Polibio

(Megalopoli 200 circa, † 118 circa a.C.). Storico e uomo politico greco. Di famiglia aristocratica, figlio di Licorta, stratego della Lega achea, dopo essere stato nel 180 ambasciatore in Egitto seguì la carriera militare sino a divenire ipparco nel 169. Nel 168 – dopo la sconfitta di Perseo, re di Macedonia, a Pidna – fu inviato come ostaggio a Roma insieme ad altri mille compatrioti. Divenne allora consigliere di Publio Scipione Emiliano ed entrò a far parte del “circolo degli Scipioni”. Venuto così a contatto con i più importanti esponenti dell’aristocrazia romana, conobbe a fondo i caratteri di quella società. Liberato nel 150 fu testimone, su invito di Scipione, della terza guerra punica e della distruzione di Cartagine (146). Dopo un viaggio ad Alessandria e a Sardi, nel 133 assistette all’assedio di Numanzia prima di ritornare definitivamente in patria. Fra le sue opere, si sono perdute l’Elogio di Filopemene, il Trattato di tattica, oltre a una storia dell’assedio di Numanzia. La sua importanza è anche legata alle Storie, suddivise in 40 libri, di cui ci sono giunti i primi cinque e ampi estratti dei rimanenti. Nella narrazione delle vicende egli si ricollegò (sebbene in tono fortemente polemico) all’opera di Timeo di Tauromenio. Scritta in due tempi, l’opera ricostruisce la storia romana nell’epoca delle guerre puniche e comprende un nucleo originario che riguarda il periodo dal 220 al 168, un’introduzione sulla fase dal 264 al 220 e la prosecuzione della narrazione degli eventi sino al 146. La storia è per Polibio conoscenza del passato, grazie alla quale l’uomo – in particolare l’uomo politico – ha modo di migliorare e di non ripetere gli errori compiuti. Compito dello storico, che deve possedere una specifica preparazione politica e militare, è quello di studiare i documenti e di esporre sempre la verità dei fatti. Per l’argomento trattato, le Storie si muovono nella prospettiva di una “storia universale” analizzata in modo unitario. Definiscono al tempo stesso una “storia prammatica”, basata sull’analisi dei fatti concreti, in cui non si indulge affatto – contrariamente alle tendenze di molti contemporanei – a una concezione “retorica” della storiografia. In essa, poi, assumono particolare rilievo gli eventi politici e militari, dei quali si indagano le cause e si valutano le conseguenze (senza tuttavia negare il possibile intervento della Fortuna). Polibio distingue dalle cause in senso proprio i “motivi scatenanti”, che determinano l’inizio di un evento, e i semplici “pretesti” per condurre una determinata azione. Oltre a costituire un vero e proprio modello della storiografia classica, le Storie manifestano uno specifico interesse per le problematiche politiche. Nel VI libro è esposta la celebre teoria dell’anacyclosis (ovvero della rotazione) in riferimento alle tre forme di governo della tradizione classica. Ogni forma, degenerando, provoca l’insorgere della successiva: dalla monarchia, attraverso la tirannide, si passa all’aristocrazia ; dalla degenerazione di quest’ultima, l’oligarchia, si giunge alla democrazia che a sua volta, degenerata nell’oclocrazia, riavvia la ripetizione del ciclo con l’insorgere della monarchia. La migliore forma di governo, secondo Polibio, è quella fondata su una costituzione “mista” (sebbene non sia chiaro se quest’ultima sia davvero in grado di fermare l’anacyclosis) sull’esempio delle istituzioni create a Sparta e soprattutto a Roma, che, proprio in virtù di tale costituzione, avrebbe a suo giudizio realizzato le straordinarie conquiste dell’epoca.