghdad della capitale del califfato. Di fronte al sorgere di un forte regno nello Yemen e di regimi musulmani integralisti, come nel caso dell’Oman, l’Arabia interna divenne sede di lotte intestine a sfondo politico-religioso che perpetuarono un clima d’anarchia fino alla crisi del califfato abbaside nel XIII secolo. Pur facendo nominalmente parte di questo fino al 1258, anno della sua fine, i regni e gli emirati dell’interno risentirono in realtà dell’egemonia che esercitarono sull’intero mondo musulmano prima i turchi selgiuchidi, poi la dinastia degli Ayyubidi fondata da Saladino (fino al 1250), infine la dinastia yemenita dei Rasulidi (1229-1454). Sotto i Rasulidi e i Taharidi (1446-1517) la penisola arabica conobbe un periodo di ripresa politica e culturale, interrotta dalla conquista dei turchi ottomani di Solimano il Magnifico (1520-66) nella prima metà del Cinquecento.

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2. Decadenza, colonizzazione e rinascita saudita

L’inserimento della penisola nella compagine imperiale ottomana, contrastata soprattutto nel meridione yemenita, significò per l’Arabia – con lo spostamento dell’asse politico-culturale a Costantinopoli – la caduta in una nuova lunga parentesi d’anarchia tribale e di decadenza nei secoli XVI-XVII. Tale situazione, segnata anche dai primi tentativi d’infiltrazione coloniale dei paesi europei (in particolare il Portogallo) specie sulle coste del Golfo arabico e dell’Oceano Indiano, fu modificata dall’avvento del movimento di rinascita politica e religiosa dei Wahabiti, fondato nel Neged nel 1745 da Mohamed ibn Abd el-Wahab. In pochi decenni, sotto la guida politico-militare della dinastia beduina dei Sauditi, tale movimento portò all’unificazione dei regni centrosettentrionali della penisola (Neged, Higiaz, Al Hasa) instaurando una forte pressione nelle stesse regioni mesopotamiche. Ciò provocò l’intervento ottomano dall’Egitto, che riuscì a spezzare l’impeto wahabita e a riportare sotto l’impero, alla metà dell’Ottocento, i regni ribelli. Gli anni della creazione degli imperi coloniali inglese e francese interessarono marginalmente l’interno della penisola. All’inizio del Novecento, con la ripresa del movimento wahabita, il sovrano Abd al-Aziz III ibn Saud riuscì a rifondare uno stato arabo indipendente nel Neged. Con lo scoppio della prima guerra mondiale e la conseguente iniziativa britannica antiturca guidata da Lawrence d’Arabia, con la partecipazione determinante dei beduini dello sceriffo della Mecca Hussein, accordatosi nel 1915 con l’alto Commissario britannico MacMahon sul presupposto dell’appoggio alla causa dell’indipendenza araba, fu portata a termine l’emancipazione dal dominio turco. Dopo la guerra crebbe la tensione tra i due stati più forti, il Neged di Ibn Saud e l’Higiaz dell’emiro Hussein, che provocò nel 1924 un violento conflitto che portò nel 1926 all’annessione dell’Higiaz da parte del sultanato saudita. Fu questo il prodromo della fondazione nel 1932 del regno dell’Arabia Saudita (con capitale Riyad), che, anche per il ruolo religioso rivestito dal suo monarca e per il carattere assolutista e conservatore del regime, fin dall’origine si pose come l’elemento condizionante e decisivo dell’assetto politico della penisola. La successiva scoperta di giacimenti petroliferi nella regione aumentò a dismisura l’importanza strategica dell’Arabia Saudita e determinò l’accentuarsi dell’interesse e della presenza della potenza americana, frattanto divenuta egemone dopo la seconda guerra mondiale (durante la quale l’Arabia mantenne un ruolo neutrale ma favorevole agli Alleati). Nel secondo dopoguerra l’Arabia Saudita – più cosciente del proprio potere economico e del viluppo di alleanze diplomatiche internazionali nelle quali fu a fianco degli USA – oscillò da un lato verso l’assunzione di un ruolo obbligato di alto protettore della causa arabo-palestinese nel conflitto con Israele (nel 1967 il re Feisal dichiarò l’impiego dei proventi del petrolio come arma contro gli israeliani), dall’altro verso l’elaborazione di una linea di condotta moderatrice e stabilizzatrice in senso conservatore anche rispetto ai molti conflitti interarabi sorti nella penisola e nelle zone adiacenti, giudicati tali da turbare e distruggere l’assetto interno raggiunto. Ciò si tradusse nell’ostilità costante mostrata verso i movimenti estremistici, talora d’ispirazione comunista, di liberazione nazionale nello Yemen e nell’Oman (1962-65, 1966-70), contro l’Iran khomeinista e sciita dopo il 1979 e, più tardi, nei confronti della guerra tra Iraq e Iran (1980-88), nella quale furono coinvolti indirettamente i suoi impianti e le sue navi del Golfo Persico. Nel 1990 l’Arabia Saudita fu il più importante paese arabo a sostenere la necessità della guerra del Golfo contro l’Iraq che aveva invaso il Kuwait, e a fornire il conseguente sostegno economico-militare alle truppe dell’ONU impegnate l’anno successivo nel conflitto. Dopo la fine della guerra e per tutti gli anni Novanta l’Arabia Saudita si caratterizzò per il costante appoggio fornito ai paesi occidentali nel preservare i difficili equilibri in Medio Oriente. La stabilità sociale del paese fu però messa in crisi da crescenti tensioni sociali, da attentati e dal rafforzamento dell’integralismo islamico, che si organizzò in influenti gruppi d’opposizione, tra cui il Comitato per la difesa dei diritti legittimi (1993). Dopo le stragi del 2001 negli USA – perpetrate da al-Qaida, un’organizzazione fondata da Osama bin Laden, rilevante esponente dell’entourage saudita – il governo diede in un primo tempo appoggio condizionato alle operazioni internazionali anti-terrorismo, ma poi rifiutò di partecipare alla guerra contro l’Iraq del 2003. Nello stesso anno gli USA ritirarono il proprio contingente militare dall’Arabia Saudita. Nel 2005 – anno in cui il paese entrò a far parte del WTO – a re Faisal subentrò Abd Allah, che, per favorire la modernizzazione del paese, introdusse nel 2009 un ampio pacchetto di riforme politiche, introdusse nel 2009 un ampio pacchetto di riforme politiche, tra cui l’estensione del diritto di voto – per quanto limitato alle elezioni comunali – alle donne. In seguito alla morte del principe Sultan ibn Abd al-Aziz fu nominato suo successore il ministro degli interni, il principe Nayef ibn Abd al-Aziz. Alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel giugno 2012, il fratello Salman ibn Abd al-Aziz divenne l’erede designato al trono.

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