Polonia

Stato attuale dell’Europa orientale.

  1. L’antichità e il medioevo
  2. La dinastia degli Jagelloni
  3. Dalla Controriforma alle tre spartizioni della Polonia
  4. Dal periodo napoleonico alla dominazione russa, austriaca e prussiana
  5. Dal sorgere dei movimenti nazionalistici all’indipendenza
  6. La seconda guerra mondiale
  7. Dal blocco democratico alla repubblica popolare
  8. Dagli accordi di Danzica al crollo del regime comunista
1. L’antichità e il medioevo

Abitata fin dal paleolitico da popolazioni slave, come testimoniano i ritrovamenti delle regioni della Vistola, la Polonia entrò nella storia europea nel corso del IX secolo d.C., quando fu progressivamente introdotto il cristianesimo (soprattutto a opera di San Metodio) e si affermò la dinastia dei Piasti, intorno alla quale si costituì il ducato di Polonia. Nel X secolo il duca Mieszko I (960-92), in un primo tempo tributario dell’imperatore Ottone I, si distinse per l’opera di riorganizzazione amministrativa e militare delle aree ereditate dai suoi predecessori (Grande Polonia, Cuiavia e Masovia) che ingrandì ulteriormente con la conquista della Piccola Polonia, della Pomerania e della Slesia. Nell’intento di liberare il ducato dall’influenza tedesca egli pose poi la Polonia sotto la protezione del papato. Il figlio Boleslao I (992-1025), dopo la conquista della Boemia, della Moravia, di parte della Slovacchia e di parte del principato di Kiev, ebbe per primo il titolo di re di Polonia. Alla sua morte, con i successori Mieszko II (1025-1034), Casimiro I (1039-1058), Boleslao II (dal 1058, ma re dal 1076-1079) e Ladislao I Ermanno (1079-1102), si aprì però un lungo periodo di crisi per il regno, che fu privato di quasi tutte le conquiste precedenti e fu scosso all’interno da rivolte popolari e da sempre più forti rivendicazioni della nobiltà nei confronti della corona. Con Boleslao III (1102-1138) il regno di Polonia fu quindi diviso in quattro ducati ereditari (Slesia, Masovia, Grande Polonia, Sandomierz-Lublino) assegnati rispettivamente ai figli Ladislao II, Boleslao IV, Mieszko III e Casimiro II: fu questa la prima fase di un processo di parcellizzazione che avrebbe in seguito portato alla costituzione di ben ventiquattro ducati e all’indebolimento della Polonia di fronte alle mire imperiali, dei margravi del Brandeburgo e dei re di Boemia. La situazione si aggravò ulteriormente dopo l’invasione tartara del 1241. Costretta già da Federico I Barbarossa a riconoscersi vassalla dell’impero e a subire un processo di forte germanizzazione, la Polonia conobbe quindi la fase più acuta di decadenza nel primo ventennio del XIV secolo, quando il re di Boemia Venceslao III ottenne dall’imperatore Alberto I d’Asburgo la corona polacca (1305-1306). A partire da questa fase ebbe però inizio, con il re Ladislao I Lokietek (1320-33), la restaurazione della monarchia ancora sotto la dinastia nazionale dei Piasti. Fu soprattutto sotto il regno del figlio di Ladislao Casimiro III il Grande (1333-70) che la Polonia poté ricostituire una considerevole unità territoriale (con la conquista della Galizia, della Masovia, della Volinia e della Podolia), pur dovendo rinunciare definitivamente alla Pomerania e alla Slesia. Casimiro III rafforzò la monarchia dando al paese una legislazione unitaria (statuto di Wislica, 1347) e favorì la ripresa economica migliorando le condizioni di vita dei contadini e dando impulso all’artigianato e al commercio. A lui si deve la diffusione di uno spirito di tolleranza nei confronti delle minoranze ebraica e tedesca che si sarebbe rivelato importante anche per la cultura polacca, campo in cui si adoperò soprattutto con la fondazione dell’Università di Cracovia. Alla sua morte si estinse la dinastia dei Piasti: il regno passò allora al nipote Luigi I d’Ungheria (1370-82) e quindi alla figlia Edvige (1384-99), mentre all’interno la nobiltà riprendeva forza a scapito della corona. Fu proprio la nobiltà a chiamare al trono polacco il duca di Lituania, Jagellone, che assunse il nome di Ladislao II (1386-1434) e poté unire le due corone di Polonia e Lituania grazie al matrimonio con Edvige.

Top

2. La dinastia degli Jagelloni

Ebbe così inizio per la Polonia la lunga fase di regno della dinastia degli Jagelloni, sotto il cui governo il paese avrebbe conosciuto (soprattutto nel XVI secolo) un nuovo periodo di splendore e di incremento territoriale. La corona polacca fu resa elettiva da Jagellone: alla sua morte fu quindi scelto per il trono il figlio Ladislao III (1434-44), che si impose sui cavalieri teutonici (1435) e nel 1440 poté riunire le corone polacca e ungherese, prima di venire sconfitto e ucciso nella battaglia di Varna contro i turchi (1444). Con il suo successore Casimiro IV (1447-92) fu ripresa la lotta contro i cavalieri teutonici, conclusasi con la pace di Thorn (1466), che consentì alla Polonia di acquisire Danzica e la Pomerania orientale e di ridurre l’Ordine Teutonico a proprio vassallo. Nel corso del XV secolo la nobiltà costituì comunque un fattore di instabilità per la corona (nel 1454, con lo statuto di Nieszawa, essa riuscì a limitare fortemente il potere regio imponendo il consenso della dieta per decidere le questioni di pace e di guerra e per l’imposizione di tasse), mentre in campo economico essa accrebbe enormemente il suo potere nelle campagne a scapito dei contadini. Con la costituzione Nihil novi (1505), concessa da Alessandro I (1501-1506) fu riconosciuto alla Dieta generale – formata dal re, dai senatori e dai deputati delle assemblee locali – il potere di decidere in materia legislativa, fiscale e militare. Sotto il regno di Sigismondo I (1506-1548) e del figlio Sigismondo II Augusto (1548-72) la Polonia conobbe un grande sviluppo culturale (cui contribuì il clima di tolleranza religiosa) e realizzò un notevole ingrandimento territoriale con l’acquisizione della Prussia orientale e poi occidentale, della Livonia, della Lettonia e della Curlandia. Nel 1569 la dieta di Lublino sancì l’unione indissolubile di Polonia e Lituania, facendo della monarchia degli Jagelloni uno dei regni più importanti d’Europa. L’estinzione della dinastia alla morte di Sigismondo II Augusto aprì però un periodo di crisi, che si concluse con l’elezione di Enrico di Valois (1573-74), il futuro Enrico III e, dopo che questi divenne re di Francia, di Stefano I Bathory (1575-86), che proseguì la politica perseguita dagli ultimi Jagelloni volta a garantire la tolleranza e il rafforzamento dei confini orientali.

Top

3. Dalla Controriforma alle tre spartizioni della Polonia

Alla morte di Stefano I la Polonia fu retta da un ramo cattolico della dinastia svedese dei Vasa, imparentata con gli Jagelloni, sotto la quale si ebbe il trionfo della Controriforma e la straordinaria diffusione dell’opera dei gesuiti. Già con Sigismondo III (1587-1632), che portò la capitale da Cracovia a Varsavia, si manifestarono le ambizioni polacche sulla Russia e sul Baltico, condivise anche dal suo successore Ladislao IV (1632-48); ma soprattutto si ebbe la rivendicazione della corona svedese da parte del sovrano polacco, risoltasi in una dura sconfitta per il paese e nella perdita della Volinia dopo la tregua di Altmark (1629). La rivolta dei cosacchi in Ucraina fra il 1648 e il 1651 si rivelò poi una tappa decisiva della crisi della monarchia, dal momento che questa, per avere ragione dei ribelli, dovette appoggiarsi alla nobiltà che nel 1652 le impose, come contropartita, l’approvazione del principio del liberum veto (per il quale il voto contrario di un solo membro della dieta poteva bloccarne qualsiasi decisione). Fra la seconda metà del XVII e l’inizio del XVIII secolo il coinvolgimento della Polonia nelle guerre del Nord accelerò ulteriormente la decadenza del paese. La prima guerra del Nord (1655-60), scoppiata sotto il regno di Giovanni II Casimiro (1648-68), provocò per la Polonia la perdita della Livonia a vantaggio della Svezia, secondo quanto stabilito dalla pace di Oliva (1660); nel 1667 il trattato di Androussovo sancì poi la perdita dei territori dell’Ucraina a est del Dniepr a vantaggio della Russia. Nonostante il grande valore dimostrato da Giovanni III Sobieski (1674-96) – che riportò importanti successi contro i turchi a Chocim (1673), a Zurawno (1676) e a Kahlenberg (1683) e che tentò di ridare coesione allo stato – era ormai evidente che la Polonia era in balia delle potenze straniere. I successivi sovrani polacchi Augusto II (1697-1733) e Stanislao I Leszczynski (1704-1709 e 1733-35) furono infatti l’espressione della volontà, rispettivamente dell’Austria e della Russia da un lato, della Svezia e della Francia dall’altro, di intervenire nelle politica interna dello stato. In effetti il tentativo di Augusto II di riconquistare le zone baltiche ai danni della Svezia di Carlo XII provocò, nel corso della seconda guerra del Nord, una serie di sconfitte per i polacchi, la fuga del sovrano in Sassonia e la breve imposizione da parte svedese di Stanislao I Leszczynski sul trono. Le conseguenze della seconda guerra del Nord (1700-1721), nonostante la sconfitta da parte russa degli eserciti svedesi a Poltava (1709) e la riconquista del trono polacco da parte di Augusto II, furono comunque drammatiche per il paese, che uscì dal conflitto economicamente prostrato e in preda a uno stato di anarchia interna. Alla morte di Augusto II, nel 1733, si ripropose quindi in termini ancora più duri di quanto fosse avvenuto in passato il problema della successione al trono, con l’ingerenza diretta della Francia da un lato, che sostenne la candidatura del vecchio Stanislao I Leszczynski, e della Russia e dell’Austria dall’altro, che appoggiarono la candidatura di Augusto III. Entrambi i candidati ottennero l’approvazione dalla Dieta nel 1733: ne derivò la guerra di Successione polacca (1733-38), conclusasi con la pace di Vienna e con la conferma di Augusto III (1733-63) al trono, mentre si fecero sempre più evidenti le mire prussiane e soprattutto russe sul paese, confermate dall’imposizione di Stanislao II Augusto Poniatowski (1764-95) come successore di Augusto III. Durante il regno di Poniatowski – che nonostante fosse stato eletto dalla Dieta sotto la minaccia degli eserciti russi e prussiani si adoperò poi per l’ammodernamento del paese e per porre fine allo stato di soggezione alle potenze straniere – la Russia, la Prussia e l’Austria giunsero comunque, attraverso tre successive spartizioni, a cancellare la Polonia come stato indipendente dalla carta europea. Con la prima spartizione (1772) la Prussia di Federico II si annetté la Prussia occidentale polacca, la Russia di Caterina II si impadronì dei bacini dei fiumi Dniepr e Duna, e l’Austria di Maria Teresa incorporò la Galizia. Gli sforzi di Poniatowski diretti a rinnovare l’apparato amministrativo e istituzionale, concretizzatisi soprattutto nella creazione di un ministero della Pubblica istruzione (1773) e nella costituzione del 1791, furono vanificati da un secondo intervento russo-prussiano e dalla seconda spartizione della Polonia (1793). Alla Russia passarono l’Ucraina, la Podolia, una parte della Volinia e della Lituania; alla Prussia andarono invece Danzica, Thorn e la Grande Polonia. L’insurrezione nazionale che ne seguì, guidata da T. Kosciuszko, fu quindi repressa dalle truppe russe al comando del generale Suvorov: alla sconfitta dei polacchi a Maciejowice seguì infatti la capitolazione di Varsavia (1794) e la terza spartizione della Polonia (1795). Con essa la Russia completò l’annessione della Volinia e della Lituania; la Prussia si impadronì dei territori a ovest della Vistola con la città di Varsavia; l’Austria conquistò la zona meridionale con la città di Cracovia.

Top

4. Dal periodo napoleonico alla dominazione russa, austriaca e prussiana

Dopo la sconfitta delle armate russo-prussiane e la pace di Tilsit (1807), Napoleone costituì il granducato di Varsavia, che comprendeva la Masovia, la Posnania e la Cuiavia tolte alla Prussia, cui si aggiunsero poi la Galizia e le città di Cracovia e Lublino sottratte agli austriaci. Assegnato a Federico Augusto di Sassonia, il granducato ebbe vita fino al 1814 quando, alla caduta di Napoleone, il congresso di Vienna procedette a una nuova spartizione della Polonia: furono restituiti alla Prussia e all’Austria i territori che erano stati loro tolti da Napoleone (la Posnania alla Prussia, Cracovia e la Galizia all’Austria) mentre il resto del granducato passò sotto il controllo russo. Nonostante la concessione, da parte dello zar Alessandro I, di una costituzione (1815) e della possibilità di usare la lingua polacca, il potere in Polonia era di fatto nelle mani del viceré e del plenipotenziario dello zar, entrambi russi. Questo stato di subordinazione, ulteriormente aggravato dall’ascesa al potere dello zar Nicola I, fu alla radice della rivoluzione del 1830. La dieta proclamò allora l’indipendenza nazionale, ma il tentativo di emancipare il paese dal giogo russo fu tragicamente interrotto, all’inizio del 1831, dall’invasione delle truppe zariste, che scatenarono una feroce repressione. Le insurrezioni di Cracovia (1846), nella zona sotto il controllo austriaco, e di Poznan, nell’area di dominio prussiano, ebbero un esito egualmente negativo. Fu altresì nella Polonia prussiana che il processo di germanizzazione venne condotto con maggior vigore e sistematicità, mentre alla Polonia austriaca nel 1861 fu concessa l’autonomia. Nel 1863 il paese fu scosso da una nuova esplosione rivoluzionaria volta a ottenere l’autonomia ma, privi del sostegno concreto degli stati occidentali, i polacchi furono nuovamente vittime della repressione zarista. Alessandro II fece allora colpire la classe dirigente polacca con la confisca di terre della nobiltà, della borghesia e del clero che furono distribuite ai contadini (formalmente liberati anche qui, come in Russia, dal servaggio) e favorì l’accelerazione del processo di russificazione.

Top

5. Dal sorgere dei movimenti nazionalistici all’indipendenza

Agli inizi del XX secolo si costituirono diversi gruppi di lotta per l’indipendenza polacca. Il più importante fu quello guidato da J. Pilsudski che nel 1914 si diede un’organizzazione militare e combatté, durante la prima guerra mondiale, a fianco degli imperi centrali contro la Russia. Nel 1916 gli imperi centrali costituirono, nelle zone che precedentemente erano sotto il dominio russo, il regno autonomo di Polonia; nel 1917 a Parigi si insediò invece il Comitato nazionale polacco, che fu riconosciuto dai governi alleati. Con la sconfitta di Austria e Prussia e con la dissoluzione della Russia zarista, la Polonia riuscì, alla fine della prima guerra mondiale, a vedersi riconosciuta – con la dichiarazione contenuta nei 14 punti di Wilson – l’unificazione e l’indipendenza. Un ruolo di primo piano fu allora svolto da Pilsudski, capo dello stato dal novembre del 1918 al dicembre 1922 e artefice, fra la fine del 1919 e l’agosto del 1920, dell’avanzata delle truppe polacche fino a Kiev e della vittoria di Varsavia, che consentirono alla Polonia la conquista della Galizia (pace di Riga). In ambito interno la costituzione del 1921 sancì l’instaurazione di un regime democratico e parlamentare, ma di fronte alla situazione di instabilità e al prevalere dei gruppi democratici Pilsudski, nel maggio 1926, si impadronì del potere con un colpo di stato militare, divenendo da allora fino alla sua morte (1935) l’uomo forte di un regime autoritario e conservatore. In campo internazionale furono mantenuti stretti legami con la Francia. Dal 1932 migliorarono anche i rapporti con la Russia e nel 1934 fu firmato un patto di non aggressione con la Germania. Il regime autoritario continuò a sopravvivere anche dopo la morte di Pilsudski. Dal 1935, tuttavia, in campo internazionale si allentarono i tradizionali legami della Polonia con la Francia e con la Società delle Nazioni, proprio quando si faceva più grave la minaccia tedesca ai confini occidentali. Di fronte all’Anschluss e alla distruzione della Cecoslovacchia la Polonia non intervenne, traendo anzi vantaggio dallo smembramento dello stato ceco (le fu infatti assegnato il territorio intorno a Teschen).

Top

6. La seconda guerra mondiale

Solo quando Hitler chiese alla Polonia Danzica e il diritto di extraterritorialità del corridoio fra la città e il Reich (21 marzo 1939) la Polonia oppose il suo rifiuto. Il 28 aprile 1939 Hitler denunciò allora il patto tedesco-polacco del 1934. Invasa da ovest dalle truppe tedesche senza dichiarazione di guerra (1 settembre 1939), poi dall’armata sovietica nel suo settore orientale (17 settembre 1939), la Polonia fu costretta in meno di un mese alla capitolazione (27 settembre 1939) e fu divisa fra la Germania (che si annetté la zona occidentale con Varsavia) e la Russia (cui andarono l’Ucraina e la Bielorussia). Fin dal 5 ottobre 1939 si costituì in Francia un governo polacco in esilio, che l’anno seguente si trasferì a Londra: esso coordinò l’azione dei gruppi partigiani che operavano sul territorio nazionale e, il 15 luglio 1942, riuscì a formare un esercito nazionale che combatté a fianco degli alleati. La Polonia sperimentò però nel frattempo le più dure condizioni sia nella zona occupata dai russi, che vi imposero il regime sovietico, sia in quella sotto il controllo tedesco, dove furono avviati sistematicamente stermini di massa della popolazione cristiana ed ebraica. In territorio polacco si trovavano infatti alcuni dei campi di concentramento più tristemente famosi – da Auschwitz a Belzec, da Birkenau a Treblinka, Sobidor, Majdanek – oltre al ghetto di Varsavia, dove avvenne la disperata insurrezione del 1943, quello di Lodz, di Lublino e di altre città che videro lo sterminio della propria popolazione. Quando le sorti della guerra volsero a favore dell’Unione Sovietica anche nell’ambito della resistenza polacca prevalse la componente filocomunista. Il 22 luglio 1944 fu formato il Comitato polacco di liberazione nazionale, che ebbe sede in un primo tempo a Lublino e poi a Varsavia dopo la sua liberazione. Frattanto le forze partigiane di ispirazione antisovietica sostenute dal governo in esilio a Londra furono sterminate dai nazisti nel corso della seconda insurrezione di Varsavia (1 agosto – 2 ottobre 1944) senza che le truppe russe intervenissero: il Comitato di Lublino si proclamò allora, il 31 dicembre 1944, governo provvisorio.

Top

7. Dal blocco democratico alla repubblica popolare

Alla conclusione della guerra, il 28 luglio 1945 si costituì un governo di unità nazionale, presieduto da E. Osobka-Morawski, del Partito operaio socialista polacco, che fu riconosciuto dalle grandi potenze. Nella conferenza di Potsdam (agosto 1945) furono decise le nuove frontiere della Polonia segnate dalla linea dell’Oder-Neisse a ovest e dalla linea Curzon a est. Al governo di unità nazionale nel febbraio del 1947 (dopo le elezioni del mese precedente) si sostituì un “blocco democratico” guidato dal partito comunista e da quello socialista: il comunista B. Bierut divenne presidente della repubblica e alla guida del governo fu posto il socialista Cyranckiewicz. Nel 1948 nel Partito comunista prevalse l’ala decisamente filosovietica, capeggiata da Bierut, che ne divenne segretario generale, e in dicembre i partiti comunista e socialista si unirono nel Partito operaio unificato. La fisionomia politica del nuovo stato e la sua subordinazione all’Unione Sovietica furono evidenti soprattutto dalla nomina a ministro della difesa del maresciallo sovietico K. Rokossovski, dall’adesione del paese al Patto di Varsavia (1955), dalle scelte di politica economica (nazionalizzazioni, collettivizzazione delle campagne, industrializzazione forzata, pianificazione rigida del sistema produttivo) e dalla repressione del dissenso in campo culturale e religioso. Nel 1952 la nuova costituzione istituì formalmente la repubblica popolare di Polonia. Nel paese si registrò tuttavia un crescente malcontento contro il regime da parte dei cattolici, dei contadini (contrari alla collettivizzazione delle campagne) e di larghe frange operaie (esasperate dalle difficili condizioni economiche). Il profondo malessere portò, nel 1956, agli scioperi e alle manifestazioni di Poznan, che furono duramente repressi ma che rappresentarono tuttavia il preludio, in un clima di destalinizzazione generale, dell’affermazione dell’ala più moderata all’interno del partito comunista. Il 21 ottobre 1956 W. Gomulka fu rieletto segretario del POUP (carica che aveva ricoperto già fra il 1945 e il 1947 e dalla quale era stato estromesso nel 1948). Se in politica estera non fu messo in discussione il legame con l’URSS, in ambito interno si diede corso a una “via nazionale al socialismo” che comportava la rinuncia alla collettivizzazione delle campagne, la legalizzazione dei consigli operai, l’inaugurazione di rapporti meno tesi con la chiesa e la concessione di minimi spazi di partecipazione anche a organizzazioni diverse dal POUP. Ben presto però, a seguito della crisi ungherese, gran parte di questo programma di riforme fu, se non abbandonato, svuotato del suo significato originario, con negative ripercussioni sul tenore di vita della popolazione e sullo sviluppo economico. Nel 1968 anche la Polonia di Gomulka condannò il nuovo corso cecoslovacco e partecipò alla repressione della “primavera di Praga”. Se già in quell’anno si erano avute manifestazioni giovanili di dissenso, fu nel dicembre del 1970 che, a seguito della decisione di aumentare sensibilmente i prezzi dei generi alimentari, si verificarono sommosse operaie nelle città della costa baltica per sedare le quali il governo fece nuovamente ricorso alla forza. Gomulka fu costretto a dare le dimissioni e fu sostituito alla guida del POUP da E. Gierek, che rimase in carica fino al 1980. Negli anni Settanta la Polonia intensificò i rapporti con i paesi occidentali, ma non riuscì a risanare l’economia. La classe dirigente a sua volta, dopo una prima fase in cui Gierek sembrò prospettare una ripresa delle tendenze di maggiore apertura, non riuscì a guadagnare il consenso di larghi strati della popolazione. I nuovi rincari dei generi alimentari, decisi dal governo nell’estate 1976, provocarono quindi il ripetersi di manifestazioni di protesta, anche questa volta represse sebbene in forma meno cruenta, e il costituirsi di un Comitato di autodifesa sociale (KOR). Il 16 ottobre 1978 il cardinale Woytila saliva al soglio pontificio come Giovanni Paolo II, primo pontefice proveniente da un paese dell’Est: la sua elezione non sarebbe stata senza conseguenze sugli sviluppi della situazione politica polacca.

Top

8. Dagli accordi di Danzica al crollo del regime comunista

In una congiuntura economica e sociale sempre più grave, nell’estate del 1980 fu proclamato lo sciopero generale a Lublino e poi a Danzica. Il governo fu allora costretto a sottoscrivere gli accordi di Danzica e Stettino riconoscendo il diritto di sciopero e l’esistenza di un sindacato indipendente e autogestito, Solidarnosc, guidato dalla figura emergente di Lech Walesa. Ciò provocò le dimissioni di Gierek, sostituito alla guida del partito da S. Kania. Di fronte alle rivendicazioni economiche e politiche di Solidarnosc, che godeva dell’appoggio della chiesa cattolica e che aveva tolto quasi ogni spazio ai sindacati ufficiali, il regime comunista manifestò pienamente la sua crisi. Nel luglio 1981 si tenne un congresso straordinario del POUP e in ottobre quello di Solidarnosc. Kania si dimise e fu sostituito dal generale W. Jaruzelski. Questi il 13 dicembre dello stesso anno instaurò la legge marziale, procedendo all’arresto di Walesa e dei capi di Solidarnosc, mentre l’organizzazione veniva posta fuori legge nell’ottobre 1982. Nel luglio 1983 fu abrogata la legge marziale e, nel tentativo di guadagnare consensi, fu avviata una timida politica di riconciliazione nazionale che, seppure spesso drammaticamente interrotta, proseguì fino al 1987. In quell’anno la situazione economica della Polonia, pur permanendo ancora grave, si presentava comunque migliore rispetto agli inizi degli anni Ottanta: il paese fu quindi ammesso nel Fondo Monetario Internazionale e gli stati occidentali accettarono di rinegoziare i debiti polacchi, mentre il generale poteva annunciare una serie di riforme economiche e politiche. La politica economica del regime fu però bocciata nel referendum del 29 novembre 1987 (soprattutto per i forti rincari previsti per i generi alimentari): seguirono scioperi che nel corso del 1988 si estesero a tutto il paese e che assunsero anche valore politico, essendo volti a ottenere la legalizzazione di Solidarnosc. Nel quadro più generale del nuovo corso impresso da Gorbacëv alla politica dei paesi comunisti, il governo fu costretto a cercare un’intesa con l’opposizione e con la chiesa: il 5 aprile 1989 Solidarnosc fu legalizzata, in cambio della sua adesione al programma di austerità del governo e al suo impegno per il mantenimento della pace sociale; il generale Jaruzelski, a sua volta, si impegnò a varare al più presto riforme democratiche. Le elezioni parlamentari del giugno 1989 – nelle quali per la prima volta i polacchi poterono votare liste diverse da quelle del POUP – segnarono una grande affermazione di Solidarnosc. In luglio il parlamento, su pressione di Walesa e con il sostanziale consenso dei paesi occidentali, che volevano evitare uno scontro diretto con i comunisti, elesse Jaruzelski presidente della repubblica, carica da lui mantenuta fino al settembre del 1990. In questo clima di compromesso, nel settembre 1989 si giunse quindi alla formazione del primo governo non guidato da un esponente comunista nella storia dei paesi dell’Europa orientale. Tadeus Mazowiecki fu infatti scelto dallo stesso presidente Jaruzelski come primo ministro, alla guida di un governo di coalizione cui parteciparono tutte le forze politiche. A sancire il cambiamento avvenuto in campo istituzionale – e nel contesto più generale della crisi dei regimi comunisti nell’Europa centro-orientale – il 29 dicembre dello stesso anno il parlamento votò il cambiamento del nome dello stato, che da “Repubblica popolare di Polonia” divenne “Repubblica di Polonia”. Le difficili scelte in materia economica e l’atteggiamento verso gli ex comunisti divisero ben presto Solidarnosc e i suoi leader Mazowiecki e Walesa. Dopo le dimissioni del generale Jaruzelski nel settembre 1990, le elezioni presidenziali diedero, il 9 dicembre 1990, la maggioranza a Walesa, che divenne capo dello stato. Mazowiecki frattanto, presentatosi anch’egli alle elezioni presidenziali e sconfitto da Walesa al primo turno, il 25 settembre 1991 diede le dimissioni con il suo governo. Walesa affidò quindi l’incarico di formare il nuovo governo a Jan Olszewski e, dopo la rinuncia di questi, all’economista Krystof Bielecki, con un programma di forti privatizzazioni. La sconfitta di Solidarnosc e l’affermazione dell’Unione democratica polacca di Mazowiecki alle elezioni del 27 ottobre portarono poi al conferimento dell’incarico a Geremek, esponente della formazione maggioritaria al parlamento, e dopo la rinuncia di questo a Jan Olszewski, che formò una coalizione di governo durata solo fino al giugno 1992, a cui fece seguito un altro governo di coalizione, presieduto da Hanna Suchocka. Questo governo procedette energicamente sulla via dello sviluppo dell’economia di mercato facendo privatizzare centinaia di imprese in una situazione economica difficile, caratterizzata da una forte inflazione e da un’alta disoccupazione. Nel maggio del 1993 il governo Suchocka cadde. Le elezioni furono vinte da una coalizione formata dall’ex partito comunista trasformatosi in Alleanza della Sinistra democratica e dal Partito dei contadini, che portò a capo del governo Josef Olesky. Questo risultato fu l’espressione dei disagi provocati in ampi strati sociali dalla transizione dal sistema statalistico a quello fondato sul libero mercato. Nel 1995 un altro ex comunista, Aleksander Kwasniewski sconfisse Walesa alle elezioni presidenziali. Olesky rassegnò in quell’anno le dimissioni sotto l’accusa di essere stato una spia sovietica. Nel 1997 fu approvata una nuova costituzione, che prevedeva l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Le elezioni del 1997 portarono alla formazione di un governo di centrodestra presieduto da Jerzy Buzek. Nel 1999 la Polonia entrò nella NATO con forte insoddisfazione della Russia. Alle elezioni presidenziali del 2000 fu riconfermato Kwasniewski e alle politiche del 2001 si affermarono i socialdemocratici e i socialisti, che formarono un governo di coalizione con il sostegno del Partito dei contadini della cui guida fu incaricato Leszek Miller. Nel 2004 la Polonia entrò a far parte dell’Unione Europea. Nelle successive elezioni del 2005 si impose il partito populista Diritto e Giustizia (PiS), guidato dai gemelli Lech e Jaroslaw Kaczynski, cui fu rispettivamente affidato l’incarico di presidente e di primo ministro. Nelle elezioni anticipate del 2007 il PiS dei gemelli Kaczynski fu sconfitto dal partito di centrodestra Piattaforma Civica (PO), che formò sotto la guida di Donald Tusk un nuovo governo di coalizione con il partito popolare (PSL). Nel giugno del 2010, in seguito di un incidente aereo che causò la morte del presidente Lech Kaczynski, Bronislaw Komorowski fu eletto alla presidenza dello stato. Nelle successive elezioni parlamentari del 2011, la Piattaforma Civica si riconfermò alla guida del paese e Tusk, al suo secondo mandato consecutivo, fu pertanto incaricato di formare un nuovo governo di coalizione.

Top